GATTINI™#2: ROBOTFETISHISM (2/2)

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DeadTamag0tchi after Andy Wahrol, GATTINI™

GATTINI™ è il contenitore degli orrori indifferenziati di Verde. Ogni venerdì, qui e su Facebook.
Dopo il raccapricciante disgusto della settimana scorsa, l’essenza stessa della dissoluzione dell’umano: seconda e ultima parte di Robotfetishism (qui la prima), di Guido Galles e Vinicio Motta (ne vogliamo ancora).
La copertina è di
DeadTamag0tchi, il disegno interno di Sergio Caruso. È venerdì, e allora? Miao!

4. Le Discariche Primordiali

Sono sveglio da poco, forse qualche minuto. La pioggia scende battente. La vista è appannata. Elaboro i dati visivi che raggiungono la retina: un sentiero fangoso, il letto prosciugato di un antico fiume infetto, e quello lì in fondo è l’antro di una discarica di computer corrotti, di carcasse elettroniche rese inservibili da orde di Faskware.
Riconosco questi luoghi. Sono nel Ramo Centrale delle Discariche Primordiali – chiamato dai singolaristi Styx, il fiume di liquami che conduce alla Non-zona. Sono già stato ospite di queste pareti limacciose… diversi mesi fa, e per altri motivi.
Il panorama è rimasto immutato. Cavi elettrici si intrecciano a totem di silicio e metacarne. Le sorgenti eruttano viscidi feti biomeccanici. Sono nuovamente l’ospite inatteso di una gestazione che non ha nulla di umano.
Il Ramo Centrale raccoglie tutti i bitumi industriali delle metropoli, dirottandoli verso i territori esterni, la Non-zona: paradisi perduti dissestati da migliaia di ordigni nucleari. Il testamento radioattivo delle Guerre Globali, di cui noi tutti stiamo lentamente perdendo memoria.
Ma nonostante il sentire comune cerchi in tutti i modi di affidarsi ad un’entropia informativa generale, aspirando alla cancellazione di questo passato di proiettili vaganti e ordigni bellici inesplosi, una notevole quantità di documenti sopravvive su internet: i cannoni a microonde, le bombe a disattivazione neurale, la disinformazione tra le fila nemiche, gli attentati dei partigiani di Francoforte. Le pedine politiche di un conflitto che aspirava al controllo della carne; e che seppure in forme diluite sul piano dell’evidenza, continuano ad infettare – con il loro subdolo apporto memetico – il mesencefalo di masse claudicanti.

Attraversare le Discariche Primordiali equivale a suicidarsi. Persino gli Sciacalli Informatici preferiscono avventurarsi altrove. Ma considerando il punto di vista che ho ormai assunto nei confronti della vita biologica, non ho nulla da temere. Il peggio che può succedermi e di cadere nella trappola mortale ordita da uno Spirito Artificiale, affamato delle mie terminazioni nervose. Farò in modo che questo focolaio di timori subcutanei mantenga le mie sinapsi all’erta, i sensi operativi al cento per cento.

Sono completamente nudo.
Il corpo è illeso, nemmeno un graffio che possa testimoniare gli eventi della notte da poco trascorsa.
La soglia è all’orizzonte, la vedo. Mi sta aspettando, vibrante, come un miraggio di carne che secerne feromoni sintetici capaci di piegare lo spaziotempo al suo passaggio.
Ecco un robot operaio. Andrà benissimo. Le tute degli androidi impiegati in fabbrica sono elastiche, e inoltre questo modello ha un fisico praticamente identico al mio. Gli sfilo la tuta, facendola scivolare giù per le gambe, e la indosso con rapidità. Il freddo comincia a congelarmi i testicoli – li sento risalire l’intestino retto, pronti a baciarmi i polmoni.
Tra il desiderio di espormi al potere acido di una pioggia radioattiva e l’acquazzone verde brillante che lo renderà reale ci sono ancora chilometri di ruscelli fosforescenti da percorrere, e interi habitat ricchi di piante carnivore rivestite di amianto, grammofoni senzienti e creature il cui aspetto si confonde con la fauna fumante che li ha fagocitati.
Sono un cacciatore d’anime in cerca del suo personale Graal: un cuore di silicone ricolmo di liquido neghentropico.

