
Claudio Parentela, Assemblage 3729
Gioventù Etrusca è il modello sincretico de La Nuova Verdə in cui convergono le scenicchie già inconciliabilə, confederate nella grande dodecapoli della Litweb: non un genere, né una tendenza, ma una dimensione di autrici e autori lazialə, toscanə, umbrə, campanə, dal gusto ellenico, praticamente etruschə, oggi Con la forza di Matthew Licht e un’illustrazione di Claudio Parentela.
La sede del Centro per la Prevenzione Stupri si trovava, prevedibilmente, in un quartieraccio. Kathy, la direttrice, l’aveva organizzato e fondato da sola, con soldi del comune, di sponsor aziendali e cittadini privati. Chiunque le avrebbe dato un assegno pur di liberarsene. Per me gli assegni della cassa integrazione erano un lontano ricordo.
Kathy guardò brevemente il mio curriculum e per prima cosa chiese come mai ero disoccupato da così tanto tempo. Contrattaccai. Era stata vittima di uno stupro? Lo era stata. Non le chiesi in quanti erano o se l’avevano sodomizzata. Dissi, vuoi parlarne?
Voleva e come. Parlò del suo stupro fino al tramonto. Fuori faceva un gran caldo. Anche nel suo ufficio si soffocava. Uomini vittime di stupro ne parlano solo raramente. Le donne invece entrano nei particolari e si mettono a piangere. Kathy si sciolse in lacrime. Non mi sembrava il caso di massaggiarle una spalla sussurrando su, su. «Sei sopravvissuta» dissi, «e ora ci stai facendo qualcosa».
Mi assunse.
Diciotto dollari all’ora per venti ore a settimana. Di più, se continuavano ad aumentare le iscrizioni. A quell’epoca a New York era in corso una ondata di stupri senza precedenti. Anche se il lavoro consisteva nel prendere calci alle palle, sembrava un bel colpo. Ma non era solo questione di incassare botte, bisognava anche insegnare a darle. L’imbottitura fa poco se il colpo prende nel punto giusto. Passavo parte di ogni lezione a rotolarmi sul tatami mentre le donne urlavano vittoria e si abbracciavano. Il mostro che voleva farle rivivere lo stupro era a terra. Stavolta si erano difese, e avevano vinto.
La parte brutta veniva dopo, quando piangevano.
Molti più uomini che donne vengono stuprati ogni giorno, in USA. Fa parte della punizione in carcere. Le donne che venivano al Cps non erano state dentro e non avevano fatto nulla, a parte essere femmine. Gli altri istruttori mi spiegarono le tecniche da insegnare e le reazioni che dovevamo aspettarci. Per la prima prova feci finta di stuprare Kathy. Andai piano e rimasi zitto. Violenza e turpiloquio erano riservati alle clienti. Forse ho detto pupa in mezzo a una domanda di teoria. A parte una lunga predica, mi mollò un esperto calcio nelle palle e un altro alla testa quando caddi a terra. Con lei l’armatura serviva a poco. I punti deboli li conosceva tutti. Se non fosse stato per il Kevlar sui fori per gli occhi nel casco mi avrebbe accecato.
Se credi di essere stato ferito, il sudore che ti cola per le gambe sembra sangue. Controllai tutto nello spogliatoio degli istruttori. Dopo quella breve introduzione dovevo cavarmela da solo.
La prevenzione dello stupro non è solo autodifesa. Bisogna anche consolare, dare consigli. Durante i piagnistei terapeutici, pensavo, Perché indugiare tanto sul fattaccio? Se vi volete allenare, bene. Se trovate catartici i scenari di finto stupro, fantastico. Ma non è così semplice.
Kathy passava spesso nella palestra per osservare e controllare. La donna stesa bocconi sul tatami faceva finta di dormire a casa sua. Il mostro imbottito mima di entrare per via della scala antincendio, perlustra nel buio immaginario e scorge la vittima. La scena doveva essere il più verosimile possibile, incluse parolacce e minacce. Doveva essere implicito che il bruto forse avrebbe ucciso la vittima anche se quest’ultima stava zitta e buona. Non è facile lanciarsi per aria con addosso un’armatura di gommapiuma. Quella particolare vittima aveva seguito il corso da diversi mesi, ma rimase sorpresa. Sussultò, emise un gridolino. Era piccoletta e magra, facile da immobilizzare. Le resi difficile respirare.
La marionetta imbottita aveva la voce di un robot sessualmente infuriato. Il monologo dello stupro era improvvisato. Riuscii a scivolarle i pantaloni della tuta quasi fino alle ginocchia. Quando mollai la presa per fingere di abbassare le mie braghe, la vittima colpì di tallone, ma la botta avrebbe solo fatto arrabbiare ancora di più il suo carnefice. La strozzai col bizzarro guantone da hockey. Non forte, ma tra poco le sarebbe calato il buio.
