Bambinoni

bambinoni

“Al mio Maestro”

Felici nei guai, Quara “forse ex” (sic) a Firenzerivista raccoglie prece per Verde, Frau “precedentemente“, D’Antuono smemicchia funebre, D’Angelo e Sabelli in un Altroquando che ci piace immaginare così. Non resta che Mosca, il Dottore che sogna il sogno e lo risignifica nell’enorme taccuino che ci ricorda chi siamo (“un pezzettino di storia artistica e creativa di un numero troppo grande di persone”).
Bambinoni, una comunità dove gli adulti vivono come bambini, per i più pigri una outtake di Chiromantica medica, è una pagina preziosa di smarginamento e vero degrado strano che solo qui, dal 2012, puoi leggere.
La copertina doveva essere questa.

Al mio Maestro

 

Mi hanno sbattuto dentro e dentro, lo so, non durerò molto. In carcere a quelli come me fanno cose brutte. Dicono che mi piacciono i bambini. Io sinceramente non so se questo è vero o almeno, non lo so più.
Tutto era iniziato a giugno del ’22 dopo che avevo pubblicato una raccolta di racconti che aveva ricevuto un certo apprezzamento da parte della società delle lettere il che aveva fatto infuriare il Maestro che quindi non si limitava più solo a smanacciarmelo fra un racconto e l’altro o a succhiarmelo coi denti prima di andare a dormire, adesso mi faceva delle cose brutte.
Dicevo che il libro era andato piuttosto bene, era quindi un periodo che ricevevo parecchie proposte per scrivere racconti in giro, proposte che per lo più rifiutavo per pigrizia o per tirarmela, quando mi contattò un redattore di Vice Italia chiedendomi di scrivere per loro. Era la prima volta che una piattaforma non letteraria mi chiedeva un contributo. Perché no? mi dissi, avrei accettato.
Entusiasta per la cosa, corsi a dirla al Maestro.
«Vice, Vice… ma è quell’obbrobrio che spaccia per inchieste roba del tipo “Abbiamo chiesto a gente della generazione Z (un frocio, un designer frocio, una cretina, una cretina lesbica, un nero) come è stare in una relazione poliamorosa” oppure “Il mio ragazzo dice cose sempre più misogine. Come mi comporto?”»
«È un giudizio severo, Maestro».
«“Come capire se il tuo partner sta facendo ‘quiet quitting’ dalla vostra relazione”».
«Mi pagherebbero».
«E quanto?» mi chiese con un ghigno.
«Dovrebbero pagare circa 50 euro a pezzo».
«Non male. Non male davvero… Pezzente».
«Suvvia Maestro».
Ma era già troppo tardi perché il Maestro si era aperto la patta dei pantaloni e mi aveva mostrato la sua grossa erezione in attesa che io iniziassi a lavorare di succhia-succhia.

Quella notte non riuscivo a dormire. Saranno state le due del mattino che mi ero messo a cazzeggiare freneticamente su internet per cercare l’idea per l’articolo, una qualche bizzarria che sarebbe potuta piacere ai redattori di Vice senza irritare eccessivamente il Maestro. Mi ero quindi messo su Reddit e mi stavo spulciando la sottosezione sul mondo BDSM. 
Fra i vari tread ne avevo beccato uno nel quale diversi utenti avevano postato annunci per trovare una dominatrice che li trattasse come bambini, ovvero che cambiasse loro il pannolino quando si facevano i bisogni addosso, che li imboccasse, li sgridasse eccetera, insomma un serie di maschi che trovavano sessualmente eccitante una donna che si comportasse come la loro madre. Si scambiavano informazioni sulle marche di omogenizzati migliori, sui pannolini, su ciucci e biberon, in definitiva erano delle persone con una profondissima cultura sulla neo-natalità paragonabile a quella di una puericultrice. Fatto sta che l’utente BIMBO72 commentò qualcosa tipo falsi e cattivi, lo dirò alla mamma, e subito sotto tutti gli appartenenti della comunità che lo iniziarono ad insultare con commenti di questo tenore:
Bambinone vattene,
sei solo un bambinone,
fai schifo bambinone,
bambinone di merda,
e così via. 
«Strano forte», fece il Maestro.
«Forse è solo un troll».
Incuriosito feci qualche ricerca sull’utente BIMBO72, il suo profilo rimandava a un solo altro post dove aveva caricato un’immagine di un uomo legato a un letto matrimoniale ai quattro arti. L’uomo era vestito con una tutina rosa a due pezzi da Cicciobello, aveva un ciuccio in bocca e i pantaloni, e gli slip erano calati alle ginocchia come se dovesse essere cambiato dopo essersi fatto i bisogni addosso ma ciò che davvero mi impressionò erano i suoi genitali depilati che pendevano mosci di fronte all’obbiettivo e che, nonostante l’impegno a renderli il più possibile glabri come quelli di un bambino, rimanevano volgari, pendenti, in altre parole, adulti.
Ne dovevo sapere di più.
Chiesi consiglio a un mio amico hacker, uno smanettone in fissa con il deep web e criptovalute che in quattro e quattr’otto mi fornì i dati su chi aveva fatto quei commenti. Si trattava di un certo Lucio Pozzi e risultava che i suoi commenti venivano scritti da un pc che si collegava da Anguillara Sabazia, un paesino sulle sponde del lago di Bracciano.

