LE “CLASSIFICHE DI QUALITÀ DI VERDE” AKA IL LISTONE DI NATALE 2021 #2: SPACCARE PRESEPI (QUARA)

spaccare presepi

Claudia D’Angelo 2021

Non sentiamo Francesco Quaranta dal luglio scorso, durante il piacevolissimo rendez-vous editoriale, ma soprattutto amicale per dirla con Antonio Esposito, da Mr. Ibis, Roma, per la presentazione di Francesca Mattei, che sconvolge la platea definendo Sergio Oricci “l’Alberto Moravia della Generazione Z”, e confessando il debito di ispirazione letteraria “e non solo”. Quara riesce a condurci fuori dalla grotta cogliona dell’imbarazzo letterario esponendo con un gradiente di mansplaining appena percettibile la sua particolarissima teoria su Cereali al neon come romanzo wuxia hard boiled total fluid eminentemente di sinistra “ma storica”, per quanto non compreso in fondo dalla critica.
Dopo cena Andrea Cafarella ci mette a parte della sua conversione alla scrittura inclusiva, non sbagliando nemmeno una concordanza (cosa che a dirla tutta non riesce nemmeno a Silvia Costantino) e esibendo peraltro una pronuncia della sceva’ che ha già fatto scuola ben oltre le campagne senesi, e poi con la consueta generosità che lo contraddistingue si offre di calcolare il tema natale a tuttə ə astantə alla modica cifra di 50 bomboloni cadaunə. Non l’avesse mai fatto. “Sono cieco io, o scientista io, o faccia di merda tu” sbotta Quara, “a vedere una legione di semplicismo, filoanimismo, antiilluminismo, che non solo sta arrivando ma ha conquistato quasi tutte le casematte?”
E Cafarella, senza la più piccola scalfittura: “Incendiatemi la barba adesso se tu non sei un patetico gemelli ascendente gemelli con tutti i pianeti in gemelli pazzi”.
E quel cane di Quara, nato il 10 giugno, cosa fa? Prende lo zippo di Adriano Corbi che era andato in bagno e dà fuoco alla barba del Caf.
Oggi le nostre avvocate ci hanno comunicato che l’udienza per la richiesta di rinvio a giudizio si terrà il 17 gennaio a Poggibonsi, intanto abbiamo appreso della lieta assoluzione dello Sbigonzi. Caro Ale, congratulazioni, non vogliamo più vedere quel tuo faccino “di merda” triste EVER, firmato NOI HATER DELLO SBIGONZI. Che ne dici adesso di ritirare la querelicchia per i fatti di Oristano? O come direbbe il tuo amico Chris, vuoi “addrezza’ la campana chi renuocchie”? Chi nulla sa dei fatti di Oristano, può leggere Spaccare presepi, il racconto di natale 2021 pieno di curiosità pruriginose sulla querelle Gori-Verde (che poi sarebbe più giusto definire Gori-Frau. “Chi ha capito ha capito”).
Il collage è di Claupatra, che mai direbbe che i vaccini non funzionano, per quanto
Negli anni Novanta io e i miei soci avevamo questa usanza molto particolare di andare in giro per la Bassa Bresciana a spaccare i presepi. Forse ne avete sentito parlare. Ci schiacciavamo in sei sulla Punto verde caccola del Marchino che tanto si crepava di freddo perché aveva il riscaldamento andato (eravamo io che sono Ezio, il Marchino, Andreö detto il Pistola, Vince detto il terrone, Aldo detto l’Imam e ovviamente Pietro il fabbro, così chiamato non per la professione ma per il suo stile sui campi di calcetto) e poi partivamo a battere la provincia con l’aiuto di una cartina del Touring Club che avevo trafugato all’autolavaggio di mia madre.

L’appuntamento era fisso per le otto di sera al baretto di Elena sulla statale, per buttare giù quelle sei sette sambuche necessarie a ingranare (e a scaldarci, se non avete presente il freddo umido della Padania, ziopera), poi lei ci tirava dietro una bottiglia di whisky o grappa, quello che le capitava in mano pur di sbatterci fuori e chiudere il locale, e così avevamo carburante per tirare fino alle quattro, quattro e mezza.
Oggi per problemi come quelli che ci sentivamo addosso noi sei, si va dallo psicologo o robe così. Noi andavamo a spaccare presepi.