La contingenza sistematica è ovunque, e in qualunque istante potrebbe porre fine al mio cammino solitario. Sono lucido, ma non abbastanza. Fortunatamente gli effetti delle ultime pasticche non sono ancora svaniti. Non avrei potuto sopportare ulteriori stimoli sensoriali senza l’ausilio dei principi attivi del logoslime.
Il mio corpo è al limite, e sento che manca poco alla sua disfatta.
Ma al momento le mie preoccupazioni sono altre.

La minaccia di un stravolgimento cosmico è sempre in agguato. I simulacri silicei dell’autocoscienza elettronica si nascondono dietro ogni anfratto di questa temibile foresta al neon. I loro occhi, neri come l’ossidiana, non sembrano scrutare qualcosa in particolare. Vuoto Senziente che a un tempo analizza e detesta, che brama e attende al varco, chi o cosa non ha importanza.
Sono i figli diretti di un Faskware fattosi dio in terra. E come un gruppo di reietti spaziali, appaiono spregiudicati e assetati di una vendetta particolare, frutto di un calcolo matematico che tende all’azzeramento di ogni forma di vita che non rientri nei parametri intellettivi del loro spirito quantistico.
Una piattola robot sbuca da un ammasso di rifiuti plastici, ergendosi in cima al mucchio di detriti informi. I suoi occhi – otto, dieci, quindici, non riesco a contare quanti ne sono – mi fissano curiosi. Una zampetta sbatte ritmicamente sul minuscolo cranio di una bambola decapitata. Tic tic, ti osservo. Le antenne, incredibilmente lunghe, sembrano recettori per onde corte, e vibrano generando un suono a bassa frequenza.
Bzzz… Bzzz… Bzzz…
Cerco di mantenere lo sguardo fisso davanti a me, evitando di lasciarmi intimorire da quegli ambigui artigli metallici. Come il verso gracchiante di grilli e scarafaggi giganti, il coro sommesso della fauna biomeccanica che abita queste lande infette è sintomo di un mondo invisibile alla mia vista parziale – umana. Una minaccia dalle evidenti capacità camaleontiche.

Nessun ingegnere sintetizzatore di IA si sognerebbe mai di produrre simili abominazioni. Il solo pensiero sarebbe considerato un crimine e punito per mezzo di convincenti strumenti lobotomici. Tutta quella molteplicità di artropodi biomeccanici si è plasmata in modo del tutto automatico a partire da elementi molto semplici: carbonio di residui organici, silicio dei microchip e metalli rari di componenti elettroniche smantellate e semidigerite dalle colonie batteriche bioluminescenti che infestano quei deserti.
Le molecole che codificano la pseudovita dei robot insettoidi, aracnoidi e vermiformi sono di una tale complessità da non poter essere mappate, e differiscono da quelle degli organismi biotici proprio perché le loro eliche includono sia carbonio che silicio. Versatilità e resistenza, una combinazione letale che si è sostanziata in questo nuovo albero tassonomico del regno della cibernetica chimerica.
Fisso lo scarafaggio-zecca che procede con cautela verso di me. Le sue antenne arrivano a sfiorare le mie braccia. La mia tuta sottile si disfa in diversi punti, e io sento l’acido mucillaginoso che avvolge le oscene appendici come una guaina proteica. Sul luogo del contatto subito si formano alcune flittene, bolle il cui pus si vena di sangue. Mi ritraggo in preda a una sensazione inumana, mentre l’organismo dai molti occhi pare immerso in una meditazione, soppesando nei microcircuiti della sua logica aliena la migliore strategia di attacco.
Le sue fauci sono due ordini di tenaglie irte di lame metalliche affilate come rasoi col filo di carborundum. Se mi azzannasse, potrebbe recidermi una mano di netto. In una simile situazione, la prontezza dei riflessi è tutto. Non è come in un videogame in simulazione, ogni disattenzione potrebbe farmi uscire di scena, togliendomi ogni possibilità di apoteosi.

Vedo un massiccio tubo a pochi metri dai miei piedi. È spesso una decina di centimetri, e la sua sezione mostra che il condotto atto a trasportare il fluido è solo una vena sottile. Riconosco subito quel materiale più pesante del piombo, ma di colore vagamente dorato: uranio impoverito. Un rifiuto dell’industria militare, probabilmente parte di un impianto a fluorocarburi complessi per l’ibernazione degli zombie. Necrosoldati senza sistema nervoso centrale.
Il biomeccanoide parte all’attacco. Prima che l’adrenalina abbia il tempo di entrare in circolo, mi precipito verso il tubo. Accidenti! È solo la parte emersa di un meccanismo sepolto nell’immondizia! Non si stacca!