Quindi, sentendomi un giornalista d’inchiesta, presi e mi recai a Anguillara Sabazia a bordo della mia Alfa Romeo Giulietta portandomi dietro il Maestro che per opposizione non spiccicò parola per tutto il viaggio (c’è da dire che il Maestro odia il lago, dice che puzza, che è il mare di serie B).
Arrivai all’indirizzo che mi aveva fornito il mio amico e mi ritrovai di fronte a uno squallido palazzetto anni ’80 che costeggiava il borghetto medievale di Anguillara. Citofonai ma non rispose nessuno, andai quindi al bar di fronte l’appartamento e chiesi al barista se conoscesse un certo Lucio Pozzi. Il barista mi disse che sì, Lucio Pozzi viveva lì ma che al momento stava al lavoro, che faceva il commesso al Rocco Giocattoli di Formello. Un tipo sui generis, bello inguaiato a detta del barista.
Andammo quindi al Rocco Giocattoli di Formello, entrammo e individuammo il primo commesso a tiro, salopette blu, maglietta rossa e cappellino, praticamente una divisa da Super Mario.

«Guarda che sono disposti a fare certe persone pur di pagarsi il mutuo».
«Ma Maestro è un lavoro come un altro».
«Piantala di commiserare bonariamente il prossimo. È penoso. E sei penoso tu».
«Buongiorno», mi rivolsi al commesso.
«Ciao amici!» esclamò questo, «Come posso aiutarvi? È un mondo pieno di giochi super divertentissimi!»
«Ma è un cazzo di Tonio Cartonio», commentò sdegnato il Maestro.
«La prego Maestro, non facciamo figuracce. Senta, scusi, è lei Lucio Pozzi?»
«Ma sono io!» continuò eccitatissimo disegnando un grosso cerchio con le braccia.
«Ma ha un ritardato mentale?»
«Maestro la prego», supplicai a denti stretti.
«Scusate», fece allora il commesso riabbassando immediatamente i toni. «A volte mi lascio trasportare. Come posso aiutarvi?»
«Ma no le pare. Senta, sono uno scrittore e sono qui con il mio Maestro e… scusi l’invasione ma stiamo scrivendo un servizio sul mondo BDSM di Reddit, abbiamo trovato una discussione dove si parlava di Bambinoni e siamo risaliti a lei… può darci una mano?»
«No, scusate non so di cosa state parlando».
«Senta sappiamo molto, ma non tutto. Vorremmo capirci di più» e in tono un po’ ricattatorio gli dissi: «Non vorrei che certe foto trovate su Reddit girassero fuori dal web, non so se mi spiego».
«Ma… spioni!» disse indispettito.
«Dai dicci quello che vogliamo sapere» fece il Maestro. «E se dici tutto… vinci questa caramella» disse tirando fuori una Goleador alla frutta dalla tasca.
«Subito la caramella!»
«No, prima il dovere poi il piacere».