Lei urlò, picchiò col gomito sul foro dell’orecchio, sferrò una ginocchiata alle palle. Si girò sulla schiena, continuò a martellare colpi sulle orecchie e sul collo, strillando come una lunatica. Un vero stupratore si sarebbe tirato su i pantaloni e se la sarebbe data a gambe, ammesso che fosse ancora cosciente. Io dovevo solo fingere di essere steso KO mentre lei fingeva di chiamare la polizia.
La vittima gridò vittoria. Le fecero eco Kathy e tutte le altre. Un altro porco stupratore sistemato. Questo teatrale trionfo non perde mai di dolcezza. Un altro istruttore mi issò in piedi e sussurrò nel foro del casco, «Tostina, quella lì». Non sembrava che facesse quel lavoro solo per guadagnare soldi.
Seguì una sessione di counseling. La finta vittima portò i pugni verso le orecchie e pianse. Non era una recita. Era stata stuprata davvero. Le dissi che era stata brava, ma non cambiò ciò che le era successo e non la fece smettere di ululare. Kathy chiese se avevo notato errori.
Il primo colpo alle palle avrebbe dovuto essere più deciso, dissi. Avrei potuto strozzarla più forte. Nella realtà non avrebbe avuto tutto il tempo che le avevo dato.
Dopo la sessione toccava rivedere tutto su video. La documentazione era una delle ossessioni di Kathy. Un demonio senza viso si muoveva piano in bianco e nero. La faccia dietro la maschera era truce. Diventavo qualcuno che le donne potevano odiare.
Le tute imbottite erano di un unico taglio. Gli altri istruttori erano lì da tempo. Quello più popolare aveva la testa rasata, gli orecchini d’oro e occhi color caramello. Era un genio a improvvisare raccapriccianti monologhi da stupro.
L’altro sembrava sfinito. Era grigio, persino i suoi muscoli avevano l’aria stanca. I vari tatuaggi slargati parlavano di gattabuia. Era così blando che mi veniva da chiedergli se si era difeso quando la Fratellanza musulmana l’aveva aggredito nella sala docce a Yuma. Non credo che avrebbe reagito.
Kathy venne a sorvegliare una classe avanzata con la quale lavoravo per la prima volta. Le donne mi presero le misure ancora prima che indossassi l’armatura.
Non mi misi l’elmo di gommapiuma. Rimasi in ginocchio al bordo del tatami, impassivo. Le donne si erano scaldate prima della lezione. L’aria in palestra era dolce e un po’ salata. Non è facile indurre donne a urlare a squarciagola, ma quel gruppo non si faceva problemi. Volevano tutte andare per prima.
Kathy scelse una rossona, sexy anche nella tuta grigia.
Non voleva fare la routine. Sto dormendo in ciò che pensavo fosse la mia sicura e sacrosanta dimora. Voleva invece smontare lo stupratore in agguato tra le pattumiere.
Scodinzolò in modo teatrale. Là-là-lèro, sto per fare il culo a un maschio. Si allenava da più di un anno, forse. Era troppo sicura di sé. Fuori magari avrebbe potuto cercare guai o addirittura provocarli. Invece è molto meglio evitare. Fidati dei tuoi istinti. Non andare nei vicoli oscuri da sola. Se non ti piace l’atmosfera di un parcheggio, chiama un tassì. E poi volevo abbassarle la cresta davanti alle sue amiche.
Le saltai addosso dal lato cieco, senza prima mettermi la maschera. Se mi arrancava gli occhi, peggio per me. La stesi a terra ed era come quel gioco di bambini che fai finta di voler sbrodolare saliva in faccia a qualcuno. Aveva paura.
«Che strafiga che sei, eh? La rizzacazzi dice no grazie, le dispiace, deve andare altrove, eh?»
Usa quelle gambe forti, rossa. Smuovi le ginocchia puntute. Invece urlò «Lèvati, stronzo!» Buttava a dritta e a manca la testa per non farsi baciare, anziché usarla come una clava. Poteva staccarmi a morsi un orecchio, il naso. Ma la rossona strillava e basta.
Il gruppo si era impaurito. Nessuno disse niente.
A parte Kathy. Urlò che dovevo smettere, ma non smisi.
La girai piano sullo stomaco. Doveva essere quello il momento per reagire, ma lei non reagì.
La mollai e andai ad inginocchiarmi di nuovo sul bordo del tatami.
