Successe che Gianni Calabrò, don Calabrò, mi disse che aveva un lavoro per me, dovevo procurargli uno scimpanzé femmina che a sua volta serviva al professor Zamboni, un dottorone di quelli che Ho inventato il vaccino per la lebbra nel garage di casa però ho anche un figlio down. E insomma Calabrò mi chiese «Puoi procurarmi una scimmia femmina?» e me lo chiese come mi avesse chiesto la vita e io gli risposi «ma certo» come mi avesse chiesto una sigaretta.
Beh, dopo una settimana ero in volo verso Nairobi.
All’arrivo una jeep era prenotata per me al parcheggio dell’aeroporto con un Bingo Bongo che mi aspettava con un cartello con su scritto il mio nome storpiato “Cristopher”.
«Ue Bingo Bongo» gli dissi, «mi chiamo Cristoforo» e lui tutto contento «Come Cristoforo Colombo» e io: «Sei rimasto un bel po’ indietro eh Bingo Bingo?!»
Bingo Bongo era un tipetto flaccidino, molto nero e poco cervello, forse neanche mi disse mai il suo nome, lo chiamai sempre Bingo Bongo e lui puntualmente rispose.
«Bingo Bongo mi serve uno scimpanzé, non è che sai come fare?»
«Al mio villaggio» disse lui entusiasta, «sono solo 48 ore a piedi da qui».
Con la jeep impiegammo 1 ora e mezza scarsa.
Il villaggio di Bingo Bongo era costituito da 4 pezzi di cartone, sterco di vacca e un cesso chimico, la cosa che mi impressionò più di tutte fu che nel cesso avevano appeso un vecchio stereo che quando qualcuno finiva i suoi bisogni premevano play e partiva il suono di uno sciacquone che scaricava. Mi chiesi a quale cesso appartenesse il suono di quello sciacquone, quella singola scaricata che poi avrebbe risuonato per anni in quel villaggio.
«Bella metafora della vita» mi dissi. Vabbe’.
In tutto ci saranno stati una dozzina di bingo bongo, questo era il villaggio. Il mio bingo bongo mi portò da un vecchio bingo bongo che aveva, dietro al muro di cartone della sua capanna, un recinto fatto con le reti arrugginite di qualche letto raccattato chissà dove nel quale c’erano 4 gabbiette fatte di tronchi e corde al cui interno c’erano degli scimpanzé.
«Mi serve una femmina» dissi e feci al vecchio il segno della fica con le mani. Avreste dovuto vedere come si sganasciava dalle risate quel vecchio bingo bongo, mi guardava il buco fra le mani pieno di riso e imbarazzo, come fosse qualcosa di proibito, come fosse una fica vera. Mi misi di corsa le mani in tasca per paura che si calasse le braghe per scoparmele. Poi il vecchio mi indicò un paio di gabbie, dovevano essere le femmine, cercai quella che mi sembrava combinata meno male e gliela indicai a mia volta. Questo in cambio si accontentò di un accendino celeste della Bic. Tanto bastò per il pagamento.
Chiamai Bingo Bongo che nel frattempo era andato a giocare a tris con un altro bingo bongo (disegnavano sulla terra usando dei bastoncini di legno come penne) e gli dissi di caricare la scimmietta con tutta la gabbia nella Jeep.
Il ritorno non fu facile. Nairobi Mombasa, a Mombasa su con un cargo fino Gibuti, a Gibuti altro cargo per tutto il Mar Rosso, il canale di Suez fino ad Alessandria d’Egitto, altro cargo, Bari, e finalmente in fiat Ducato fino a Frosinone. Tre mesi in tutto. Tre mesi di merda di scimmia e Tavor, Tavor con cui la stordivo per non farmi rompere i coglioni con urla e strilli scimmieschi, punture di Aloperidolo se il Tavor non bastava. Banane naturalmente, e la puzza di scimmia, una cosa obbrobriosa, un puzzo di spazzatura e bestia, bestia e morte, bestia e bestiame, bestia bestiame e morte, se me l’avessero detto mi sarei fatto pagare di più dal Calabrò. Molto di più.
Arrivai a Frosinone che erano le 8 di sera, mi recai all’indirizzo del prof Zamboni, una villetta con un cancello verde su via Cosenza.
