IL MIRACOLO DELLA VITA

Nella notte tra il 31 dicembre 2015 e il 1 gennaio 2016 Vinicio Motta ha completato il terzo capitolo della sua Trilogia Fecale. Titolo: Il miracolo della vita. “Sono già al lavoro su una cosa nuova per Verde”, ci ha comunicato pochi giorni dopo, “ispirata al collettivo Anonymous, magari a puntate, roba breve, autoconclusiva, ma collegata narrativamente. E basta con la merda!” ha giurato. Ma poi a Firenze, dove Vinicio ha letto Dallo scarico all’alba, lo abbiamo quasi convinto a pensare a un prequel di Mercuriale Sulfureo-Scatologico. Come andrà a finire?
Illustrazione di Silvia Priska Benedetti (Dodici).

Sono un uomocacca, sono nato trentanove giorni fa su questo pianeta di sabbia e sono fatto perlopiù di carne: nel mio petto batte un cuore di merda arido e rovente come il deserto sotto i miei piedi. Ho fatto il giro del mondo centouno volte, ma di altri miei simili, finora, ahimè, neanche l’ombra. Il privilegio di battezzare il pianeta, quindi, immagino spetti a me.
Lettiera?
Mmmh… suona bene. Sì, mi piace!
È deciso, allora: questo mondo, la mia casa, d’ora in avanti si chiamerà così: Lettiera.

Con una pisciata, spiano una duna. Osservo il risultato del getto poderoso del mio pene e mi sento un dio.
Interessante: il rilievo appena eliminato nascondeva qualcosa… Dalla sabbia impregnata di urina, spunta il vertice marrone di un oggetto a prima vista squadrato, che subito recupero con entrambe le mani.
Un cubo marrone.
Inutile. Ma tutto sommato affascinante.
Decido di tenerlo: mi terrà compagnia nel prossimo giro del mondo.

Con decisione estemporanea, lascio cadere a piombo il cubo e, prima che tocchi terra, lo colpisco con il collo del piede sinistro. Dopo un volo che sembra non finire mai, il proietto scompare al di là dell’orizzonte.
Mi sono divertito.
Ansioso di ripetere quanto prima il gioco, inizio a correre verso il luogo dell’impatto. Dopo circa un minuto, destinazione raggiunta.
Mi fermo.

Il cubo, che, nel frattempo, mi pare si sia ristretto, galleggia al centro di un lago di diarrea. Mi inoltro lemme lemme nel bacino, la cui profondità, al mio secondo passo, è trascurabile: sono immerso fino alle caviglie.
Mentre mi avvicino alla meta noto che, circa ogni quattro secondi, il cubo rimpicciolisce sempre di più, fino a scomparire un attimo prima che io arrivi a sovrastarlo.
Sono un fallito, ho appena perso il mio primo giocattolo.
Nella speranza di risollevarmi il morale, mi affido all’adrenalina e inizio a correre dritto davanti a me.
Una scossa di terremoto. Poi un’altra.

Causa i due sismi, perdo quasi l’equilibrio. Così, per non rischiare di cadere qualora si verificasse un nuovo movimento tellurico, decelero sino a fermarmi.
Istintivamente, mi volto di centottanta gradi.
In corrispondenza del lago di diarrea si erge, immobile e con il sole alle proprie spalle, un uomocacca alto come otto dune che, nel momento in cui cerco di metterne a fuoco i dettagli somatici, inizia a crescere di dimensioni.
A questo punto, mentre l’aria si satura di una puzza talmente orribile da farmi vomitare frammenti di cuore, l’uomocacca gigante – che battezzo Titanomerda – lambisce i miei piedi con la sua ombra e di colpo smette di espandersi.

Scoprire che Lettiera non è una desolata palla di sabbia mi infonde allegria. Certo, avrei preferito condividere il pianeta con un mio simile, ma non mi lamento. Anzi! Qualcosa infatti mi suggerisce che, in quanto aberrazione, Titanomerda renderà più sfaccettata, e quindi più interessante, la realtà a cui appartengo.
Impaziente di fare amicizia, urlo con tutto me stesso Titanomerda alla volta del gigante: lento come una nube quando c’è pochissimo vento, si scrolla la sabbia di dosso e poi, sempre lentissimamente, si incammina nella mia direzione, causando a ogni passo un terremoto.
Diciotto secondi dopo, quattro, forse cinque dei suoi passi ci separano, Titanomerda smette di avanzare, si accovaccia e infine defeca qualcosa che, da questa distanza, mi pare abbia le mie stesse dimensioni.
L’oggetto appena cacato dal gigante comincia a brillare fortissimo, accecandomi.
Serro gli occhi.
Un’esplosione e vengo travolto da un liquido bollente come il mio cuore.
Il bagliore termina.
Riapro le palpebre e il gigante non c’è più.
Il deserto è ricoperto di diarrea… laddove c’era Titanomerda, ora c’è una donna cacca, alla quale mi avvicino arrapato, per poi cingerle con le mani i fianchi e, immediatamente dopo, con la punta del mio glande, tracciare nella merda che le ricopre il basso ventre un membro virile con un deretano al posto dei testicoli.
La donnacacca si inginocchia e comincia a spompinarmi.
Le vengo in bocca, dopodiché attacco a defecare.
Mi sento svenire… sto cacando anche i miei organi interni.
All’improvviso, io e la mia compagna di viaggio ci ritroviamo sul fondo di un cuore pulsante fatto di merda secca e fredda.

Sto congelando.
Utero.
È la mia nuova casa.
Si sta un po’ stretti, qui dentro. Ed è sempre buio. Ma l’ambiente, nel complesso, è accogliente.
Una luce.
Soffro: l’utero non mi vuole più – spinge per farmi uscire.
Non voglio andarmene…
Ma in un attimo sono fuori.
Piango.
Strillo.

Inizio la scuola…
Non vedo l’ora di essere vecchio.
Medie, primo giorno degli esami di Stato.
Un anno dopo, perdo la verginità.
La scuola è finita.
Università fuori sede.
Medicina.

Convivo con una collega di corso. Mi lascia quando scopre che le annuso di nascosto le mutande sporche di merda. Amo l’odore della merda.
Divento un medico di base.

Internet.
C’è di tutto, su Internet.
Persone come me. E zero giudizi…
Il paradiso.

Quando io e la merda non ci vediamo per una settimana, impazzisco. I miei amici, che non cono-scono la sorgente del mio disagio ma solamente i suoi riflessi sul mio quotidiano, mi consigliano di andare dallo psicologo. Magari sei soltanto stressato, dicono. Ti devi sposare, chiosa mia madre.
E va bene, psicologo sia.

Prima seduta. Il terapeuta mi chiede di parlargli della prima cosa che mi viene in mente.
Gli racconto del mio amore per la cacca e della mia difficoltà di farlo convivere con il resto della mia vita.
Lui ascolta in silenzio.
Quando finisco, mi chiede come mi sento.
Rispondo che non capisco la sua domanda visto che, aggiungo, dal mio discorso avrebbe già dovuto capirlo.
«Me lo dica lo stesso».
Gli rispondo che mi sento una merda.

FINE (?) Qui la trilogia completa

Vinicio Motta

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