Il vuoto e la Madonna

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SCENICCHIA UNA SEGA #1 PRATICAMENTE UN FESTIVAL- SABATO 8 DICEMBRE 2018- SPARWASSER ORE 20:00

Amici, per superare la concorrenza dei lit-bot, riviste intelligenze artificiali, finanziate da oscuri fondi editoriali russi, Verde corre ai ripari e segue l’esempio delle grandi fusioni  e/o sinergie (Bayer-Monsanto, Luxottica-Essylor, Google Android), ergo:
dopo Mondazzoli, Repubblampa (O Stampubblica), Veltrusconi, Renzusconi, Quarau, Santamerro’s, Carell’tuono, Barbierinelli, De Capitenelli, è giunto il turno di un Godzilla nato dall’odio per le conventicole e le frustrazioni da insel (TM): VERDAPULA, Il Tetsuo vorace di sangue di vergini ancora impubblicati.
Do you remember il capitoletto sulle sinergie in NO LOGO dell’amica Klein? (Segnaliamo una sua intervista sul numero 36 di Congegno Rivista a cura di Mario Bolognini).
Avete presente il finale di Tetsuo? Ecco, con Crapula potrebbe accadere una cosa così: la fusione e la creazione di un’unica macchina pronta a seminare caos, scissioni e morte nella lit-web. Arterie, condensatori, plasma, olio per motori, circuiti, cavi, vene, ossa, feed, rss, like, condivisioni, tanto (troppo) facebook, commenti, segnalazioni, troll, liti, incomprensioni, dossieraggi, liste nere, endorsment, colpacci, parente contro genna, fallimenti, tempo buttato, lavoro gratuito, gloria e fama solo sull’elettrocarta, ma manco quello, pulsioni luddiste, reputazioni a rischio, lavori da educatori, imprenditori, broker, funeral planner in bilico, ebook e ferite da carta, boicottaggi, cyberbullismo, crociate antisessiste, convenevoli che durano pochi secondi, reale lit wrestling e strette di mano poco convinte.

Sabato siamo quasi al completo, solo un concetto e una persona impediscono che VERDE si ricomponga come un Frankenstein: LO CHEF BARBIERI, con le sue camicie floreali, psichedeliche, pensate dal grafico di Crack Rivista, con il suo tortellino carnivoro nel taschino, ghiotto di mosche e lit blogger, e il punk rock, che pensavamo attaccato a dei sondini, accudito, pettinato da suore tipo bambolina-vegetale a letto, invece no, colpo di reni del PUNK-ROCK, che ci priva di un valente ex? lit-wrestler. Sabato, quindi, saremo incompleti e bellissimi, come La Sagrada Familia.
Per suggellare questo incontro Verde-Crapula (non nel senso pugilistico del termine, almeno per ora) colmo di pregiudizi e diffidenze, oggi pubblichiamo un racconto del bombarolo voyeur e pazzesco Alfredo Zucchi dal titolo Il vuoto e la Madonna (ma si eccita come, di preciso? è un feticista degli ordigni? Alfredo è un amico, è il Claudio Santamaria delle Lettere, ma no, Verde è non violenta; ci spiace Al, la bomba ci piace solo boomeranga. Come dite? Dovremmo leggere il libro? Non abbiamo capito un cazzo, dite? Mah, può essere, ma piano con le parole. Charlton Heston è un amico, ma pure Danilo Dolci). E mercoledì un racconto del tentacolare e pazzesco Andrea Zandomeneghi; è ancora crapulo? boh, nel dubbio se possiamo seminare dubbi e tensioni non sopite, lo facciamo con piacere.
Vi promettiamo però una cosa: non arriveremo mai ad aver profilo fb comune con Crapula, come certe coppiette. Al massimo potremmo mettere ogni mese una foto profilo diversa con il logo della rivista che dissiamo e distruggiamo: come degli scalpi. Prossimo mese: Crack Rivista. Poi sarà il turno di Risme. Scherziamo, komtamini! (da ketamina, spezzare insieme la ketamina, meglio del pane, no? Le ideologie sono crollate, lo sapevate? Cosa rimane? IL CAPS LOCK, crediamo).

QUINDI: Sabato 8 dicembre live dissing con gli amici di Crapula, una sola parola d’ordine: WORDPRESS REALE. 8 dicembre, chiaro? John Smith sarà il nostro Mark Chapman? Se non lui, chi? Laurenzi, Ardacoda, Stagno, Dee o altri patetici troll? Lo scopriremo a Roma, MOLTI TROLL, MOLTO ONORE. E ora buona lettura: c’è Zucchi.