Citofonai e il cancello si aprì. Zamboni mi venne incontro entusiasta, mi strinse la mano calorosamente:
«Si accomodi, si accomodi» mi disse.
Zamboni era un uomo dall’aspetto untuoso, grassoccio con i capelli radi impomatati all’indietro; indossava una camicia bianca a righine rosse dal taglio anni Cinquanta e dei pantaloni color cammello a vita alta. A prima vista aveva più l’aspetto di un agente immobiliare che di un luminare della scienza, nonostante Don Calabrò mi avesse detto di portargli rispetto, che il professore era un cervellone con tre lauree, che aveva già fatto scoperte notevoli nel suo campo (che non avevo ancora capito quale fosse).
Due bingo bongo in divisa da camerieri si occuparono di aprire il Ducato e di portare la gabbietta in casa. All’interno, nel salone una tavola era stata imbandita per me: «Non sa quanto le sono grato» disse Zamboni, «mangi! Mangi pure a volontà, il viaggio deve essere stato duro».
«Non ha idea» dissi sputazzando pezzetti di piccione ripieno di cui mi stavo già ingozzando, «quei cazzo di bingo bongo mangiano solo riso e banane».
«Non deve parlare così signor Cristoforo, l’Africa è la culla dell’umanità!»
E insomma mentre mi strafogavo di vitello in salsa tonné, costolette di agnello alla griglia e altre gustose pietanze (ammetto anche di essermi attaccato a bere a garganella il sugo per l’arrosto), il professore attaccò una filippica sull’evoluzione umana, gli uomini scimmia, i bingo bongo, i fossili ecc, due ore di una cazzo di lezione che avrei voluto dirgli Professò contrabbando scimmie fra l’Africa e Frosinone, non ero certo il primo della classe!
Quando ebbi finito di mangiare e trattenevo appena i rutti pieni di rigurgito di piccione, il professore si alzò e disse: «Venga, mi segua, voglio presentarle mio figlio».
Scendemmo due rampe di scale e arrivammo a quelli che dovevano essere gli scantinati della villa. Arrivammo di fronte una porta a sbarre e Zamboni estrasse una grossa chiave di metallo con la quale aprì le diverse serrature. Entrammo. L’ambiente non sembrava però una cantina, era anzi un’ala della casa ben ammobiliata con i muri color carta da zucchero e degli adesivi dei Looney Tunes appiccicati qua e là. Sembrava la stanza di un bambino. Dietro una porta di legno c’era un ragazzo evidentemente affetto dalla sindrome di down che doveva avere fra i 16 e i 20 anni, stava seduto composto sul divano e guardava un cartone come se fosse un film di Bergman.
«Le presento mio figlio» fece il professore, «Lucio Zamboni».
«Piacere» dissi io con un filo di imbarazzo.
«Lucio!» lo rimproverò il padre, «Saluta l’ospite».
«Ciao» fece lui con una cantilena da ritardato e tornò immediatamente con gli occhi sul televisore.
Mi sentivo strano, un po’ allucinato, inizialmente non riuscii a capire bene cosa fosse ad appesantire l’atmosfera, se quello strano odore di yogurt che appestava l’aria o la presenza di un mongoloide segregato nei sotterranei di una villa, non era neppure l’eccitazione fanciullesca di Zamboni il quale, come un bambino, celava malamente la sua felicità. Poi misi a fuoco meglio l’ambiente e realizzai, la cosa più sconcertante era che le interi pareti della stanza erano tappezzate di foto osé di scimmie femmine, sì, avete capito bene, porno scimmiesco, un Kamasutra dei primati, non so come e dove le avessero trovate, se dai fotogrammi di documentari alla Super Quark o da qualche canale perverso di voyeur animalisti se non zoofili, fatto sta che quelle scimmie in posa mostravano i propri genitali con una voluttà e una seduttività libidinosa degna di Moana Pozzi o Little Caprice. E a coronare il tutto era che il pavimento, il divano e le mensole, tutto era cosparso di fazzoletti sporchi e appallottolati. Fu allora che notai un enorme peluche di scimpanzé, si poteva dire a grandezza naturale estremamente realistico, il quale aveva un foro sia all’altezza della bocca che dei genitali: era evidente fosse una bambola gonfiabile, probabilmente un regalo dell’amorevole padre al suo figlio ritardato.
