“Chiamate telefoniche” è un safari nell’animo umano, ben oltre gli aspetti performartivi e superficiali dell’individuo, alla scoperta delle piccole letterature che germogliano e crescono nel sistema nervoso simpatico di chi i libri li mangia o li respira. In una Litweb mai così paranoica e mai così vicina a invocare spedizioni punitive, Luca Marinelli si sporca le mani per cercare delle certezze. E forse contattare nuovi spiriti guida. Oggi: Vanni Santoni.
L’illustrazione è di Claudio Parentela che vi presenteremo nei prossimi giorni.
Vanni Santoni: Esistono due tipi di antilopi…
Vanni mi istruisce mentre siamo sulla sua jeep nuova di zecca. Anche questa volta ho sperato che finalmente potessi tornare alle chiamate telefoniche, divano, telefono, un pacchetto di patatine mentre mi gratto il culo davanti al computer in quello stato fluttuante di ascolto non ascolto, perché intanto sto guardando gli incrementi giornalieri dei miei terreni su Earth2. Anche questa volta mi ero illuso: ho preso, nell’ordine, l’aereo con il biglietto più economico (perché come sapete Verde è da un po’ che non pubblica più racconti a pagamento) che sarebbe a dire sei ore di scalo nell’aeroporto di Copenaghen e nove ore di scalo a Tunisi (ah, le dita di fatima dell’aeroporto di Tunisi! E dalla finestra i venditori di strada fermi al semaforo con le loro stecche di camaleonti). Una navetta dalla stazione di Windhoek, ridente capitale della Namibia che mi ha dato un po’ quell’impressione alla Garden City di Capote che mentre senti parlare di quanto sia tranquilla sei indeciso se accoltellarti una mano per passare un po’ il tempo, fino alla stazione dei bus. Tre bus, rispettivamente, per le tratte Windhoek Terminal – Gobabis; Autobahn, Gobabis; Autobahn – Drimiopsis, e infine la lunghissima Drimiopsis – Omitjete, agglomerato di casupole non distante dai rigogliosi parchi della regione di Otjozondjupa, al confine con l’Etosha Pan, o come mi piace chiamarlo: La Grande Pozzanghera della Namibia. Lì, Vanni, mi aspettava, tettuccio del Land Rover Defender (a partire da 56000 euro, nella versione con 300 cavalli AWD) aperto, impianto stereo con How Deep is your Love dei Bee Gees a palla, caschetto bianco da colonialista della litweb, e un meraviglioso Kipplauf “Jaeger 9” monocolpo a canna rigata sulle spalle con – incisa sull’oro del grilletto – la prima terzina del primo canto dell’Inferno della Commedia.
V.S.: Dicevo, ne esistono due tipi soltanto: quelle che hanno letto Tolstoj e quelle che non lo hanno letto.
Intervenire quando parla Vanni è piuttosto complesso. Se non altro perché se lo interrompi hai paura che ti ficchi la canna del fucile in gola e se aspetti che smette di parlare, beh in realtà Vanni non smette di parlare mai.
V.S.: Lo vedi subito quando hai il mio occhio. Sei fortunato, voglio insegnarti un trucco: la vedi quella, come si muove lentamente, lentamente, lo vedi come sta alla coda della mandria, sembra quasi che stia trascinando con sé un peso enorme, immenso, insopportabile, un peso spirituale insostenibile, sembra il terzo Hokage quando vede il laboratorio di Orochimaru per la prima volta, guarda bene le altre come sgambettano fresche, e lei invece trascina gli zoccoli come se a ogni passo sanguinasse per un riepilogo improvviso – un riepilogo lancinante come una dolorosa illuminazione – di tutta la sofferenza che si patisce nel mondo. Ecco, quella l’ha letto. Se vuoi essere considerato un uomo, da queste parti, devi saper riconoscerle e mirare soltanto a quelle lì.