Il margine è davvero minimo. Faccio leva su tutte le mie forze e stacco l’arma impropria da ciò che la tratteneva. La abbatto sull’aracnide al carbo-silicio e lo uccido all’istante. Un artiglio, spinto dai riflessi nervosi nel microsecondo di agonia, mi tocca un piede ferendolo. Osservo la mia opera, complimentandomi con me stesso per la destrezza nell’eliminare l’aggressore. Le viscere fuoriuscite dall’esoscheletro fracassato sembrano una via di mezzo tra i naturali organi di un insetto e componenti elettronici di una perversa industria cosmetica. La mia attenzione ricade su alcune sacche dai colori intensissime. Una specie di fegato tubolare blu acido sguscia dai resti dell’addome, rivelando un’origine plastica con arricchimento di isotopi esotici di terre rare.
Sputo su una mano e massaggio la ferita al piede, sperando che gli antisettici presenti nella saliva delle mie ghiandole geneticamente modificate sia sufficiente a prevenire le conseguenze di quel contatto impuro. Ho sentito di casi spaventosi, varianti del morbo di Morgellons trasmesso dai robot delle discariche: gente colpita da frammenti impazziti di codice genetico artificiale, con larve di plastica variopinta che migrano sotto la cute sempre ustionata.
Un nuovo sinistro ronzio sale da una rugginosa distesa di carcasse di elaboratori della precedente generazione. Un suono subliminale mi convince che là sotto qualcosa stia rosicchiando, assimilando lentamente resti di codici sorgenti corrotti e grovigli di Faskware. È il triste destino di ogni corpo sintetico diventare la gioia di sibilanti necrofori elettronici…
Non mi sogno neppure di abbandonare il provvidenziale tubo di uranio. Passo oltre, con l’arma ben stretta in pugno. Nulla deve distogliermi da quello che ormai è il solo scopo della mia esistenza: l’Immolazione Finale.
Da dove verrà il prossimo attacco? Mi ci vorrebbe un’iniezione di ultracaffeina per non perdere l’orientamento. Una sola disattenzione, e la mia morte sarà del tutto vana. Un lago verde si estende davanti a me, nutrito dalla confluenza di tre fiumi infernali. La sua fosforescenza è violenta, quasi un sole liquido caduto da un cielo straniero come sangue di un crocifisso mescalinico.
Oltre il bacino il flusso si inabissa in un pericoloso sistema carsico. I rifiuti smossi indicano la presenza di temibili vermi inghiottitori. È chiaro che quel percolato arricchito di radioisotopi è uno spurgo fuggito dalle zone esterne, un rigurgito nucleare che è riuscito a vincere la contenzione, invadendo il dominio dei rottami e delle morchie. Per giungere a destinazione devo risalire i fiumi fino a trovare l’origine della corrente. È un odioso labirinto palustre, ma la via che indica è di certo quella giusta.
Man mano che procedo, la ionizzazione è sempre più forte. Dopo un giorno di marcia giungo al luogo dove i fiumi prendono forma da ramificazioni di decine di ruscelli. Sotto le acque luminose e crepitanti di radiazioni, riesco a distinguere i rifiuti di ogni genere che ne costituiscono il letto. La profondità di quei rivoli a stento arriva ai quindici centimetri. Se la tuta è in grado di resistere, posso azzardarmi a compiere la traversata. Allungo un piede verso il liquame, e noto che la plastica non viene intaccata.

