
Giulia Pex, Marocco
Il trittico degli Ambasciatori nasce da un incontro, o da molti incontri, nel 2019. Forse Simone Lisi cercava solo una scusa per scrivere dei racconti perché era in una fase arida e senza idee. Forse cercava solo una scusa per contattare vecchie amiche e amici disegnatori. Tre racconti che parlano rispettivamente di Grecia, Cina, Marocco e le rispettive illustrazioni originali che rileggono il famoso quadro di Hans Holbein.
Gli Ambasciatori sono un incontro possibile, ipotetico, futuro. Sono una scusa per provare a essere vicini. Sono testimonianza e sono memoria. Sono una scusa per pensare a luoghi diversi e lontani che esistono davvero.
L’ultima copertina è stata realizzata per l’occasione da Giulia Pex (mancava – tanto – da un po’).
نتمنى لكم رحلة سعيدة، كول
Tre volte è esistito il Marocco e non credo ce ne saranno altri.
Tre volte è esistito il Marocco, per questo non posso escludere che non esisterà un quarto Marocco e poi un quinto e un sesto e un settimo e finché sarò vivo. Non lo posso escludere, ma ne dubito.
Il primo Marocco è stato il più importante, o almeno è ciò che potrebbe sostenere qualcuno che sa già tutta la storia, ovvero la storia dei tre Marocco. Qualcuno che sa la storia, ma non io. Io credo che il Marocco più importante sia invece il terzo. Sebbene riconosco che quel primo viaggio del 1999 fu per tanti aspetti decisivo per i due successivi e per la mia vita, e per quella dei miei genitori. Non penso solo alla questione del divorzio, che di certo sarebbe avvenuto comunque, soltanto qualche anno dopo e tramite altre circostanze. Tuttavia così sono andate le cose, in questo modo specifico e non in un altro, quindi nessuno potrà negare che il divorzio dei miei fu certamente conseguenza diretta di quel primo viaggio in Marocco, sebbene in conclusione il divorzio dei miei non fu un evento poi così rilevante, o forse lo fu, ma più per me che per loro.
Del primo viaggio in Marocco ricordo Giulia. I nostri genitori attraversarono insieme le loro vacanze estive e quasi tutti i fine settimana di quell’epoca della vita. Giulia aveva solo un anno più di me, ma fisicamente era sideralmente distante. Ricordo Giulia, certo, io che ero un adolescente non ancora sviluppato mentre lei già seni e fianchi e tutto quello che sospettavo dovesse essere una donna. Ricordo Giulia certamente e il suo seno sebbene solo vagheggiato e sullo sfondo ricordo il Marocco e i miei genitori e i genitori di Giulia, ancora più indietro, lo sfondo dello sfondo. C’è una capacità che è pari al vedere se non maggiore, che è la capacità di non vedere. Sono entrambe delle tecniche di sopravvivenza. Di quel lungo viaggio in automobile, ancora a quell’epoca le ferie duravano più di due settimane, ricordo la notte con i cammelli nel deserto, la piazza di Marrakech, la notte in generale in Marocco, e ricordo Essaouira.
Essaouira era ancora nel 1999 un luogo di una bellezza totale, forse per tutta la mitologia che la precedeva. Ma quale esattamente? Non so neanche bene che dire, forse un tempo era stata meta dei freak, di un festival jazz, di Jimi Hendrix, non lo so e neanche importa. La cosa più buffa era che in quella città bianca e blu labirinto io mi orientavo naturalmente come se ci fossi già stato molte altre volte prima di allora. Si mangiava a quel tempo dei dolci di pasta sfoglia dalla forma di palme, ricordo anche il sapore come qualcosa di familiare, di già da sempre assaggiato, e certamente i bastioni affacciati sul mare.
Dieci anni dopo, nel 2009 tornavo in Marocco con Enrica. Chi era Enrica? Una ragazza a cui fui molto vicino per un tempo molto breve. Io credo che esistono delle settimane dell’anno, una o due settimane alla fine di novembre, che hanno una loro intrinseca capacità di far nascere storie d’amore che sono delle vampe. Sia come sia, volammo su Fez, era iniziata l’epoca di Ryanair e con essa era cambiato il mondo, ma non ancora del tutto. La medina di Fez, la notte, era ancora un luogo pauroso e lo sarebbe rimasto per almeno un decennio. A Fez ci ospitò un allievo del padre di Enrica che faceva il professore di architettura. Il ragazzo faceva un esotico dottorato in architettura all’università di Fez su come sostenere i palazzi pericolanti, ovvero, ci spiegò, tramite delle lunghe pertiche di legno poste in alcuni punti del palazzo, esiste una parola specifica per esprimere quello che lui studiava, ma l’ho scordato e anche il volto di quel ragazzo. Ricordo però che appena lo vidi capii subito dalla delusione che era innamorato di Enrica, e aveva sperato che lei arrivasse in Marocco da sola e non accompagnata. Forse per sfuggire alle avances di quel tizio lasciammo Fez in tutta fretta per raggiungere Marrakech, e benché le due città siano in linea d’aria abbastanza vicine il viaggio in treno è lungo oltre otto ore, in parte perché le due città sono divise dalla catena montuosa Atlas, in parte perché le ferrovie sono vecchie e romantiche, con scompartimenti stile anni Sessanta. Marrakech già nel 2009 era diventata una città tristissima, e dopo una notte in uno squallido albergo partimmo stavolta con un bus, verso Essaouira che era la meta finale del nostro viaggio. Mi ero portato con me dall’Italia una vecchia foto in bianco e nero dei miei genitori. Avevo sentito parlare di Alejandro Jodorowsky e volevo compiere un atto psicomagico, sebbene ribadisco fossero cose di cui non sapevo niente o solo per sentito dire. Sulla spiaggia di Essaouira feci a pezzi o bruciai o lanciai in mare la foto dei miei genitori per esorcizzare il passato, immagino, e forse il rito funzionò o forse no, non lo ricordo.
Dieci anni dopo, nel 2019, tornai in Marocco con Diana, ci stavamo per sposare.
Quel viaggio voleva essere un modo per controllare che il Marocco esistesse a prescindere da me, un modo per avere l’assoluta certezza che tutte le mie congetture sulla mia famiglia e gli atti psicomagici e il Marocco erano roba inventata, visioni, miraggi nel deserto. Ed era proprio così.
Fez e il Marocco erano un posto semplice e bello e caotico, dove andare in vacanza. L’economia mondiale era ancora lanciata verso il futuro, si beveva the alla menta ai tavolini occupati solo da uomini inoperosi, si dormiva nel riyāḍ, guardavamo con timore i cimiteri e le moschee dove non potevamo entrare. Il passato era passato e quello era per me un nuovo inizio, con Diana.
Poi però, appena rientrati in Italia, mentre aspettavamo con Diana che il nastro trasportatore dei bagagli si mettesse in moto, ho visto di fronte una figura che conoscevo bene. Enrica. Enrica che da molto tempo non abitava più in Italia, ma in Olanda e che non rivedevo da almeno cinque anni.
Una semplice, innocua, coincidenza? Sì e no. Perché questo mi ha insegnato il Marocco: che c’è sempre un doppio fondo nelle cose, che è triplo.
FINE (qui l’intero trittico)
Ammazza ma quanto viaggia ‘sto qui?
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