
Still mad at you, Ottavia Marchiori
Siamo tuttə aspiranti scrittorə. E Lorenzo Vargas lo sa. Ecco perché ha scritto per noi questa guida su cosa aspettarci quando finalmente, come è giusto che sia, andremo tuttə quantə incontro a pubblicazione. Memento publicatio.
Il collage è di Ottavia Marchiori.
TL;DR: 😭
Ho letto interviste, rendiconti, parlato con bipedi antropomorfi, tirato due considerazioni personali sul…
⚡⚡⚡𝕸 𝕰 𝕾 𝕿 𝕴 𝕰 𝕽 𝕰 𝕯 𝕴 𝕾 𝕮 𝕽 𝕴 𝖁 𝕰 𝕽 𝕰⚡⚡⚡
e mi sono accorto che tutto sommato l’argomento è vuoto. Si parla di mestiere, per la legge italiana, come la principale fonte di reddito e tolta un’accezione meramente letterale (mettere parole su un foglio), se si escludono una manciata di benedetti da Thot, in Italia di scrittori (narratori, meglio) professionisti non ce n’è traccia.
Di scrittura non si vive, punto.
Direte voi, nella mia bolla, grazie al cazzo, ma sai mai che qualcuno non condivida il post e finisce che sta cosa la legge Carmelina Piccolomini di Borgo Cristo sul Bioparco. Io le avrei volute sapere ste cose, quantomeno per ignorarle con cognizione di causa.
Quindi, gentile pseudocollega, che della scrittura vuoi fare un percorso di vita, permettimi di fornire questo minuzioso quanto onnicomprensivo specchietto, che non si preoccupa di come pubblicare, argomento già ampliamente sviscerato, quanto del dopo, quel misterioso dopo, dove c’hai il tuo blocco di cellulosa in mano e a dirla tutta, cominci a chiederti cosa farci.
𝐏𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝟏: 𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐝 𝐧𝐚𝐫𝐫𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨
Per una qualsivoglia ragione, hai letto ogni singolo titolo apparso sulle classifiche di qualità di internet e ti sei convinto che la strada maestra della letteratura passi di lì. Un romanzo borghese per trentenni borghesi che si guardano l’ombelico e confondono la lanuggine col rimestare del cosmo.
Hai scritto articoli e racconti per le riviste, fatto amicizia coi Pincopalli di turno, magari hai pure un gruppo di conoscenti con cui parlate seriamente di letteratura. Potreste aver aperto una rivista sul web. Hai un poster di Bolano in camera. O di Cartarescu. Non c’è niente da vergognarsi. Magari se lo spostassi da fianco a quello di Tommaso Paradiso.
La gavetta comincia a pagare. Quel rinomato editor che forse ti si incula, forse no, ti ha chiesto se hai un romanzo e tu ce l’hai, per la Peppa. È un romanzo importante, almeno per te.
L’Editor te lo legge e dice: bello, mi interessa. Scrivine un altro.
E tu che ti sei divelto le balle per buttare giù questo gli chiedi, ma perché?
E quello dice beh c’hai uno stile interessante, delle cose fiche, ma vedi? Questo questo e questo non funzionano.
Quello che ha indicato è il tuo romanzo, gli rispondi e quello sorride, ma con gli occhi oltre te, tra l’epidermide e la superfice del teschio.
Ti sottolinea le parti che gli interessano del frutto del tuo sangue e polpastrelli e tu gli fai notare che se lasci solo quello praticamente diventa *ROMANZO X* che è uscito più o meno intorno all’86.
L’editor sorride ancora e vorresti che il sorriso s’allargasse a dismisura, fino a inghiottirti, almeno capiresti di essere in un racconto di Ligotti (scherzo, lì non sorride nessuno).
Alla fine lo scrivi lo stesso, chettifrega, le cose che ti interessano le pubblicherai dopo, quando sarai famoso.
Il romanzo non lo legge nessuno, ma tutti ne parlano benissimo.
Beh, ti dice l’editor, a quando il prossimo?
Mah, avrei quest’idea per una storia. Glie la dici.
Bella, risponde lui, perché non sviluppi questi punti e lasci stare gli altri?
Ma è *ROMANZO Y*, uscito nell’82.
L’editor sorride.
Per pagarti da mangiare dovrai fare comunque un altro lavoro.