Parlò. Ci raccontò che esisteva una comunità dove gli adulti vivevano come bambini, lui ne aveva fatto parte per qualche anno ma poi era stato cacciato per motivi ideologici.
«Inizialmente eravamo un gruppo di persone libere che si eccitavano a vestirsi da bambini, era una cosa sessuale, capite? Farsi imboccare, farsi cambiare il pannolino, molti di noi venivano dal giro sadomaso, il mondo era quello. Però per alcuni era qualcosa di più del sesso, essere riportati a una infanzia, quello era… bellissimo. Poi qualcuno iniziò a dire di essere davvero un bambino… La Madre, il nostro master di riferimento, lei era una ex prostituta di Fiesole, vabbè questa è un’altra storia, donne stupenda, intelligentissima, materna, tutti volevano stare con lei, era circondata di bambinoni, ci accudiva, ci dava la pappa, ci cambiava, ci amava. E poi studiava, leggeva tantissimo, studiava la questione, la questione politica della cosa, perché è una questione politica, insomma… lei sta facendo di tutto per cambiare le cose… sta lottando per fare riconoscere il loro status legale di bambini. Lei ci vorrebbe, ops, li vorrebbe (perché io me ne sono andato) formalmente adottare, vorrebbe essere legalmente riconosciuta come la loro madre. Tanto per dire, uno dei primi criteri per entrare nella comunità è quello di nominare la Madre propria amministratrice di sostegno, lo hanno fatto tutti, in pratica lei gestisce i loro beni, tutto il loro denaro, gli immobili… alla fine, lei dice, sono bambini quindi incapaci di intendere e di volere.
Insomma, il tempo che trascorrevamo da adulti era sempre di meno rispetto al tempo che trascorrevamo da bambini finché la Madre vietò completamente di “entrare nei panni degli adulti”. Io non me la sono sentita di andare fino in fondo, così… ho mollato».
Io e il Maestro ascoltavamo con la bocca spalancata. Già fantasticavo su che pezzo stupendo avrei scritto per Vice, il migliore della loro storia. Gli chiederò sessanta euro, mi dissi con soddisfazione.
«Non ci posso credere».
«È tutto vero».
La faccia del Maestro si era illuminata in modo luciferino e iniziò a farfugliare fra sé come se gli fosse venuta un’idea in mente.
«Portaci lì» disse. «Dobbiamo vedere la comunità con i nostri occhi».
«Oh no, non posso signore».
Il Maestro gli si scagliò contro e lo prese per le bretelle della salopette fin quasi a sollevarlo:
«Senti coglione» gli fece, muso contro muso. «Se non mi dici immediatamente dove si trova la comunità ti brucio vivo».
«Ma Maestro!»
Gli occhi di Lucio Pozzi a quel punto si gonfiarono d’acqua ed esplose in un pianto singhiozzante:
«Non lo so dov’è la comunità! Si sposta sempre!»
«Buono, buono» gli dissi mettendogli una mano sulla spalla mentre questo affondava la testa nel mio petto continuando a piangere a dirotto. «Il Maestro è stato severo, ma lui non è cattivo, lo fa per spronarti. Fa lo stesso con me. Allora dicci, se la comunità si sposta sempre come facciamo a trovarla? Sei un ragazzo intelligente, sicuro lo saprai» dissi suadentemente passandogli la Goleador.
Il commesso si illuminò nello scartare la caramella e gustandosela, prese allora un foglio di carta a quadretti e un pennarello e si mise a scrivere con una calligrafia stentata e cubitale: piazza Remuria, Roma.
«Andate lì» disse e attivate la funzione di Telegram “Around me”. Questo è tutto quello che posso dire.
A quel punto il commesso corse via.
«Fermo! Fermo!» gi intimai, ma nel negozio era appena entrata una bambina con la madre e subito Pozzi li aveva accolti con il suo squillante: «Ciao amica!»
Avevamo un indizio.

Tempo un paio d’ore ed eravamo a piazza Remuria, uno slargo all’incrocio di diverse vie nel quartiere di San Saba a Roma al centro del quale c’era un parchetto con uno scivolo, un’altalena e poco altro, dove le mamme del quartiere portavano i loro figli a giocare. Era sera oramai e l’ultima famigliola si avviava verso casa per la cena lasciando il parco deserto. Mi sedetti su una panchina mentre il Maestro mi guardava dondolandosi su un cavalluccio a molla. Il quartiere era muto.
Che roba sarà questo Around me”?
«Ti dice i gruppi virtuali attorno a te. Lo sai no?!»
«Che?»
«Che su Telegram si possono comprare armi e droga? Sesso?»
«Immaginavo che si potesse usare anche in quel modo».
Tirai fuori il cellulare e aprii l’app di Telegram e avviai la funzione “Around me”. Sullo schermo iniziarono a comparire i gruppi che la mia posizione suggeriva. Mi misi a leggerne il nome ad alta voce:
Roma incontri,
Roma single,
San Saba Hot,
Conosciamoci,
Vogliose,
San Saba Poeti,
“AAA mamme cercasi”.
«Quello, quello!» sbraitò il Maestro.
Aprii il gruppo. Tutti i messaggi precedenti erano stati cancellati.
«Che facciamo?» chiesi al Maestro. «Che gli scrivo?»
«Lo sai quello che devi chiedergli».
«Cioè?»
«Lo sai».
Ci pensai su.
Voglio la mamma, scrissi.
Non successe nulla.
Chiusi il telefono scoraggiato quando un paio di minuti dopo sentii il cinguettio della notifica.
«Hanno risposto!»
«Che dicono?»
«È un link di Google Maps. Una posizione».
Cliccai sul link e si avviò Google Maps con l’indicatore rosso della posizione che si stagliava nel mezzo di una macchia verde, una foresta nei pressi di Poggibonsi.
L’indomani mattina saremmo partiti.
Quella notte il Maestro mi lasciò in pace.

