
Ventinove pazzeschi coglionissimi anni
Noi veri cannibali, si sa, giù nascosti in fondo alle città, prima di mangiare cuciniamo con amore. Sette chili di salmone, questa sera per Lucariello, alle soglie dei trenta. Pazzesco: sei anni fa, quando Luca si unì a Verde, fresco di licenza media presso l’Istituto Comprensivo Mircea Cărtărescu di Montevarchi, ricevemmo estese garanzie circa l’infinito Groundhog Day che da allora pretendevamo di vivere insieme cristalizzatƏ nel tempo e nello spazio. Era uno scherzo o forse una truffa: Lucariello è cresciuto, le nostre vite già scosse dagli eventi hanno preso un’altra piega che noi qua rivendichiamo e ostentiamo, un altro anno è passato e ne fanno ventinove per trenta racconti su Verde; impossibile classificarli (perché poi), ma se non avete mai letto nulla (impossibile) del più ispirato schlemihl in balia dell’entropia della bolla, oltre alle già storiche Chiamate Telefoniche, oltre ai canonici (questo, questo, questo) e a una manciata di preziosi minori (questo, questo, questo), noi vi consigliamo Le tasche.
A noi è piaciuto molto e così speriamo di voi.
È da quando il governo ha vietato le tasche che mi rimbalza in testa quest’idea di andare un po’ in giro per il vecchio stivale stanco a chiedere alla gente com’erano, per chi ce le aveva, le mitiche tasche.
Vorrei raccontarvi che mia moglie è ancora la mia adorata rondinella alla fragola. Che prima di partire le ho dato uno di quei pizziconi sul culetto che poi tutti e due ci mettevamo a ridere tanto, quando avevamo pressappoco vent’anni e andavamo a mangiare i bocconcini di pollo untuosissimi con gli amici in quei pub di inizio millennio con la Guinness alla spina che poi dal duemilaenove improvvisamente sono scomparsi nel nulla e io credo che sia un vero peccato in fondo, inoltre non dovevo preoccuparmi dei soldi per le trasferte della pallanuoto di mio figlio, dell’iscrizione all’anno di pallanuoto di mio figlio, dell’attrezzatura per la pallanuoto di mio figlio che non vanno bene mica le cose che si usano per andare al mare, gli occhialetti e la cuffia della piscina comune o quella roba lì, no, ce ne vogliono altre che costano un sacco di soldi, del regalo di fine anno al coach della pallanuoto di mio figlio, e non dovevo preoccuparmi neanche della scoliosi e del colesterolo alto. O almeno vorrei negare che mi ha lanciato dal terrazzo il vaso con le azalee che le ha regalato mia madre a Santo Stefano – con una punta di disprezzo nel tono del biglietto perché il Natale ormai si fa sempre dai genitori di lei e la cordiale minaccia implicita che non perderà occasione per parlare male di sua madre, cioè di lei, a suo nipote, cioè a suo figlio, testuali parole mi ha detto, e tutto questo mia moglie e l’ha evinto da un Buon Natale da Marta e Franco, sticazzi!
Mia moglie e mia madre le vedi e stanno lì a evincere tutto il tempo, loro due. Io non sono questo granché a evincere. Quindi non capisco neanche che cosa hanno loro da evincere tanto, però loro evidentemente lo sanno ed evincono, evincono clamorosamente.
Ma lei ha idea che un tizio milionario ha messo in palio un mucchio di soldi per chi dimostra di essere telepatico, tipo un milione di dollari o tre, ora proprio bene bene non mi ricordo?, chiedo alla nonnina che mi siede di fronte, la Signora Fioravanti Lela, Teresa di nascita, ma Emanuela era il nome di sua nonna, atteggiamento nei confronti delle mie domande: moderatamente ostile ma con garbo, non come quel macellaio del mercato nella grande città con il nome simile all’agrume che ora non mi viene in mente, pompelmo, pampelmo, pamperlo, che mi diceva ora vedi dove te le ficco le tasche se non ti levi immediatamente dal cazzo, lo diceva proprio così e pure credo che il concetto era proprio quello, ma lo diceva in dialetto. Che poi è strano che uno ti voglia mettere le tasche da qualche parte, mi dicevo mentre correvo via sgattaiolando tra la gente, che era tanta, che quel macellaio mi intimoriva un po’ ad essere sincero e avevo paura che usasse davvero la mannaia che sventolava all’aria calda, caldissima di pamperlo, perché da che ne so io, le tasche si usano per mettere dentro altre cose e non il contrario.
La bonanima di mio marito Paolo ce lo dicceva sempre lu dottore che era cardiopatico, ma nisciuno li ha mai dato nienti finquando ché noss’è mortu. Ma che cazzu vo’ tu chi sta ancore qui, che pure t’ho dato le ovi e la pasta? Te ne vu andaiene e lacciamme dormi m pace sguìnfero merdaccio?
Dal divano nel salotto della signora Fioravanti Lela, Teresa di nascita, ma Emanuela era il nome di sua nonna, si vede – attraverso la finnistra, come la chiama la signora Fioravanti Lela etcetera etcetera – il palazzo di fronte con tutti i davanzali tipici di Oriolo in provincia di Campobasso, e proprio da uno di questi davanzali tipici di Oriolo in provincia di Campobasso fa scattare la zanzariera e si sporge un’altra signora, una signora che non ho mai visto prima d’ora.