1.2: l’adetto ai lavori
Non sei abbastanza bravo per pubblicare narrativa, ma i testi ti piacciono e a forza di gavetta finisci nel misterioso comparto degli addetti ai lavori. Editi i testi di tutti gli altri, gente che sotto sotto sai essere più mediocre di te, ma pazienza. Arriverà il tuo momento. Nel frattempo fai il copywriter, l’ufficio stampa, porti i caffè, fotocopi fanzine erotiche a tema paguri.
Sei così all’interno della macchina editoriale da capirne i meccanismi e ogni tanto, semplicisticamente, ridacchi delineandone il canone. Ah ah ah, che matte risate, ma ti pare che sia così semplice?
Ridi, ridi, mentre dici ma sì, sti romanzi hanno tutti elemento a, b e c.
Ridi un po’ meno e dici, ma sì, sti romanzi son tutti scritti col narratore fatto così.
Ormai non ridi più un cazzo. Hai gli occhi sgranati. Hai appena mandato una mail a uno degli autori che segui, consigliandogli su indicazione del capo editor di cambiare un pezzo dell’intreccio proprio come in quel romanzo dell’86. Dall’altra parte l’autore lo fa. Si sente che gli gira il cazzo, ma lo fa.
E allora hai un’epifania.
Riprendi tutti i bigliettini nascosti tra le risate e inizi a scrivere e sussurri a te stesso no, vabè, no, non può essere così stupido.
Scrivi un libro come quello del 93 (ti senti transavanguardista), con elementi A, B e C, col narratore fatto così. Lo passi al capo editor che conosci ormai da dieci anni, con cui poco manca tu abbia condiviso il partner. Quello ti guarda pieno di pena e in un paio di settimane risponde. Ua’ Sinibaldo e sto libro dove lo tenevi nascosto?
Il romanzo non lo legge nessuno, ma ne parlano tutti benissimo e vorrei vedere. Metà della loro monnezza l’hai editata tu. Ti candidano pure allo Strega, ma non lo vinci perché non sei di Roma. Le vendite vanno bene.
Non sei sicuro di volerne scrivere un altro, ma almeno campi di libri: sempre e comunque quelli degli altri.
Percorso 2: il narratore impegnato
Hai una copia di Senza perdere la tenerezza sul comodino, consumata dall’uso e dalle intemperie. Il minimo comune denominatore delle tue letture di fiction sono sostanzialmente reportage coi nomi cambiati.
Ti sei unito al tuo primo collettivo appena i tuoi genitori ti hanno permesso di uscire di casa da solo e hai una venerazione (probabilmente) ereditata per il marchio Feltrinelli che durante la crescita per te ha significato pressappoco “Berlusconi merda”.
Per te le lettere debbono dire qualcosa al prossimo, educarlo a un futuro radioso o mostrargli scorci di quella stessa realtà che ci impegniamo alacremente a considerare solo a spizzichi e bocconi per renderla sopportabile. Sì lo so, ci sta la guerra in Iraq e l’Afghanistan e gli Uiguri e questo e quello e ce lo so che la realtà fa schifo, maledetta la vita, secondo te perché sono due settimane che mi sono ricominciato One Piece?
No, non me ne frega un cazzo che i pirati nella realtà morivano tutti di scorbuto. Vaffanculo.
Ciò nonostante hai sempre sentito che la forza dei tuoi argomenti rimane costretta tra le mura disseccate del circoletto degli amici, del collettivo, del gruppo facebook Quadrante Rosso Sovietskij Soyuz. Tu vuoi scrivere sull’Internazionale. Vuoi andare in Congo a salvare il pappatacio trilobato.
O combattere per la classe operaia, insomma, qualcosa che hai a cuore c’è, oh se c’è.
Il santino di Pierpaolo Capovilla ti fissa languido dal comodino e come ogni sera ti ripeti che è languore quello, non il sesto litro di rosso prima dello scatto.
Dopo ricerche, interviste, incontri, militanza vissuta, hai le tue trecento pagine di aspra denuncia della condizione degli allevatori di paguri terrestri della Valdobbiadene nel secolo scorso, una vibrante comunità di sette individui la cui storia deve vedere la luce grazie alla tua opera necessaria.
È su necessaria che gli addetti ai lavori cominciano a rabbrividire. Si battono il medio sugli incisivi, evitano il tuo sguardo. Cacciano fuori una lista vergata frettolosamente su uno scontrino della SNAI.