Ho avuto un’infanzia felice. Figlio voluto, figlio unico, l’amore di mamma e papà. Di mamma soprattutto.
«Il complesso di Edipo è una cosa vera, verissima, non è un mito, non è una metafora, non è Il ruolo della tragedia greca come catarsi dell’inconscio, è vero, è letteralmente vero» dissi mentre sfrecciavo a tutta velocità sulla A1 direzione Poggibonsi.
«Tutte cazzate».
«Esiste invece, è reale!»
«E chi sei per dirlo?»
«Sono uno scrittore! Ho letto tutto Freud!»
«E io sono il tuo Maestro».
«Sì. Mi perdoni, Maestro».

Arrivati a Poggibonsi ci fermammo al primo bar a tiro e chiedemmo indicazioni su come raggiungere quella zona di bosco. Il barista chiese a un cacciatore e a un paio di fungaioli che dopo aver un po’ confabulato tra loro ci indicarono di prendere una sterrata da cui a un certo punto si dipartiva un sentiero che, eccetera eccetera, ci avrebbe fatti arrivare al punto prestabilito.
Arrivammo all’imbocco della strada sterrata, che si snodava dolcemente attraverso una foresta rigogliosa. Parcheggiammo e proseguimmo a piedi. I rami degli alberi si intrecciavano sopra la via filtrando delicatamente la luce del sole, creando una galleria verde che ci conduceva verso la nostra meta. Un sentiero rustico si apriva attraverso una fitta foresta, lo percorremmo tutto e in quaranta minuti arrivammo a una grossa radura dove un prato di un verde intenso si estendeva all’orizzonte. L’erba selvatica fremeva sotto al ritmo di una lieve brezza, mentre margherite e papaveri puntellavano di colori la distesa verde. In fondo alla radura campeggiava contro il bosco uno grosso casone di legno tipo baita con attorno tutte le altre casette che nel complesso formavano una specie di villaggio.
Ci avviammo verso le case quando un pallone Super Santos rotolò fra i piedi del Maestro.
«Scusi signore, palla!» mugugnò una vocina bianca, e davanti a noi si parò un cinquantenne sovrappeso con un berretto blu e una maglietta dell’Uomo Ragno che attendeva impaziente che gli ripassassimo il pallone.
«Salve» lo salutai.
«Ciao».
«Cosa sono quelle case laggiù?»
«È la mia casa. È la comunità “Sorriso nel bosco”».
«Lei vive lì?»
«Scusi signore ma la mamma dice che non posso parlare con gli sconosciuti» continuò con voce esageratamente melensa.
«È disgustoso» fece il Maestro.
«E dove possiamo trovare la mamma?» dissi stando al gioco.
«È là» disse il bambinone indicando l’edificio principale. «A casa con papà».
Proseguimmo verso gli insediamenti di legno e iniziammo a vedere abbandonati a terra trenini, macchinette, bambole, secchielli e palette, sembrava che fossimo finiti in un asilo all’aria aperta nel cuore del bosco. Davanti a noi dei signori si dondolavano su un paio di altalene mentre altri sullo scivolo accanto emettevano delle risatine nasali durante la discesa per poi rialzarsi e correre nuovamente verso le scalette muovendosi a balzi invece che camminando. Un suono di risate e voci felici emergeva da un cerchio di bambinoni che giocavano a morra cinese. Un altro gruppetto si inseguiva giocando probabilmente a guardie e ladri. Altri due stavano seduti sul prato chini su delle figurine che probabilmente si stavano scambiando. I bambinoni ci guardavano distratti senza darci alcuna importanza per poi risprofondare immediatamente nei loro giochi.
«Roba da matti» feci al Maestro. «Ci verrà su un articolo pazzesco. Altro che Vice…»
«Come minimo ti fai pagare 100 euro».
«Altro che. Ci faccio un saggio. Una roba alla De Martino. Lo mando a Raffaello Cortina, a Bompiani».
«Perché non a Einaudi?»
«Sì lo mando a Einaudi».
«Bravo» mi assecondò lui con il suo sorriso maligno.