Kathy mi guardò come se pregustasse gonadi triturate, ma disse «Ottima dimostrazione. Lo stupro è l’inaspettato. Può stuprarti un uomo affascinante incontrato a una festa, o un tipo galante che ti invita a cena».
«Ehm aspetta Kathy». Ebbi una visione di donne che si presentano agli appuntamenti vestite di armature antistupro. «Questa roba che facciamo qui non dovrebbe incedere sulla vita normale. Non siamo mica tutti degli… » Sempre in ginocchio, mi girai per parlare al gruppo. «Non lasciatevi dominare dalla paura. È più facile evitare problemi quando si è tranquilli». Indicai la rossa, che veniva consolata da una compagna. «Lei si è lasciata prendere dal panico. Lo stupro è una sorta di bullismo che si nutre dalla paura. Non dovete temere schiaffi o pugni. Siete molto più forti di quanto crediate». Era proibito percuotere le allieve, cosa che diminuiva la veracità. Iniziai un altro discorso. «Siamo adulti, no? Abbiamo avuto tutti delle esperienze sessuali meno che gradevoli… » Non sapevo più di che cosa parlavo.
«C’è del vero in questo» disse Kathy, lanciando un altro sguardo torvo. «Ora proviamo una situazione invasione di dimora».
La mora timida e occhialuta mi saltò su e giù sulla schiena anche dopo che mi ero finto morto.
Dopo pochi mesi sul lavoro ero pieni di lividi. Vedevo occhi spiritati nello specchietto dello spogliatoio. Una delle donne raccontò che la carogna che l’aveva stuprata le aveva pisciato addosso dopo che aveva finito e lei era a terra che piangeva. Si sentiva ancora un cesso.
Volevano sentire una voce maschile dirle che non era colpa loro, che avevano il diritto di difendersi, anche di uccidere qualcuno. Eravamo lì per farle vedere come si fa e convincerle che potevano farlo.
Fuori orario dovevo sopportare Kathy. Voleva sincerarsi che avessi la testa a posto.
La sala docce delle donne era dietro il suo ufficio. Lavavano via ricordi dello stupro assieme al sudore. Le ascoltavo là dentro mentre Kathy mi rimproverava per aver detto cose inappropriate fuori dalle simulazioni.
Noi sacconi da boxe umani non parlavamo molto, specialmente non tra di noi. Figuriamoci se uscivamo insieme per bere birra e discutere a grugniti le strategie di finto stupro, e quali sensazioni davano certe allieve mentre le strusciavamo addosso nell’imbottitura.
Gli elmetti erano unti e neri all’interno. Le armature di gommapiuma puzzavano.
Uno dei maestri che avevo frequentato a lungo chiamava il processo di indurimento la morte dell’io. La via è ardua, diceva, ma la via è quella. Le vere mete sono irraggiungibili, ma ciò non è un pretesto per mollare. Ognuno è vittima della propria debolezza e delle circostanze. Incassando botte si impara ad accettare la vita.
È duro accettare l’odio. È scuorante sentire donne che piangono. Le simulazioni non le avrebbero rese invulnerabili. Alcuni stupratori sono armati. Altri stordiscono prima la vittima. Arrendersi a una forza travolgente non è sempre sbagliato, malgrado ciò che pensasse o dicesse Kathy. Lottare può rendere peggio l’inevitabile.
A volte le devi prendere e, se possibile, sopravvivere.
Kathy non accettava questa filosofia. Le rifeci presente che in sessione, teoria e pratica dipendevano da me. Mi chiese se poteva parlare francamente: non le piacevo. Aveva nutrito seri dubbi sin dall’inizio. Alzai le spalle.
Disse che non ero adatto per fare quel lavoro.
«Senti pupa» le dissi, «stai attenta ai tipi che sono adatti a questo lavoro».
Mi licenziò seduta stante.
Addio Kathy. Addio diciotto dollari all’ora.
Prima pensavo che per quanto riguarda lo stupro esistevano due categorie di uomini: capaci e non. Nell’armatura cambiava tutto, e diventava più semplice. Le donne erano lì. Ti mettevi la maschera. Dicevi le parole. Sapevi cosa fare.
Quando l’indicibile si fa visibile agli occhi allora capisci il perché del tacito restare.
Certo è che ci son cose che vanno trattate, con coscenza senza dubbio, ma è necessario. Questo testo ne è un esempio, un ricapovolgimento del punto di vista da chi subisce a chi sa cosa fa, per evidenziare come in realtà nessuno lo sappia davvero.
E il finale sembra quasi dar ragione a quella voce di lettore che sa di sapere già da sé, che la natura umana crea vincoli di natura, per proteggere (frenare quando necessario) l’indole che la abita.
Senza incappare nella morbosità del tema; l’ho apprezzato molto!
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