Tutti i contributi arrivati in redazione dal 1 dicembre 2020 pubblicati senza lettura, selezione, editing o revisione: INDIFFERENZIATA è il tasto reset de La Nuova Verdə. Alberto Liverani ci inviò il 24 dicembre 2020 Mememorfosi, con l’auspicio di trovarne pubblicazione nello spazio dove oggi finalmente lo potete leggere.
Illustrazione di Mona J. Wimbledon.
Nota: tutti i meme riportati o suggeriti dalle seguenti righe sono in qualche modo attinenti alla realtà dei meme stessi (se essi possono, e si crede di sì, eventualmente riferirsi a una qualche realtà). Prestatevi attenzione, se interessa, oppure nulla: i meme, volenti o nolenti, potranno o non potranno concorrere al futuro in cui tutti assieme (si spera) si vivrà.
Ed infine, impensabilmente come però anche ce lo si poteva aspettare, accadde.
La sera prima Gianmario s’era coricato alla sua solita maniera, il corpo appendice delle mani esse stesse incapaci di definire dove terminassero e iniziasse la scura, liscia e un po’ opaca superficie d’un parallelepipedo nero, su una sola delle sue facce iridescente, multiforme, qualche pulsante vestigio d’una tecnica sorpassata – e però ancora necessaria, per alzare il volume o spegnere il dispositivo, silenziare la suoneria o attivare la vibrazione, o bloccare lo schermo che se no si spreca batteria, e con ‘sti ultimi modelli si sa che la batteria…
Ripiegato su sé stesso nell’archetipo d’un feto che tanto induce a sensazioni varissime a seconda di come lo s’immagini – se triste, o se sereno, o se indifeso o, o, o (ed è in fin dei conti solamente una posizione comoda, molto apprezzata da chi vuol riposare) – Gianmario aveva speso l’ultimo beffardo mezzo sorriso, e già mezzo addormentato, sull’immagine d’un cane giallo, dal fisico umano e muscolosissimo però: benché giallo rimanesse anche il corpo assurdo. Diceva qualcosa; la sintesi grafica, sullo sfondo bianco, associava alla figura scritte che, ma solo per assenza d’altro, riconducevano al dire qualcosa: di simpatico, divertente – non era forse più da tempo però sul serio una questione di divertimento, simpatia; Gianmario ormai davvero, addentro ai meme e alla memetica com’era, non si sforzava che a riconoscere il riferimento, se esisteva, o ad apprezzare l’assenza stessa del riferimento, sistematizzando tutto nei confronti di un nulla di poca importanza (riteneva): nella fredda disamina d’una forma d’arte che negava o meglio ironizzava costantemente sulla valenza dell’idea stessa d’arte – infine s’era addormentato, sotto la pesante coperta e il cellulare ancora fra le mani, inerti come accomodate al loro stare: esso gli era poi scivolato nella notte svegliandolo in un tonfo (non s’era rotto, grazie a dio!), pur solo per qualche istante di semi-coscienza.
Gli era parsa, telefonino a parte, una notte fra le più serene in cui gli fosse capitato di dormire: al mattino, appena prima di realizzare che l’orrore era già accaduto (e lasciando dunque ancora in sospeso quella prima frase non corsiva, più sopra: per ora, per ora, pazienza…), Gianmario poteva benissimo ricordare, vividi come fossero ancora davanti ai suoi occhi, Platone e Karl Marx litigare animosamente con Pepe la rana verde, su uno sfondo ancora bianco il quale però egli sapeva onirico, e che non disprezzava peraltro percependovi la tela su cui raccontarsi una fantasia non spazializzata, né tanto meno codificata in immagine ancora – da meme nasce meme e nasce meme e nasce meme… (Dalla qualità del sonno e dei sogni del povero Gianmario, si capisce, è inevitabile concludere come “Ed infine […] accadde” corrisponda più a “ce lo si poteva aspettare” che a un’imponderabilità per lo meno claudicante – appurato quanto oggi la memetica faccia, non vista, nel costruire la società: e dunque gli individui, benché in passato si sia spesso negata una tale transitività).