Cammina cammina eravamo arrivati davanti all’entrata dell’edificio principale. Bussammo. Ci aprì la porta una signora grassoccia con i capelli a caschetto. Aveva delle gambette sottili che spuntavano da sotto un gonnone a fiori dandole un aspetto buffo ma accogliente. Materno.
«È la comunità “Sorriso nel bosco”?»
«Sì buonasera» fece lei sorridendoci con i denti ingialliti.
«Mi presento, sono uno scrittore. Lui è il Maestro».
«Piacere Micaela. Che vi porta qui?»
«Sa, ho saputo della vostra comunità ed ero interessato a conoscervi. Mi piacerebbe, se fosse possibile, intervistarla, conoscere la vostra filosofia, come è nato il progetto. Sa, degli adulti che si vestono da bambini…»
«Innanzitutto, loro sono bambini».
«Sì, certo» fece scettico il Maestro.
«S-sì. Naturalmente».
«No, guardi, chiariamoci su questo punto» fece lei, «queste docili creature sono bambini. Magari la pesano un po’ di più, magari l’hanno qualche pelo in più e qualcuna avrà pure le mestruazioni, ma bambini lo sono, hai voglia. Ho passato la vita a combattere e ancora combatto affinché le persone come voi accettino questo fatto. Loro sono bambini».
«No mi scusi è che non conoscendo…»
«No guardi siamo partiti proprio male. Comunque, già che ci siete ditemi».
«Mi scusi, volevo dire, non è molto convenzionale una comunità di bambini nel bosco. Eh sì… mi piacerebbe intervistarla, magari parlare con qualche bambino. Mi spiace essere piombato qui senza preavviso ma sono riuscito a contattarvi in altro modo».
«Eh sì noi qui non ci si ha né mail né telefonini. Non ci hanno mai intervistato… Chiedete pure».
In quel momento un tanfo di feci riempì l’aria e un altro bambinone vestito di blu arrivò di corsa tenendosi il sedere con entrambe le mani mentre batteva freneticamente i piedi sul posto.
«Mamma! Mamma!»
«Oh Giannino! E che è successo?»
Il bimbo non rispose continuando la sua frenetica corsa sul posto.
«E che te la sei fatta di nuovo nei pantaloni?» fece la donna mentre si chinava a odorare il sedere dell’uomo.
«Scusate eh, ma qui ci s’ha sempre da fare. Con tutti questi bimbini…»
«Meraviglioso! Meraviglioso!» fece diabolico il Maestro accendendosi una Camel.
«No scusi eh! Qui non si fuma» lo rimproverò la donna.
«Maestro la spenga!»
«Sentite» continuò la donna come fossimo una scocciatura. «Io qui c’ho da fare. Se andate nel salottino in fondo c’è il mio socio Valter, il babbo».
Ci avviamo verso la sala che ci aveva indicato la donna, sui vetri delle finestre erano appiccicati dei fiori di carta colorati, alle pareti una serie di disegni infantili poco più che scarabocchi, e mentre camminavo non riuscivo a levarmi dalla testa quell’uomo adulto che se l’era fatta addosso e tutti quei signori che con le caccole agli occhi lallavano, facevano ba ba, avevano la schiumetta alla bocca, e per un attimo, per un solo attimo, ebbi la chiara percezione di quanto misera fosse l’esistenza e in particolare la vita adulta tanto da costringere delle persone a ritirarsi dalla realtà e rifugiarsi nella loro infanzia.
«Ue! Coglione!»
«Sì, Maestro?»
«Che fai?»
«Niente, niente, ero sovrappensiero».
«Pontificavi?»
«Ma no le pare».
«Sì sì miserabile. Pontificavi. Stupido cretino ritardato, inizia a bagnarti che stasera ti tocca il succhia-prendi».
Stavo per supplicare il Maestro di non farmi del male, che lo avrei accontentato in ogni modo possibile se solo mi avesse risparmiato il succhia-prendi quando vidi una ragazza bionda che seduta a terra giocava con una Barbie e una bambola di Ken seminudi. Era bella da far paura, tutta soda con le curve nei punti giusti e che nonostante quelle vesti da innocente creatura aveva un’aria da porca che… lasciamo stare.
«Oh, mamma» fece il Maestro.
«Ciao signori» fece lei.
«Ciao. Come ti chiami?» balbettai.
«Sara».
«Ciao Sara. E che fai?»
«Gioco a marito e moglie».