Ti elencano una serie di problemi sociali che vanno dal vecchiotto alla cronaca odierna, tutte cose abbastanza comuni. La parola banche viene ripetuta ossessivamente.
Non parla di niente di questi, vero?
No, parla degli allevatori di paguri terrestri della Valdobbiadene dal 1898 al 1913, un’aspra vicenda di prevaricazione sociale e…
Femminismo?
Le donne erano escluse dall’allevamento. È una storia molto interessante, si diceva che la pelle morbida delle donne incarognisse i paguri che…
Ma l’addetto ai lavori non è più lì. Non c’è il suo Negroni, la sua borsa, persino le cicche delle sigarette che ha fumato sono sparite dal posacenere. Se chiedessi a quelli dei tavoli a fianco ti direbbero che lì non c’è mai stato seduto nessuno.
Sono passati due anni e il libro alla fine te lo ha preso un piccolo editore della Valdobbiadene, sponsorizzato da un crowdfunding del tuo collettivo e del consorzio allevamento paguri terrestri italiani (APTI), che ti ha messo a disposizione la rete delle proprie strutture per presentare il libro. Tutte e tre.
Lo leggono i tuoi genitori, lə tuə fidanzatə e i membri dell’APTI. Tutti e dodici.
Il prossimo lo scrivi sulle banche che si fottono i soldi.
Oltre alla collaborazione con l’Internazionale (ce l’hai fatta alla fine, complimentoni), devi comunque avere un altro lavoro per mangiare.
Percorso 3: il narratore di genere (realistico) standard
Hai visto troppo [*INSERT TELEFILM SEMINALE*]. Potrebbe essere Camilleri, qualcosa da Giallo Svezia, o Rosamund Pilcher, non importa davvero. A forza di scrivere di poliziotti e avvocati hai deciso di fare tutto per bene, ti sei procurato un agente, quello ha letto il libro, non è male, non è bene, non importa.
Ne hai circa otto chili?
In che senso otto chili?
Eh sì, che fa l’Ispettore Giannarella dopo questo?
Eh boh muore, c’è scritto.
No, ma che, non muore. Me ne riesci a scrivere altri dodici?
Ma veramente…
Oh, ha chiamato la RAI, c’è [*INSERT ATTOR3 ITALIAN3 DI 40 ANNI*] che si è scocciato di fare casting e vuole campare di rendita per una ventina d’anni. Li vendiamo sti diritti?
Ma ver…
Ma sto seguito?
Ma mo’ ti ho dato il primo, ancora non lo hai letto.
Oh, ma dalla produzione dicono che devono girare.
Ma io…
Hai pensato di metterci dentro un prete sagace?
Cos…?
Ad libitum. Se il romanzo è rosa, sostituire i seguiti, col sistematico accoppiamento di ogni singolo comprimario della storia.
Vivi di diritti televisivi, i cui frutti osservi abbacinato in prima serata su Rai2.
Percorso 4: il narratore di genere (fantastico) standard
Hai scritto il tuo libro, all’agente/editor/chi per lui è piaciuto. C’è un po’ del vecchio, un po’ del nuovo e si capisce subito che è un [*insert genere*]; continua a ripetere il lessema “high concept“, leccandosi voglioso le labbra. L’hai cercato cosa vuol dire: un concetto di base forte, altrove è semplicemente una quarta di copertina che prenda due righe. Dipende a chi chiedi. Sta di fatto che il tizio sta salivando di brutto.
Beh, gli chiedi? A chi lo mando?
Perché te lo sei chiesto e a parte la Passamontagna edizioni se ci pensi, le case editrici che pubblicano roba di genere non sono tantissime.
Infatti non sono tantissime. Sono 3. Una di queste l’hai sentita nominare, la seconda distribuisce solo in val di Susa e controllando la ragione sociale della terza trovi scritto “panineria itinerante”.
A questo punto le cose sono due: o non ti conosce nessuno e il tuo libro vende così e così, o sei nei forum del genere da te battuto dai tempi di IRC. Tutti ti conoscono con qualche soprannome assurdo che un po’ ti imbarazza rivangare e se tutto va bene, tra un cinque sei altri libri potresti avere una rendita bastevole per sopravvivere all’inverno.
A patto che tu ne scriva uno ogni paio d’anni.