Avesse saputo dapprima ciò ch’era accaduto, Gianmario senz’ombra di dubbio avrebbe desiderato – metti a mo’ d’in memoriam, coi tempi che corrono, con l’orrore che in realtà è sempre già accaduto, e reiterato in varie forme –, più, avrebbe preteso che vi fosse, da qualche parte della quale lui stesso si sarebbe curato poco, purché data parte vi fosse (su ciò non avrebbe negoziato in alcun modo), una qualche descrizione del prima rispetto al suo, di orrore, un qualcosa che desse ancora l’idea di Gianmario e per nulla di ciò che poi era venuto, dopo esser accaduto: dopo Pepe e Karl e Platone, dopo le mani avvinghiate a un sapere sempre evasivo nei confronti di sé stesso…
Era stato Gianmario in fondo già una stranezza: nato il giorno bla bla nella città di bla bla bla… sarebbero per nulla incongruenze questi fatti rispetto a un’esistenza normale, normalissima (normie?), e peraltro dai bla in genere si cava nulla, e men che meno se si pensa a Gianmario, prima o dopo Gianmario: a meno di essere dove o quando il luogo e il giorno voglion dire qualcosa, ovvero sia o nei territori dell’astrologia, o in quelli del nazismo (o in entrambi, ché si pensa – erroneamente – non debbano divergere più di granché: ed entrambi peraltro cari alla memetica). A Gianmario e di Gianmario sarebbero potuti interessare gli amici: a dispetto degli stereotipi su internet e le esistenze di oggigiorno, il nostro fu senz’ombra di dubbio una persona socievole, finché esisté. Egli stesso, in lunghe serate a perdere il tempo chiacchierando e chiacchierando e chiacchierando (online od offline, poco importa dacché i muri ormai son caduti tutti), s’era in parte dichiarato: «Non dovete mai prendermi sul serio»; e dunque forse aveva anche vaticinato il sé, in cuor suo sapendo dove la china dell’ironia (che è costume obbligato, fra amici, nell’epoca dei meme) l’avrebbe condotto, ostinandosi lui indefesso a voler essere il più ironico fra gli ironici.
«Ma dici sempre cazzate tu?» gli avevano chiesto in tanti (ché lungo gli anni e la rete, va detto, l’idea dell’amico è ora cangiante, continuamente articolandosi su nuovi volti e nomi e caratteristiche), e allorché apostrofato lui rispondeva «SÌ.» – alla stregua, ‘manco a dirlo, di un meme fatto e finito: dei più duri a morire, ovvero di quelli che s’adeguano molto ai sempre mutevoli appetiti dei consumatori (poiché, ma si fa opinione qui, i meme per quanto arzigogolo si danno sempre anch’essi nelle forme del consumo).
E c’è sicuramente dell’altro, di Giamma’, oltre agli amici meno ironici, c’è sicuramente da dir altro su… eeeehm… la famiglia? (no, ma quella è cosa comune, non è dirimente: qualcos’altro, qualcos’altro!) La ragazza? (ma se è praticamente un incel!) Allora… allora… (è davvero tutto qui Gianmario? Davvero di lui non c’è nulla se non un banale, impercettibile, occasionale, fisiologico mutare, a scopo d’adattamento e sopravvivenza, senza però in fondo smuovere alcunché, in nome di un qualche non meglio definito “sarcasmo”? Che palle…) NO! NO! Va be’, sì – insomma, ‘sto Gianmario non è stato poi così un granché. Ma si capisce, è difficile il mondo di oggi, e una volta i giornali, il lavoro, oggi ansia e meme, ci s’occupa la giornata come si può e si riesce… tant’è, il necrologio.