«Vai vai stai andando fortissimo!» fece il Maestro.
«C’è il signor Valter?»
«Papà è uscito».
«E dove lo posso trovare?»
«Mi aiuti?» fece lei mostrandomi le due bambole nude incastrate tra loro. – Non riesco a separarle.
Presi le bambole e iniziai a districare il braccio di Ken che si era annodato fra i capelli di Barbie.
«Ti piacciono le bambole signore?»
«Come no!» rispose per me il Maestro.
Separate le bambole le ripassai a quell’essere splendido.
«Grazie!» fece la bambinona, gattonò verso di me, si alzò sulle ginocchia inarcando la schiena e spingendo fuori i seni duri, si avvicinò alle mie gambe e mi abbracciò passando le braccia dietro al mio sedere e premendo la bocca socchiusa contro il mio pacco. Ora avevo un’erezione abnorme e quell’essere ci aveva letteralmente spalmato sopra la bocca sbavando contro la sagoma del mio cazzo che si intravedeva attraverso i jeans.
In quel momento entrò un uomo in camicia e pantaloni di flanella con un aspetto finalmente da adulto.
«Piacere, Pelosi Valter, medico psichiatra. Sono il babbo dei piccoli».
«Tutti?» chiese il Maestro.
«Sì tutti. Sono il responsabile qui insieme alla Micaela. La mamma».
In quel momento la bambinona tutta tette e culo corse incontro all’uomo e gli saltò in braccio:
«Papà» disse riempiendolo di baci sulle guance e sulla bocca mentre l’uomo la ricambiava con tenerezza. Poi gli si sedette sulle ginocchia mentre questo la baciava da dietro e le odorava il collo. Lei, irrequieta, iniziò a tirarsi la maglietta come se si annoiasse, la tirava e l’alzava mostrando i seni nudi candidi e pieni.
«Che sfacciata» fece il Maestro divertito.
«Allora mi ha detto la Micaela che siete dei giornalisti».
«Scrittori» precisò il Maestro.
«Sì, volevamo scrivere un servizio sulla comunità».
«Certo siete i benvenuti. Beh, ditemi che volevate sapere?»
Così su due piedi cominciai a farfugliare qualche frase rendendomi conto di non essermi preparato nessuna domanda
«Sì… allora, innanzitutto volevo sapere come è nata la comunità, come sono arrivati qui questi adulti… cioè volevo dire bambini, che però… insomma, delle loro vite precedenti, prima di venire qui intendo, chi fossero perché…»
«Ho capito, ho capito. Veniamo al punto» fece risoluto il dottore, «partiamo da un fatto, i bambini, per come li si intende noi oggi, non esistono in natura. L’infanzia… eh l’infanzia l’è un costrutto sociale. Il concetto stesso di infanzia è diverso nelle diverse parti del mondo ed è cambiato nel corso della storia. Nel Medioevo, per dire, i bambini l’erano considerati “piccoli adulti”, giocavano d’azzardo, correvano liberi per le strade… non è che li si controllava, si vestivano come adulti, aiutavano in casa, la lavoravano pure! Sapete no delle miniere di carbone. Pensate a Mozart che da piccinino scriva commedie e che componeva pure… tutto normale per l’epoca. Insomma, una volta che non erano più neonati venivano socializzati allo stesso modo degli adulti. Certo, a parte il lavoro minorile vi era una generale mancanza di cure. Il costrutto sociale dell’infanzia si è sviluppato grazie all’istituzione della scuola. C’era bisogno di un periodo della vita da dedicare all’apprendimento teorico, che i bambini andassero negli istituti e avessero la loro vita quotidiana unica separata da quella degli adulti. Ecco allora che son nati i giochi per bambini, i vestiti per bambini, i libri per bambini, i cibi… è nata una cultura dell’infanzia. L’è tutto arbitrario, capite? È un costrutto culturale e in quanto tale se delle persone biologicamente “adulte” si sentono bambini, per Diana, vagli a dì di no, quelli son bambini».
