Tempi strani

“Babbo Natale ha il cancro, quest’anno non passa. Ho un sapore di amaro e metallico in bocca; dalla finestra del salotto il parcheggio davanti a casa è vuoto e innevato e le mie mani sono scarnificate dai disinfettanti, premo i polpastrelli contro il vetro della finestra per fare un disegno, e nel disegno ci sei tu.” È l’incipit di Tempi strani, il racconto di natale 2020 che Paolo Gamerro ha scritto per noi. È bello conservare le tradizioni a cui siamo più affezionati e quella di Paolo a natale su Verde lo è (ma anche Andrea mica male).
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La diretta di ieri è stata pazzesca ed è durata tre ore. Auguri a tuttə, se passate a ora di pranzo vi facciamo un (altro) regalo.



Babbo Natale ha il cancro, quest’anno non passa. Ho un sapore di amaro e metallico in bocca; dalla finestra del salotto il parcheggio davanti a casa è vuoto e innevato e le mie mani sono scarnificate dai disinfettanti, premo i polpastrelli contro il vetro della finestra per fare un disegno, e nel disegno ci sei tu.

Ho paura di tutto, sono anni che è così, ma oggi la paura si acuisce di più e la sento salire dalla gola, è una melma nera la paura. Fredda. Dove c’era il videonoleggio adesso c’è un negozio che vende cover di cellulari, e davanti alla serranda abbassata un ragazzo col sacchetto della spesa giallo in testa parla da solo e cammina avanti e indietro. Lì vicino c’è lo studio del mio medico.

Uno studiolo, poco più grande di uno sgabuzzino. Il mio medico è tutto imbardato, anche d’estate, come se patisse un freddo terribile interiore, sempre. Scrive impegnandosi, teso, vuole fare in fretta, il graffio della penna sulla carta grigiastra, la faccia contorta e lievemente blu, la camicia azzurro ospedaliero quasi verdino, poi non appena sento il telefono vibrare nella tasca dei Carhartt mi chiede: Stai dormendo un po’ di più? Sulla sua scrivania un piccolo alberello di natale le cui luci si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono, si accendono e si spengono.

L’insonnia fa piangere tanto quanto l’amore nella famosa canzone di Luca Carboni, quando non dormo vivo un’altra vita che è più violenta di quella diurna, spesso in salotto a luci basse sento i vicini di casa scopare e ancora più spesso prendo la macchina e faccio i giri dell’isolato, oppure prendo la superstrada in direzione del multisala centro commerciale, o forse mi fermo in un punto morto qualsiasi ad ascoltare canzoni vecchie con il mangianastri. Sento il telefono vibrare nella tasca dei jeans.

Mi chiama un amico che non vedo da un pezzo. Mi chiama la mattina mentre sto lavorando davanti allo schermo del computer e non posso staccare, gli dico ci sentiamo dopo, ti chiamo io. Lo chiamo. Lo chiamo quando è sera e mi sto cucinando le uova. Dalla voce capisco che non è tutto a posto, che è successo qualcosa. Penso alle malattie, agli incidenti stradali, alle persone che muoiono nel fuoco, ai morti ammazzati, a chi si butta giù dal cavalcavia in autostrada, alle massicciate dell’autostrada, al sangue rappreso, ai volti cianotici, agli organi interni. Mi suonano alla porta. Dico al mio amico che lo richiamo dopo. Guardo nello spioncino. Vedo un uomo strano.

Chi è?

Buonasera, se mi fa entrare le controllo i numeri del contatore, così le dico quanto gas ha consumato.
Mi scusi, ma sono le nove di sera…
Lo so. Facciamo turni strani, viviamo in tempi strani eheh. Se mi fa entrare le controllo i numeri del contatore, così lei sa quanto ha consumato di gas e si regola. Di questi tempi sapersi regolare è la prima cosa eheh.
Viviamo in tempi strani.
No grazie. Va bene così, non mi interessa.
Mi scusi, ma è importante! Entro un attimo, controllo i numeri, così lei è più sicuro, tutto qui.
Se ne vada, grazie, va bene così.
I suoi vicini di casa mi hanno fatto entrare, tutti. Mi hanno lasciato leggere i numeri, mi hanno offerto da bere e da mangiare. Lei è l’unico che non mi fa entrare. Ha fatto l’alberello di natale?
L’uomo strano cambia sembianze, si alza il rumore bianco di sottofondo, non lo vedo più.
Lo dico per lei, mi faccia entrare o provvederò da me…
La prego, mi lasci…
I numeri del contatore, il consumo di gas…
La prego…
L’uomo strano scompare, io mangio le uova. La notte scoppio a piangere in salotto.

La mattina prestissimo comincio a correre. Indosso una tuta Adidas blu e dopo dieci minuti mi viene da vomitare, mi gira la testa, sono dispnoico. Alterno la corsa al cammino, in cuffia ascolto i Blood Brothers, passo tra le case vecchie, raramente sbuca qualche Toyota che mi fa i fari. Mi impongo di smettere con i sonniferi, ascolto Enya prima di sdraiarmi, ascolto gli I Am the Avalanche mentre scrivo, i Built to Spill quando prendo appunti sui quaderni per le video riunioni. Premo i polpastrelli contro il vetro gelido della finestra per disegnare i pensieri. Cerchi concentrici. Vampiri. Mi aggredisce il magone, lo sguardo fisso sul contorno di una strana forma di nostalgia non riconducibile a nulla.

Così passano le repliche delle giornate: accartocciandosi, sbiadendo in un pastone color latte nel quale si inzuppano tutte e si mescolano. Babbo Natale ha il laccio al braccio.

Il giorno seguente trovo una traccia di sangue sul pianerottolo di marmo chiaro ma non ci faccio caso. Il mio giretto a piedi pomeridiano prevede sempre le solite fermate: edicola, farmacia, bar vicino al tribunale. Il mio giretto pomeridiano non dura mai più di mezz’ora. Il freddo mi dà fastidio alle mani, che la sera immergo nel diflucortolone valerato, nella paraffina liquida, nel macrogol stearato, nel sodio idrossido, nell’alcool stearilico, nell’edetato disodico. Al mio ritorno trovo diverse macchie di sangue sul pianerottolo di marmo chiaro. Salgo le scale a piedi, lentamente: al terzo piano la porta di ingresso della famiglia Zeta è spalancata. BRIVIDO, TERRORE, RACCAPRICCIO! Se fossi in un film horror, dopo un momento di esitazione, entrerei nell’appartamento e rimarrei subito sconvolto dalla visione della famiglia Zeta squartata sul divano in salotto. Sacchetti della spesa gialli sulle loro teste. BRIVIDO, TERRORE, RACCAPRICCIO! Sto per entrare. Mi chiama il mio amico di ieri sera. Gli dico ciao non posso ti richiamo. Entro o non entro? Mi sembra di sentire qualcuno che canta La donna è mobile. Entro o non entro? Entro. Mi viene in mente Ezio Greggio: è lui o non è lui? Entro. BRIVIDO, TERRORE, RACCAPRICCIO! È davvero impensabile descrivere ciò che ho visto, non potrò farlo mai.

Viviamo giorni strani.

Paolo Gamerro

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