S’era levato dal letto dunque al mattino, peraltro d’umore piuttosto buono rispetto ad altri momenti di altre giornate, s’era consultato brevemente – qualche minuto ancora intontito – col suo personale cyberspazio, entro cui l’algoritmo modellava la rete a immagine e somiglianza dell’utente the_chad_Gsams (e mediando dunque fra le esigenze d’un sistema reale e le idealizzazioni imperfette del sé virtuale, accomodante), poi s’era deciso ad andare a sciacquarsi la faccia, ché sentiva una noiosissima crosticina nell’occhio sinistro e tutto il naso untuoso dal sebo notturno.
Giunto dinnanzi allo specchio volle levare un grido, ma sulla superficie (era impossibile decidere se fosse ancora propriamente un riflesso) si disegnò solamente una lunga scritta debordante: «AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
Ed infine, impensabilmente come però anche ce lo si poteva aspettare, era accaduto.
Lo specchio (pur se ora definirlo pannello sarebbe più appropriato) restituiva agli occhi di Gianmario – occhi? Gianmario? Alla percezione del tutto astratta che in luogo d’essi restava? Che più e più andava vanificandosi, istante dopo istante, dacché l’orrore era infine fattualmente accaduto? Il pannello riconduceva ad un continuo mutare, ricomporsi, organizzarsi di layers, scritte, personaggi, schematizzazioni, disegni, scarabocchi – si riorganizzava in sezioni, frattali sempre più suddivisi e divergenti, poi convergenti, estensivi e intensivi un’abominevole quantità di sapere umano, confusamente sovrapposte l’una parte all’altra, l’altra all’una e poi alla terza, quarta… La viralità fotteva con la manipolazione, con la falsificazione manifesta e indecidibili s’avvicendavano Stalin e Kermit, JoJo e Andreotti, Bin Laden e i Rage Comics, Pepe e Wojak.
La cosa innanzi credette d’impazzire, mentre tutta la rete insieme, dall’astrazione ch’era, si realizzava nello spazio cognitivo disintegrandolo, distruggendo il soggetto in virtù della perenne, ineludibile inter-oggettività.
In un ultimo rantolo razionale essa/egli s’aggrappò allo sconforto e all’agonia derivativa dell’illudersi che “altri” (altri? Amici? Persone? Utenti? Qualsiasi di diverso, purché sia?) avrebbero dovuto in tutta coscienza, in un atto di pietà, sforzarsi di decodificare una tal mole di… cose; e non l’avrebbero fatto, non avrebbero che distrattamente, svogliatamente fallito. «Kek», «Ma cos’è? Un meme normie?», «No, secondo me invece è dank», «Ma non si diceva una meme?», «Ma dove vivi?», «Va be’ ma a me che mi frega, basta faccia ridere»; sarebbe rimasto soltanto l’atto disperato del dubbio, e trovare, trovare a tutti i costi una possibilità di esistere oltre, almeno ancora un po’: essere meta? O post? O pre-ironici? Essere ironici e basta? Expanding? Ricorsivi? Fritti? Essere progressisti, reazionari, iperstizionali, puro oggetto di consumo o alfieri della Meme Magick – cambiare il mondo o riconfermarlo?
Perdurò qualche momento a rimbalzare da meme a meme tentando invano di sostanziarsi, sedimentare in un sé qualsiasi – lo schermo che poneva veli su veli su veli a ottenebrare quello che davvero forse c’era, prima – però… the_chad_G… com’era che si chiamava? Come finiva?
Poi il meme morì, consono nel suo ciclo vitale ai tempi ipertrofici della cybercultura, e dunque della contemporaneità più attinente alla propria semantica – tutti i meme, davvero, muoiono dopo qualche tempo, solitamente più o meno breve: a parte Pepe forse, Doge, pochi, pochissimi altri…
Tutti quanti dicono «ma perché il meme?» ma nessuno chiede mai «come sta il meme?»…
Lontano, da qualche parte, anonim* un qualche “anon” s’era addormentat* in una risata, dopo un meme che faceva: «RIDI RIDI AL MEME DIVERTENTE».
Racconto di Alberto Liverani, ricevuto il 24 dicembre 2020, non letto né selezionato prima della pubblicazione senza il consenso dell’autore.
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