Vanni imbraccia il Kipplauf Jaeger 9. Non posso che ammirare l’eleganza, la fluidità della spalla che dà un colpetto per caricarsi il peso del calcio laccato, mi sembra un gesto atavico questo d’imbracciare l’arma, un gesto di quelli che se l’uomo che lo fa sa farlo, allora l’uomo e l’arma sembrano una cosa sola; e Vanni sa farlo. Fa molto caldo nella savana e siamo in piedi sporti dal tettuccio del Defender, coi piedi sui sedili, fa caldo sotto questo sole africano e grandissimo e nel silenzio pieno di rumori della vita sul pianeta Terra penso a cosa avrà voluto comunicarmi Vanni quando, nel momento in cui gli ho chiesto se per mettermi coi piedi sul sedile dovevo togliermi gli stivaletti mi ha risposto che no, non ce n’era bisogno, tanto la jeep l’ha comprata con l’anticipo dei Fratelli Michelangelo.
V.S.: Un’altra caratteristica è che tutte le antilopi che hanno letto Tolstoj non combattono. Quando gli spari, muoiono subito, non scalciano, come se si lasciassero andare volontariamente. E poi c’è un momento preciso, il momento in cui – precisamente quella frazione di secondo lì dopo lo scoppio – il proiettile perfora la carne: in quel momento l’antilope che ha letto Tolstoj ti guarda, e ha uno sguardo talmente profondo, e tu gli vedi dentro alle pupille un’anima, e proprio lì, nell’ultimo brandello di quell’anima, nell’ultimo riflesso sull’angolo di quegli occhi morenti, c’è qualcosa che ti convince che ti stia dicendo grazie.
Sono stordito dal momento, e questo lo rende ai miei occhi totale, come la nota conclusiva di un concerto. Vanni segue con la canna un’antilope, che cammina a testa bassa e mi stride che quell’antilope mi sembri così famigliare, come se per un qualche scherzo del destino io quell’antilope la conoscessi da sempre. Vanni, che riconosce e domina il potere di messaggio del silenzio, evidentemente riconosce la mia perplessità e mi rassicura.
V.S.: Non devi rabbuiarti. Non è quello che pensi, lo fanno apposta. È un meccanismo evolutivo per salvarsi dai proiettili.
Il colpo parte. Il boato elegante doma il mormorio selvaggio di quelle lande, si erge il grido della magia umana al di sopra di ogni pericolo. E, dopo un attimo, l’antilope è a terra. Ma la natura difficilmente rinuncia a se stessa. Vanni guarda all’orizzonte, sembra turbato.
V.S.: Per la stempia di Volodine, ancora una volta le iene.
Ecco che mi fa cenno di restare immobile. Poi, inaspettatamente, mi mette il fucile in mano, per un attimo io barcollo, mi tengo al tettuccio, ma intanto Vanni salta giù dalla macchina.
V.S.: Sei fortunato oggi; tornerai a casa che avrai imparato molto. Ah, mamma Africa!
Le iene si avvicinano. Lui inarca la schiena, flette le ginocchia e circonda il cadavere dell’antilope compiendo un semicerchio. Le iene ridono. È una risata scheletro, la loro, una risata che mette i brividi a sentirla dal vivo, quella delle iene è una risata inferno. Vanni si afferra il colletto della camicia e con un colpo secco se la strappa di dosso. Sotto la camicia ecco il Vanni che non ti aspetti: un fascio di muscoli, una vera bestia. Si avvicina, è su di loro, ride come loro, ma con più forza. Alla fine le mette in fuga. Si volta verso di me mentre il sole, immenso, scivola lentamente oltre la pianura, mi dice di avvicinarmi, di portare i legacci che sono nel portabagagli. Sta già aprendo l’antilope con un coltello. Ha perizia, sventra come un genio o come un killer professionista. E io credo che dovrebbero pagarmi, almeno un po’, almeno quei settantatré euro e cinquanta di arretrato. Non chiedo mica l’anticipo dei Fratelli Michelangelo.