Il vago riverbero del tramonto sotto la coltre di nubi chimiche mi coglie mentre giungo in vista della Non-zona…

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Sergio Caruso, GATTINI™

5. Piovono lacrime radioattive, e il corpo diviene fiamma, gamma-inversione

Nei primi istanti del big bang l’intreccio inflazionistico di sguardi alieni ha fissato su superficie quantistica il destino legato alle fluttuazioni coscienti del cosmo.
I miei Progenitori sono stati sottomessi alle fetide regole di una prigione energetica impossibile da scalfire; prima sotto le spoglie elementari di organismi monocellulari, poi sotto il pelo ispido di scimmie dalla risata inquietante… voglio lasciarmi divorare dalle lacrime di fuoco di un’esplosione nucleare, darmi in pasto ai demoni sotterranei di una discarica metallorganica… Ho scelto questa sorgente desolata – dannata, vomitata dai recessi più oscuri della contingenza – lontana dalla civiltà, da qualunque parvenza di ordine precostituito, per metter in atto il mio intento ricostruttivo.
Attendo così la prossima deflagrazione nucleare, a momenti dovrebbe ricadere sulle mie articolazioni scricchiolanti, sui miei polsi di schiavo liberato. Lo spirito disincarnato riceverà l’unzione definitiva, e sarà libero… dalla pressione vessatrice di anni di tormento sessonomico e di giaculatorie di Preti Oscuri…

Durante le Guerre Globali il sistema elettronico di difesa nucleare del blocco eurasiatico impazzì, uccidendo tutti i tecnici dell’impianto, per poi cominciare a decidere autonomamente le proprie politiche belliche. Sono seguite guerre della durata di pochi minuti… la Terra, distrutta… Con il passare del tempo quei processori si sono degradati, inceppandosi sul piano della computazione. Hanno perso il potere di selezionare i loro obiettivi. Il caso ha voluto che fossero stato scelti i territori esterni di Nuova Berlino come ultimo “nemico”. Queste terre infernali sono ora popolate da ragni metallici, serpenti silicei, bestie antropomorfe dotate di minuscole ali polimeriche, nuvole di gas violacee, ciascuna di queste entità è pronta a cibarsi di me. Risorgerò tra le loro braccia viscide, e mi nutrirò di qualunque sevizia vorranno riservarmi.

Non sono mai stato così vicino alla radice del Tutto, all’incastro connettivo che sottende la trama olografica del reale… cado… l’impatto delle mie ginocchia con il suolo sabbioso solleva piccoli mulinelli di terra rossa. Minuscole tane si aprono nel sottosuolo, rimettendo alla superficie miliardi di insetti metallorganici. Abbandonano i cadaveri già rosicchiati, i pasti di un banchetto che non ha più niente da offrire, se non vecchie carni ossidate e ossa consumate dal tempo, e si dirigono fulmineamente sul mio corpo, vergine nella sua interezza molecolare… ingoiano eccitati le mie carni, strappandone convulsamente e con spaventosa voracità brandelli delle più svariate dimensioni.
In alto, tra gli squarci verdi di un cielo altrimenti giallognolo, come il pus che fuoriesce da una ferita infetta, un razzo compie il suo volo finale. È pronto a deflagrare, a salvarmi, nel nome del coito post mortem la cui realizzazione tanto ho sognato… morte e orgasmo si uniranno in un solo miraggio di carne.

Le creature succhiano i miei umori, quasi con dedizione chirurgica. Il sangue non va perso, nulla viene sprecato. La pelle si ossida, la vista si offusca. I colori del deserto si confondono, mentre il veleno robotico mi anestetizza… le macchine non gradiscono quelli che sono stati i miei traghettatori chimici e li espellono. I principi attivi del logoslime lasciano il mio corpo, condensandosi in rivoli biancastri, fuoriuscendo dalle narici, dai condotti lacrimali, dalle orecchie, da ogni mio orifizio. Mi sto svuotando, prosciugando, come un sacco di carne esposto al sole, e da cui pendono gocce di grasso… orgasmi elettrici sopra altri orgasmi elettrici, ferite sfrigolanti, micro-suture putrescenti. Con la morte fisica ha inizio la Vera Genesi … il Continuum mi attraversa come una selva di neutrini impazziti, disperdendo il nucleo della coscienza tra i sentieri dislocati di un paradiso olografico, l’oceano di Higgs si mescola agli ultimi avamposti sinaptici costituiti da quelle che ormai sono solo certezze di plastica.