4.1: il narratore fantastico serializzato/serializzabile
Chi voglio prendere in giro: si parla di fantasy e tutte quelle flessioni che vi si pigiano a forza, che comprendono, entrando dalla finestra, qualunque genere fantastico con un nucleo di 4/5 protagonisti e più di un arco narrativo.
Hai grandi speranze per il tuo romanzo, lo senti proprio che è venuto fuori bene e infatti l’editor ti risponde dopo 5 mesi invece che 28.
È uno giovane, affabile, sembra appena arrivato in questo mondo, quasi quanto te. Se lo lascia sfuggire che sta parcheggiato nella collana fantasy in attesa di passare alla narrativa italiana, ma non ci dai peso. Magari potreste lavorare insieme, dissipando tutte quelle storie dell’orrore che hai letto su internet.
Ma lo vedi l’occhietto rapace, lo capisci che qualcosa è storto. Quando gli parli di due seguiti lo vedi che comincia a toccarsi. Ed è a telefono.
Quando gli dici anche cosa succede, nei due seguiti mugugna anche un po’.
Tra i gemiti di lussuria ti chiede se c’è una romance. E tu non ci hai pensato, tanto i protagonisti son tutti maschi e detto tra noi, riciclati da una fanfiction di Dragon Ball che hai scritto alle medie.
Una romance ci sta, dai. Metticela. Più di una.
Ma sono tutti maschi.
E cambia il sesso a uno. Ce l’hai un personaggio più deboluccio, ma verbalmente violento? Facciamo una bella donna forte.
Ma veramente…
Ma dimmi, ha proprio senso che questi siano adulti? Dai, cioè, un libro per ragazzi, non puoi metterci solo vecchi.
Ma si apre con una carneficina e due stupri, il protagonista è un mercenario indurito da una guerra eterna con le creature del sottosuolo.
E non ci può avere sedici anni?
Eh no.
I mugugni diminuiscono, deve esserci un problema di lubrificazione.
Eh ma se non c’è la romance, so tutti vecchi, manco una donna forte. Cioè, dai non si vende.
Ma nel secondo libro…
Seh, ma chi ci arriva al secondo libro? Almeno scopeno? Un incestino? Così?
Ma mica è Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
Che?
Game of Thrones.
E male. Perché non mi hai portato Game of Thrones? Loro c’hanno i marmocchi E scopano. Due zinne. Quella fregna di Emilia Clarke…
Per la verità Danaerys Targaryen è trasposta piuttosto male dai lib…
Insomma se me lo riscrivi con quattro marmocchi, la maggioranza dei quali si ammucchiano in maniera ben distribuita per il libro, uno muore giusto prima di chiocchiare, magari aggiungi un triangolo, te lo prendiamo.
E tu che c’hai messo anni di ricerche a scrivere quelle prime 400 pagine, ti sei inventato anche un linguaggio da zero che appare in due righe della terza appendice alle mappe delle cantine del sottosuolo della residenza estiva del Muftì, nominato di sguincio al nono capitolo, glielo scrivi lo stesso, perché pensi: vabè, al prossimo giro sarò famoso, c’avrò più leva. Che ne capiscono loro.
Così pubblichi un libro cui tutti si riferiscono come Young Adult. Su internet qualcuno ne parla bene, ma i tizi sui forum che segui dai tempi di IRC ti liquidano con “il solito aborto tra il Signore degli Anelli e i Teen. Manco su Netflix prenderebbero sta roba, del resto non c’è manco un ghei nero disabbile ahah”
E tu lo sai che hanno ragione, ma tiri avanti, ti concedi anche un mezzo colpo di coda sull’ultimo volume, che l’editor ti manda in stampa senza nemmeno guardarlo. È arrivata l’ora di un progetto nuovo, la casa editrice ti da l’ok perché tanto chissenefrega. Scopano? È nello stesso setting? Va bene.
Quando ad un tratto qualcuno bussa alla tua porta. È una chimera di mille corpi e infiniti volti. Ruggisce. Ti fa paura.
Salve, sono il Fandom. Questa cosa nuova che vorrebbe scrivere non aderisce alla nostra fanfiction, poi cioè, non ci ha fatto almeno 12 delle ship che avevamo proposto. È inaccettabile
Vieni legato a un letto e il fandom ti spezza le gambe.
Provaci a scrivere una cosa diversa, ti sfida, brandendo un maglio da carpentiere.
Provaci.
4.2: il narratore fantastico sperimentale
*Laughtrack*
Ma che davero?