Ognuno aveva la sua specialità. Pietro era cintura nera di crick e quando saltava giù dalla macchina lo faceva roteare sopra la testa tenendolo per la manovella mentre si sgolava come Bruce Lee, Vince era il più grosso di tutti perché faceva il muratore e spostava i sacchi di malta con un braccio solo, lui sapeva sollevare le statue, anche quelle a grandezza naturale e sbatterle a terra così che Aldo poteva finirle a pedate. Il Pistola era il nostro mastro artificiere, ti piazzava un paio di magnum sotto la culla del Bambin Gesù e lo spediva a casa sua su in cielo, e comunque non si dimenticava mai di dare fuoco alla paglia, se ce n’era, e ce n’era quasi sempre. Aldo non si chiamava Aldo, ma Abdul-hakam Fakhr Tehir, ed era egiziano, ma col cazzo che ci saremmo messi a imparare come pronunciare il suo nome e lui non aveva la pazienza di insegnarcelo; comunque se capitava che c’erano Re Magi nel presepe, gli facevamo spaccare a lui quello di colore, così non ci sentivamo razzisti. Io personalmente mi sono sempre divertito a incitare tutti e guidare la loro opera distruttiva, prima di entrare in scena con la mia fidata mazza da baseball vinta alle slot machine delle autine nel parcheggio del palazzetto dove la zingara aveva detto che con settemila punti mi portavo a casa l’Orso Yoghi gigante o un completo del Milan, io avevo fatto i miei occhi da cinghialone e l’avevo convinta a smollarmi quella che era diventata la mia arma preferita e che ora terrorizzava i gessi e le terracotte dipinte di tutti i presepi all’aperto.

Il Marchino invece aspettava sempre in macchina, lui era appassionato di rally e faceva le consegne delle cassette dell’acqua sei giorni su sette per dodici ore al giorno, quindi ogni volta che ci si preparava per uscire diceva: «Fatemi guidare a me, vi porto io, ma dioporcocazzo io non alzo un braccio». Penso fosse anche molto timido. All’epoca le popolazioni pali in culo della provincia non si erano ancora innamorate delle zone a traffico limitato, perciò non c’erano né transenne, né telecamere: il Marchino, lui guidava fino in bocca al presepe di turno, fari accesi a illuminare il nostro terreno di caccia quando tutti i lampioni delle piazze erano spenti o coperti dalla nebbia, e noi saltavamo giù come una gang di rapinatori e tempo cinque minuti avevamo fatto la nostra magia. Poi si sgommava via verso un altro centro abitato prima che qualcuno c’aveva tempo di chiamare gli sbirri.

Non pensavamo mai all’effetto che faceva trovarsi quel disastro in mezzo al paese il giorno dopo, davanti alla chiesa, nel cortile di una scuola, nella piazza, quello che interessava a noi era dire a modo nostro un sonoro va a cagare al natale e spaccare quelle belle statuine per non spaccare le vite di merda delle persone di merda che si accontentavano del loro lavoretto di merda, della spesa al sabato nel supermercatino del cazzo, la messa alla domenica, il bambinetto al catechismo, il cane di merda, quelle persone lì che avevano inventato le riunioni di condominio e che costringevano anche a noi a partecipare, e poi che lavoro fai, quanto guadagni, che macchina c’hai, gente che se gli nominavi tipo gli Slayer facevano gli occhi sgranati e il segno della croce. Si spaccava la faccia a San Giuseppe come per dire “vi teniamo d’occhio, abbassate le creste”, si scornava il bue e si gambizzava la Madonna per ricordare a tutti che “porca miseria non potete fare finta che sia tutto ok”, si faceva saltare in aria il Gesù perché con la sua idea di nascere, morire e risorgere ogni anno per salvare tutti noi, evidentemente si dimenticava sempre di qualcuno. Anche se tutti gli altri del gruppo erano abbastanza ignoranti da credersi invincibili (emblematico Pietro il fabbro che più di una volta scendeva dalla Panda a torso nudo con meno due gradi sul termometro e meno dieci percepiti), una parte di me ha sempre saputo che prima o poi ci beccavano, che la nostra missione cominciata come un gioco nel ’93 e poi continuata anno dopo anno fino a diventare una vera e propria forma di protesta (su alcuni giornali della provincia nel ‘98 si parlava di “Crociata anti-natale”) si sarebbe prima o poi inevitabilmente scontrata sul muro del bigottismo e del securitarismo imperanti per tutta la Bassa Bresciana, che è una frase che ha scritto il mio avvocato.

Ma c’era più di un motivo per credersi inarrestabili. Una volta per esempio c’era questo presepio pregiatissimo dentro nel cortile di un oratorio, dietro un’inferriata proprio sotto la casa delle suore. Le statuine erano alte quasi due metri e il bambino era grosso come un porcello da salame: le aveva fatte un artista della Bassa che se la tirava alla grande, dipinte a mano con le espressioni addolorate tutte lucide di condensa. Madonna sembrava che si cagassero addosso intanto che noi attaccavamo il gancio da traino alla ringhiera e poi il Marchino metteva la prima per tirare giù la cancellata come il coperchio di una latta di fagioli. Siamo saltati dentro e gli abbiamo fatto una festa di quelle che poi l’oratorio ci ha campato su tre anni a furia di raccolte fondi e frignate vittimiste.

E poi, be’ ho detto quasi tutto, il resto della storia è finito sui giornali, così come le nostre facce. È bastato un gruppo di amici proprio come il nostro, unito da uno scopo comune, e da un’idea un po’ folle, più o meno come noi. Hanno ben pensato di ubriacarsi per bene e tirare l’alba facendo tutti insieme un bel presepe vivente…

Francesco Quaranta

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