Lelù, a Lelù! Ma ancora là sta chillu tonto? Nu senne vo andaiene chiù?
Signora laggiù, ce li ha dieci minuti per parlare di cosa hanno rappresentato per il suo passato le tasche?
Qualche volta mi hanno detto che sono inopportuno, ma io non penso di fare niente di male a nessuno, annoio, anche questo mi hanno detto, che annoio, ma credo annoio annoio anche che non riesco a rendermene bene conto, tipo, le annoio queste due signore che parlano con quei dialetti strani che sembrano tutti un po’ fac-simile di quei romanzi che negli ultimi tempi vanno alla grande? Alcune volte le idee mi rimbalzano in testa e non riesco più a smettere. La mia testa è come un flipper penso, si sente il casino. Ecco forse perché mi piacerebbe poter sapere cosa si prova ad avere le tasche, se il governo non le avesse vietate e tutto il resto delle conseguenze, magari ci potrei mettere un po’ di quel casino dentro. Non tutti quanti, comunque, sono così infastiditi al confine dell’ostile sul discorso tasche, anche se devo dire che ce ne sono parecchi. Si conosce un sacco di gente diversa in giro per il vecchio stivale stanco.
Dicevo, di infastiditi al confine dell’ostile ce ne sono in ogni caso parecchi. Ci stanno quelli che ti fanno paura direttamente. Di questi, quando gli nomini le tasche se la cominciano a prendere con te che tipo è come se gli avessi detto cotica e ti cominciano ad alzare la voce, mi stai dando del fuorilegge, stai insinuando che sono uno che potrebbe aver ricavato sul suo giacchetto un taschino interno per tenere gli spiccioli, è questo che mi stai dicendo, che sono uno di quelli che viaggiano con gli zaini pieni di tasche e sperano di passarla liscia ai controlli della polizia, della guardia di finanza? Perché io ti spacco la faccia, ed è inutile che gli provi a spiegare che volevi soltanto sapere cosa ne pensassero dei tempi in cui c’erano davvero, e le potevi portare, perché quel tipo di persone non la vuole nemmeno proprio neanche sentire nominare la parola tasche. L’ho imparato, e c’ho rimediato un bernoccolo e un cazzotto in un occhio, come mi faceva notare quello strano merlo parlante incastonato nell’edicoletta sulla via per San Biagio come una madonna piumata, bernoccolo, bernoccolo, ma sono sacrifici che si fanno, per il giornalismo.
A proposito del merlo, ho chiesto anche a lui cosa ne pensasse delle tasche, ma sono una cosa sulla quale non sembrava preparato a rispondere. A quanto pare, che ne pensino bene o male, in generale le persone non sembrano mai preparate a rispondere quando si chiede loro di ricordare qualcosa sulle tasche. La maggior parte, si fermano un momento, come quell’anziano che pescava con il cappello che ho incontrato al lago, su una barca arenata sulla breccetta levigata, ma quello non ti rispondeva subito perché ho come l’impressione che si addormentasse con gli occhi aperti tra una domanda e l’altra. L’altra gente, invece, di solito si ferma veramente, come se la domanda gli avesse ricordato o risvegliato qualcosa di importante, ma poi, dopo quell’attimo, fa spallucce. E qualcuna ti dice, sono vietate, che cosa ci dobbiamo fare ormai e anche, lo stato avrà avuto le sue ragioni se ha vietato le tasche, e anche alla fine erano soltanto tasche, ma quello che ne evinci – lo evinco pure io che sono una di quelle persone che non evincono quasi niente – è che comunque una tasca gli avrebbe fatto comodo in quel momento per portare i documenti tenuti in una sacca dietro alle spalle, e in particolare i vecchi, quando ne parlano i vecchi evinci tutto il tempo che ti sembra che alle tasche che gli hanno tolto è un po’ come se ci avessero lasciato dentro qualcosa di importante. Al che ho pensato cosa ci avrei messo di importante, io, se avessi potuto mai avere le tasche; e ho pensato a mio figlio, che mi manca.
Quando lo chiamo, mio figlio, lo faccio ridere sempre, motivo per cui sono molto contento di avere un buon rapporto con lui. Lo chiamo e gli dico, lo sai che papà ha incontrato un merlo parlante, lo sai che papà è stato in un posto colorato che si chiama pamperlo, lo sai che papà ha incontrato un anziano signore che da molto giovane cuciva le tasche? E poi gli dico papà torna comunque, deve solo finire il giro per capire cosa pensa la gente delle vecchie, mitiche tasche, e poi mi guardo intorno e vado al letto da solo e un giorno di quelli un po’ ho pianto, ma poco, e poi la mattina dopo mi sentivo molto meglio.
Una domanda per Luca.
Se effettivamente le tasche sono intese come contenitori senza fondo in grado di immagazzinare (come la mente) ciò che è necessario per noi ricordare, dunque sinonimo della capacità dell’uomo di preservare e coltivare la conoscenza che il comando di pochi tenta spesso e ingiustamente di sottomettere al proprio volere, allora sono metafore della mente stessa dell’uomo. E dato che è così, la mitica battaglia cuore-testa tu la daresti vinta al cuore. Perché?
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