Ma ci hai pensato a scrivere uno Young Adult?
Fortuna che sei laureato in ingegneria gestionale.
Ovviamente ci sono eccezioni e mosche bianche in questa categoria, così come nelle altre. Il piccolo problema è che quella mosca non sei tu.
Percorso 5: il transavanguardista
Che a un occhio più attento, può essere chiunque nel percorso 1 e 3.2, ma ha messo in moto qualcosa che nessuno si era preoccupato di anticipare.
Camminare nel seminato è per gli sfigati, i generi letterari sono morti e diciamoci la verità, son tutti coglioni tranne te. Così tanto che sei anche consapevole che proporre qualcosa di assolutamente nuovo all’industria creativa è un suicidio.
Così, siccome tu col cazzo che ti pieghi al tocco mortifero di editor e agenti, cominci a scrivere, ma non un romanzo. Prima passi per gli articoli. Nessuno se n’era mai accorto perché sono tutti sul tuo blog o ospitati su portali talmente di nicchia che i collezionisti di copriwater in confronto sono un gruppo mainstream.
Ovviamente in quello che dici non c’è molto di nuovo. Si tratta di riflessioni di estetiche morte da poco, che la gente ha fatto in tempo a scordare, o che semplicemente non appartenevano al media letterario, a cui tu aggiungi l’inconfutabile auctoritas di una minuziosa analisi accademica.
Non importa che si parli del gioco di ruolo preferito della destra autoritaria, o di romanzi di culto di metà anni ’00, tu hai capito che quello è il futuro e come debbo aver già menzionato, sono tutti coglioni tranne te. Nulla che non pensi uno qualsiasi dei tuoi colleghi, ma tu te ne fai un punto di farlo sapere al mondo.
Tutti gli altri sono scrittorini, o gente che copia, pusillanimi, ominicchi e quacquaracquà, bachi convulsi che si nutrono della carcassa editoriale in questa tragica fine dei tempi perché il mondo sta finendo, o cambiando (dipende da che transavanguardista sei), e sei il primo ad accorgertene, non lo ha detto mai nessuno!
C’hai il tuo gruppo compatto, orientato e multidisciplinare, siete assediati voi.
Il problema di essere assediati e parlare male di tutti, però, è che poi alla prova dei fatti, dopo aver costruito una nicchia contenutistica dove di fatto stai solo tu, fermo all’entrata dedito al più zelante dei gatekeeping, nessuno te lo vuole pubblicare sto libro.
Che non è un libro eh. I libri sono per i polverosi baggiani del mondo morto.
Questo è un device.
Ma c’ha le pagine?
Sì.
E la copertina?
Eh.
E le parole dentro?
Certo.
Ma allora è un libro.
Ma che ne devono capire? Sono tutti coglioni tranne te e gli amici tuoi.
Fortunatamente mentre facevi terra bruciata ti sei ricordato dell’unico editore che non hai preso a parole e in fondo con tutto quello studio teorico, il libro è scritto bene. Cioè, è figo. Se ne è accorto anche qualcun altro.
Forse hai sbagliato qualcosa.
Sta di fatto che st’unico sopravvissuto te lo pubblica pure, è contento, magariddio gli capitasse sempre gente così.
Lo leggono solo quelli del tuo gruppo, che poi sono quelli con cui lo hai scritto e siccome la distribuzione è quella che è, il tuo device non può produrre introiti, senza contare che siccome il futuro è la scrittura collettiva, la manifestazione dello zeitgheist (IL NUOVO, IL NUOVO CHE AVANZA!), come li dividi gli otto centesimi a copia tra settantadue collaboratori?
Magari te li puoi prendere tu, del resto il tuo è l’unico nome sul volume. Tutti e sedici gli euro.
Hai comunque un altro lavoro.
Vero, ma volendo astrarre ogni “mestiere” fuori dal seminato è allora destinato a scontrarsi contro il muro della realtà. Tuttavia, il mondo continua e continuerà ad avere Scrittori, Musicisti, Pittori, Ballerini, ecc. Sognare, alla fine, non costa nulla. Anche se un giorno il capitalismo mercificherà pure il mondo onirico. =)
"Mi piace""Mi piace"
Peccato che scrittori, musicisti, pittori, ballerini non sognano. Scrivono, compongono, dipingono e ballano. Continuare a farlo in regime di sfruttamento è indegno.
"Mi piace""Mi piace"