«Oh, mamma» continuò poi. «Ma son le cinque. Io qua mi metto a parlare e il tempo passa. Sentite, noi ora si prepara i bambini per la cena, loro mangiano alle 18, io e la Micaela ceniamo per le 21 dopo che abbiamo messo tutti a nanna. Restate qui, siete nostri ospiti, ci tengo, andate in camera a riposare, poi si cena assieme, domani potremo finire l’intervista e dopo pranzo potrete ritornare a Roma con calma».
«Ma no non serve» rifiutai per cortesia.
«Insisto».
«Accettiamo!» irruppe il Maestro.
«Allora noi andiamo a fare il bagnetto» disse lo psichiatra prendendo la donna bambina per mano e trascinandola verso il bagno. «Ci laviamo tutte e ci profumiamo» continuò, poi le diede un buffetto sul sedere, un gesto innocente se solo quell’essere non avesse avuto vent’anni e non fosse stata una bomba sexy.
«Noialtri ci si vede qui alle 21 per la cena».
Il manutentore della struttura, Marcus, rumeno, l’unico altro vero adulto della comunità, ci accompagnò in una camera e ci diede degli asciugamani puliti. Era una stanzetta matrimoniale molto neutra, era stato dato per scontato che io e il Maestro avremmo condiviso il letto. Ero convinto che una volta chiusa la porta e rimasti soli il Maestro avrebbe iniziato a farmi le sue cose ma invece non pareva in alcun modo interessato al mio corpo.
«Hai visto quanta roba la “bambina”?»
«In che senso?»
«C’è solo un senso».
«Ma no Maestro, è una poveretta».
«Sarà una poveretta ma è stratosferica. Hai visto che culo. Hai visto che bocce. Dio…»
«Ma è una disturbata».
«Fossero tutte così disturbate… Te la scoperesti eh?»
«Cosa?»
«Non vedi l’ora, porcone».
«Ma che dice?»
«Senti facciamo così. Te la vado a chiamare».
«Ma no Maestro. No».
«Ma sì fidati, te la porto».
«No. Che fa?» ma era troppo tardi e il Maestro era già uscito chiudendosi la porta alle spalle.
Poco dopo bussarono.
«Ah, Maestro era tutto uno scherzo!» aprii ma davanti a me mi ritrovai la meravigliosa creatura con un pigiamino rosa attillato dal quale spuntavano i puntini dei capezzoli duri che mi guardavano pieni di promesse.
La ragazza mi venne incontro e mi abbracciò spalmandosi sul mio corpo:
«Ciao signore di Roma».
«Buonasera» risposi cercando di rimanere freddo mentre il suo profumo già mi ingrifava tutto.
«Beh vi lascio soli».
«No Maestro non…» ma per l’appunto si era dileguato lasciandoci soli e già le mie mani erano dentro i pantaloni del pigiama di lei e le palpavo le natiche fresche e piene separandole e aprendole il sesso mentre questa si spalmava e si schiacciava contro il mio corpo e la mia erezione, infoiatissima e allo stesso tempo inconsapevole di come procedere. La guidai iniziandola a quel piacere vizioso, le sussurravo all’orecchio, la rassicuravo, assecondavo la sua vogliosa curiosità.
D’improvviso la porta si spalancò e comparve il Maestro che accese la luce rivelando il mio peccato.
«Pedofilo! Pedofilo!» urlò.
In quel momento tutte le luci del villaggio addormentato si accesero e in men che non si dica una serie di bambinoni accorse alla mia stanza. Io e la splendida creatura eravamo ancora nudi ed avvinghiati e un sacco di altri bambinoni vedendo la scena iniziarono a emettere risolini imbarazzati, altri a piangere, altri ancora a coprirsi gli occhi con le mani.
«Presto chiamate la polizia!» continuò il Maestro sadicamente e anzi prese proprio il cellulare in mano e compose il 112.
«Maestro no, la prego!»
«Sì pronto carabinieri? Sì volevo denunciare un pedofilo. Sì sì l’ho colto in flagrante. Siamo alla comunità “Sorriso nel bosco” a Poggibonsi. Sì quella con i pervertiti».
«Maestro perché?» chiesi disperato.
Nel frattempo il volto angelico della bambinona sexy si spremette in una smorfia, gli occhi le si fecero piccoli piccoli, tirò in giù il labbro inferiore e scoppiò in un pianto carico di senso di colpa.
«Non lo dite alla mamma» piagnucolò.