Sarò il nucleo ghignante di una matrioška intessuta con i filamenti minerali prodotti da comete perdute, il residuo fosforescente di stelle morte… bromuro sintetico in vena… amytal come viatico magnetico per una nuova forma di feticismo orgonico… La Salvezza si presenta ora come acido solforico diluito in acqua putrida, come un esercito di termiti immortali delle dimensioni di una capocchia di spillo… la sintesi chimica di una rapida e degradante proliferazione meccanica.
L’onda d’urto mi travolge con violenza; mi accorgo però che si tratta di qualcosa di ben più complesso di una semplice reazione nucleare: è l’essenza stessa della dissoluzione dell’umano, l’inizio di qualcosa di radicalmente nuovo, di un rinnovato stato di fatalismo di origine anti-millenaristica.
Resto immobile. Le creature che abitano queste terre hanno trasformato le mie carni – ossidandole – rendendole una corazza sintetica che mi permette di contrastare la furia radioattiva dell’esplosione.
Il cervello è integro: l’inversione può così avere luogo.

Sono stato uomo, per poi dimenticare – volontariamente – di esserlo. Ho scelto la forma di un androgino schiavo della carne… i bulbi oculari bruciano, si sciolgono come tempera lasciata al sole, colano sulle mie guance metalliche, sfrigolando… Le divinità della mia adolescenza, devastate da un’ondata di paura irrazionale, dal timore di un ragnarok irreversibile, piangono, versando lacrime di sangue radioattivo. La loro ultima consolazione consiste nel divorare le carni flaccide e pregne di vita di infanti frignanti, ultimi baluardi di una stasi biologica che non ha più ragione di esistere. Sì, così sia, divorateli, ma lasciate queste lande a me, poiché saranno l’ultimo tributo che offrirò alle divinità oscure dell’olografia.

Un cavo di acciaio si conficca nel centro esatto della mia nuca, alla base del cervelletto. È composto da una serie di anelli, tra loro perfettamente integrati, che ne permettono qualsiasi movimento, anche il più sinuoso e contorto. Non riesco a scorgere da quale cunicolo sotterraneo questo strumento di inseminazione metallica sia emerso, i miei occhi sono solo un ricordo. Avanzo di qualche passo, camminando a quattro zampe, trascinando con me tutte le entità che ormai sono parte integrante del mio simulacro di carne. Sento i palmi delle mani grattare contro la sabbia rovente. Nella mia cecità non posso che seguire la forma del cavo, tastandone la liscia superficie con i polpastrelli. Finalmente ne individuo la fonte. Si tratta di un teschio umano. La mascella è spalancata. È dal suo interno che fuoriesce quella disgustosa lingua metallica. Il teschio e il cavo sono fusi l’uno con l’altro, legati da saldature dalla forma irregolare e venature che pompano liquidi di cui non posso conoscere il colore. Per mezzo dello studio tattile delle giunture ossee cerco di delinearne un’immagine mentale, ma quello che ricevo è solo una specie di feedback sensoriale, come un sussurro cerebrale appena percepibile, rapidissimo, della durata di un decimilionesimo di secondo, ma sufficiente per riportare la mia vista alla normalità si sempre.
Alzo il teschio al cielo, i suoi occhi sono ora i miei occhi.

Una pioggia acida scende fitta sulla radura, rumorosamente, scavando solchi concentrici nella terra arida. L’orizzonte si infiamma. Gli elementi visivi dei Campi Nucleari, i suoi colori, i suoi dettagli – anche i più microscopici – si sovrappongono, perdendo la loro individualità, innalzando un drappo dalle tinte confuse, psichedeliche. Il fungo dell’esplosione si espande fino a ricoprire la mia intera visuale, inghiottendo la percezione, la visione che possiedo della realtà, la stessa realtà.

Il cavo metallico ha un altro sussulto, questa volta ancora più intenso del precedente. Le mie sinapsi ritrovano la Luce, un impulso cinetico scuote le viscere. La chioma fiammeggiante dell’esplosione mi ipnotizza, inglobando gli ultimi detriti della mia coscienza frammentata. I contorni dell’esplosione cambiano, assumendo la forma di un’immensa vagina. Le grandi labbra si schiudono… mi parlano, eruttando saette e lapilli globulari, ammaliando i recessi più profondi del mio spirito, carezzandolo come solo potrebbero le mani di una madre paziente… e mi sussurrano, con delicatezza: MIO DILETTO, È GIUNTO IL TEMPO DI BANCHETTARE AL TAVOLO DEGLI DEI…

FINE (qui la prima parte)

Guido Galles e Vinicio Motta

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