Tornare ogni volta è stupendo, tutto è rimasto uguale: le pozze sul basalto tra i vicoli sanno di pesce vivo, c’è un’aria salata che viene da est e sembra di stare in un grembo acquatico appena sguainato, apri gli occhi e le cose non sono ancora putrefatte. Per strada la gente saluta e ti spinge, ti assalta, saltella, sputa per terra e sorride. Voglio andare là, dove andavo sempre, c’era quel mercato coperto in zona porto, chi sa se c’è ancora. È un odore di cose appena morte ammucchiate che cristo non so se ho fame o voglio scopare: è il mare nostro affollato di corpi, anime e piante, cozze, polpi e bagnanti, e chi va per strada sta sognando il deliquio per acqua perché chi vive vuole morire godendo.

In piazza c’è un affare nel mezzo, un palco e uno schermo, qualcuno si sgola in piedi per avere l’attenzione dei passanti ma questi s’infilano a imbuto nel mercato coperto a due passi, guardano il tizio che grida e ridono e lui finge una delusione lacerante. Chi sa se dentro c’è ancora il banchetto del baccalà con quella bionda che sciacqua, dissala e sviscera come Diana nel bosco dei pesci. Mi imbuco a spallate, è un festivo e la gente si riversa dentro come in un bordello, e ogni corpo mi dice ho fame e io rispondo pure io ho fame. I corridoi sembrano più stretti dell’ultima volta, eppure la struttura è identica: c’è il metallo a vista sul soffitto, le vetrate, i rivoli – sale e acqua, sangue, acqua e visceri – che scorrono per terra come il tappeto rosso delle occasioni uniche. Ogni volta è la prima e l’ultima, questo ormai l’ho imparato.

Qualcosa è cambiato ma non l’essenziale – vedo in un angolo remoto del mio occhio il banchetto e la bionda. L’ultima volta non era lì, ne sono certo, non vicino a quello delle alici, è impossibile. Mi avvicino e il mio sguardo incrocia il suo, sorridiamo insieme.
È una donna anziana ma le sue mani sono eterne, mi fa cenno con la testa e con le braccia, dice tra un attimo sono da te e io ugualmente col capo le faccio che non abbia fretta, che il tempo si è fermato. Davanti al banco del baccalà osservo l’animale disposto in vaschette diverse secondo i tagli e i gradi di salatura – io voglio i pezzi alti e spessi, non ho mai voluto altro.

La bionda ritorna e qualcosa nel suo sguardo è mutato: non mi sorride, è ostile. Mi chiedo d’istinto cosa ho sbagliato, se la mia postura tradisce la fretta, se la mia voce ha infranto, parlando, un codice ignoto – forse un codice nuovo, o uno che ho dimenticato, dopotutto torno solo due volte l’anno e sono ormai uno straniero. La bionda si avvicina al banco, senza guardarmi chiede chi è il prossimo. Io alzo la mano, mi sento goffo e umiliato, alzo la voce e non so più quale registro adottare mentre le chiedo quattro pezzi alti, i più alti e spessi che esistono. Lei mi fissa e sorride ma ora è un ghigno – la sua testa si volta di colpo a sinistra, dove un altro richiama la sua attenzione. C’era prima il signore, fa la donna. Non è vero, troia, e lo sai. L’uomo dietro di me ha una voce calda, la sua calma è insopportabile. Ordina tre pezzi alti e due alette per il fritto e per me è la fine o l’inizio. Grido e lo insulto nella sua lingua che è la mia vecchia lingua – una che contempla nel registro basso un’infinita serie di varianti della bestemmia, del calembour e dell’insulto. Non mi volto verso l’usurpatore, lo aggredisco fissando la troia che mi ghigna in faccia – è che adoro insultare la gente senza guardarla, come bestemmiare il vuoto e la madonna. L’uomo non reagisce, la sua fiducia dev’essere illimitata, l’attenzione della bionda è tutta per lui.

Solo allora mi volto – ho esaurito la catena della bestemmia, i rivoli di visceri e acqua per terra mi riempiono la bocca: non ho più fame, la voglia mi abbandona. Affoga, muori per acqua, anche tu come tutti – che un batterio del crudo si attacchi al tuo stomaco e la tua vita regredisca alla base, al parassita, al brodo primordiale. Acqua, visceri e sangue: la tua bocca sia la fonte putrefatta, la sorgente morta. Mi volto infine e lo guardo, senza impeto, lo guardo in faccia e quell’uomo, l’usurpatore, sono io.

Alfredo Zucchi

 

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