«Sta arrivando lo psichiatra» fece il Maestro divertito.
«No! No!» imprecai mentre provavo a rivestirmi alla rinfusa. «Dobbiamo scappare».
Mi infilai i jeans senza mutande e scalzo e a torso nudo presi le chiavi della macchina, afferrai il maestro per un braccio e lo trascinai di fuori diretto verso la radura.
«Dove scappi?» fece lui ghignante.
Raggiungemmo il sentiero, io correvo al massimo delle mie possibilità mentre i piedi nudi mi si aprivano contro le pietre e i detriti del sottobosco. Il Maestro mi seguiva svogliatamente, più lento, come se volesse rallentare apposta la mia fuga.
Raggiunsi l’auto.
«Forza!»
«Arrivo, arrivo» continuava placido lui.
Appena fui dentro misi in moto e mi lanciai lontano da quel luogo. Guidavo come un forsennato per i tornanti del senese diretto verso l’autostrada. Era buio, le ruote fischiavano ad ogni curva ma nella valle risuonava il suono delle sirene dei carabinieri che ero sicuro mi stessero dando la caccia. Quando cominciai a vedere dallo specchietto retrovisore degli aloni azzurri mi disperai:
«Sono qui! Ci hanno preso. Mama, mammina, mammetta, mami. Mammina mia. Mi manca la mamma».
Fu in quel momento che mi accorsi che il Maestro stava trafficando con una busta di plastica e il suo contenuto.
«Ho una cosa per te».
«Non è questo il momento Maestro».
«Non hai capito. Guarda qua».
«Ma sono farmaci».
«Esatto».
«Ma che ci faccio adesso con delle medicine?»
«Guarda meglio. Sono estrogeni. Senti a me. Ho io la soluzione. Tu adesso ti fai fare delle iniezioni di ormoni, non a dosaggio pieno sia chiaro, non devi mica farti crescere le tette, giusto per rendere i peli meno ispidi e farti salire un po’ la voce. Continui per un paio di settimane e già i testicoli ti cominciano a risalire e la voce, beh, la voce è anche una questione di impostazione, ti basta parlare con un innamorato, fai la vocina, una vocina perenne e squittente facendo finta di non saper pronunciare le esse e già dopo un paio di settimane il diaframma ti si abitua, pronunci le esse mettendo la lingua fra i denti, sibilandole, facendole somigliare a delle effe, tenendola a lungo, e il gioco è fatto».
«E con questo?» chiesi continuando a sfrecciare per i tornanti.
«E con questo?! Non è chiaro? Regredisci, diventi un bambino. Un bambino che si scopa una bambina. E che è reato questo? E disimpari. Disimpari progressivamente a scrivere, a pensare, torni a giocare. Ti ricordi i castelli Lego? I Playmobil? Torni a giocare con i pupazzetti, con le spade, col pongo. Ti ricominci a guardare i cartoni animati di Batman. E che è reato questo? Torni da mamma. Torni a farti imboccare, a farti lavare, a farti cambiare i pannolini. Torni in utero. L’incoscienza, allievo mio, e torni a essere uno con tutto. Questo è l’Edipo, il paradiso perduto».
Guardavo il Maestro ipnotizzato dal suo fare mellifluo e unto, sì, sì gli stavo per dire, sono tutto suo, Maestro, quando andai lungo fracassandomi contro un albero. Neanche il tempo di far scoppiare l’airbag che i carabinieri mi erano addosso ammentandomi i polsi dietro la schiena:
«Ti abbiamo preso, pedofilo».

*

«Alla fine l’articolo per Vice non l’ho più scritto».
«Meglio così».
«Mi verrà a trovare in carcere Maestro?»
«Vedremo. A mia discrezione».
«Ma Maestro…»
«Che ci vengo a fare? Lo sai quello che fanno a quelli come te. Hai le ore contate. Pedofilo di merda».
«Ha avvertito mia madre?»
«Tua madre è morta, coglione».
«Suvvia Maestro».
«Che fai ora ti metti a piangere?»
«No. Maestro».
«Vieni qui allora».
«No. No Maestro, ora no. La prego, mi levi la mano dai pantaloni».
«Shhh, fai il bravo adesso».
«Tutto ciò che desidera, Maestro, mio Maestro».

 

Alessio Mosca

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