Zamboni a quel punto agitò un campanello al cui suono si fiondò uno dei suoi bingo-bongo-camerieri.
«Portatela qui» disse.
In pochi secondi il bingo bongo arrivò con un porta carichi sul quale stava la gabbia della scimmia adeguatamente celata con un drappo rosso.
«Lucio!» fece il professore, «guarda che ti ha portato papà» e con enfasi sollevò il drappo rivelando lo scimpanzé al down.
«Papà, papà! Grazie! Grazie!» fece il down improvvisando una sgraziata danza della felicità sul posto. Subito si piegò sulla gabbia facendo amicizia con la nuova arrivata. La cosa più inquietante è che quel deficiente aveva una palese erezione che si poteva intravedere dai pantaloni, sui quali un alone di bagnato si allargava progressivamente. La scimmia d’altro canto lanciava grossi sorrisi e poi metteva la bocca a culo di gallina: fu amore a prima vista.
«Tu vuoi farli scopare eh?!» dissi incuriosito.
«Vede, io non voglio farlo scopare, loro vogliono scopare!» disse con determinazione. «Io… sa, voglio diventare nonno».
«Nonno?»
«Voglio farli riprodurre».
«Ma esseri umani e scimmie non sono… Non possono…»
«Sì, ha ragione, uomini e scimpanzé non sono fertili fra loro, ma vede, ho inventato questa cura ormonale che… Lasciamo stare i tecnicismi, renderò la scimmia in grado di portare avanti la gestazione e il frutto del loro amore sarà la coronazione di decenni di studi e ricerche… Ricreerò l’australopiteco!»
«Intende l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia?»
«Be’, non è proprio l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia, esso è un antenato dell’uomo, un ominide» e continuò a sproloquiare. «Lei capisce che i tanti misteri dell’uomo moderno che da secoli la senza cerca di svelare senza successo potrebbero essere risolti con il mio nipotino?! Le abitudini degli antenati, la nascita del linguaggio, della cultura, il mistero della coscienza! Ho già venduto i diritti televisivi del parto, i filmati pornografici dei loro accoppiamenti, sarò ricordato come il Darwin del XXI secolo!»
«Professore, mi scusi, ma in fondo a lei cosa gliene importa di sapere come vivevano i nostri antenati scimmie?»
«Lei è un uomo d’azione, lei è, con tutto il rispetto, un criminale e in qualche modo la sua vita ancora risponde a delle leggi di natura, vita, morte e violenza sono il suo pane quotidiano, lei uccide chi la intralcia, nel suo mondo vince il più forte ma vede le persone comuni… Il resto del mondo occidentale è ormai troppo civilizzato, se un ladro mi entra in casa io non posso neanche più sparargli, se ne rende conto?! Il vegetarianesimo sta spopolando, il veganesimo, il pacifismo… e che vita è questa? Mi segue?»
«Non tanto professò…»
Nel frattempo il ritardato aveva già infilato il suo cazzo largo e tozzo nella gabbia e la scimmia sbatteva il culo rosa contro le sbarre, il primo cercava di abbassarsi per infilarglielo nella fica, l’altra saltava di schiena per raggiungerlo… Lo spettacolo era comico ed orripilante allo stesso tempo, non mi era mai capitato però di vedere due esseri così tanto infoiati.
Per quella sera ne avevo avuto abbastanza. Mi congedai dal professore prima che quella stanza si trasformasse in un set a luci rosse e mi feci accompagnare da uno dei suoi bingo bongo nelle senza degli ospiti. L’indomani feci colazione, risalii sul camioncino e tornai a Pomigliano dove mi attendeva mia moglie coi bambini.
Down e scimmie, dissi fra me e me mentre guidavo attraverso la Ciociaria per tornare a casa, e in quel momento pensai anche che Zamboni con tutte le sue teorie strampalate soffrisse della nostalgia di un’animalità scomparsa, come il paradiso perduto dell‘Eden, era come se il passaggio da animale a uomo fosse divenuta per lui un’ossessione, voleva svelare il mistero della caduta degli angeli dal cielo, solo questo.
In fondo per lui la vita era intollerabile.