
Flaming-oh, Ottavia Marchiori
“Chiamate telefoniche” è una caccia al tesoro dove quello che conta di più è il viaggio, superando gli ostacoli dell’aspettato e del già detto, alla scoperta delle connessioni neuronali più profonde, nello spazio informe tra la confessione e l’intervista. In una Litweb mai così balcanizzata e mai così vicina all’auto-annullamento, Luca Marinelli esce di casa per citofonare alla letteratura. E forse contattare nuovi spiriti guida. Oggi al telefono: Carlo Martello.
Il collage Flaming-oh è di Ottavia Marchiori.
Il fatto è che questa intervista telefonica dovevo farla dal vivo, per forza. Carlo Martello è un pesce patata, un pesce luna, un pesce di un branco di pesci nello stomaco di un pesce mondo. Lo guardo attraverso il vetro della grande vasca oceanica e mi dice con lo sguardo e con tutto il suo essere muto: vieni qui.
Devo immergermi, lo so; mi immergo. Nella vasca del branchiabisso, che credevo la trappola finale di ogni esistenza, si respira e si parla, invece, proprio esattamente come se fosse la TV. So che è un’illusione, un inganno del mio cervello, eppure mi sento a casa.
Luca: Mi devi dare un po’ di tempo per abituarmi, Carlo. Vorresti dormire, chiudere gli occhi, vorresti abbracciare l’acqua. È strano comunicare, qui giù.
Carlo mangia dei pesci più piccoli. Non capisco se sono i suoi figli, i mille volti dei suoi nipoti, o se sia un caso che somigliano così tanto a lui. Le mie mani sono già gonfie per la pressione della profondità.
Luca: Mi dicevi in quell’email che stai mettendo su un consiglio di amministrazione per quel grande stabile occupato dalle scimmie che leggono i racconti. Com’è la situazione lì, come va?
Carlo Martello: Le scimmie che leggono i racconti devono essere protette a tutti i costi, poiché sono il patrimonio più importante dell’umanità.
L: Da dove vengono principalmente quelle che più volte hai definito minacce?
C. M.: Le scimmie che leggono i racconti non sono mai state minacciate e non hanno nella maniera più assoluta bisogno di noi. Per questo, soprattutto per questo, è nostro compito proteggerle, a costo della nostra stessa vita. Ma tu credi mica, dimmi un po’, credi mica che loro conoscano la burocrazia?
Ecco che Carlo piroetta. Il branchiabisso è un funerale di luci cosmiche, decine di tentacoli si illuminano sui vertici e sono una moltitudine di rane pescatrici, un esercito di occhi acuti delle profondità. Se gira su se stesso sta cercando di mordersi una delle code, non è un caso che lo faccia: da qualche parte di certo nel mondo c’è un bambino che sta morendo ammazzato; così questo che stiamo guardando è un tributo, un conforto, un modo di forzare il destino con una catena non numerabile di movimenti causa-effetto che il branchiabisso ha previsto alla decima cifra dopo la virgola; il branchiabisso è il contabile dell’esistenza, il branchiabisso sa.
L: Ti va di approfondire un po’?
C. M.: Sappiamo benissimo che le scimmie che leggono i racconti non sono il problema, Luca, e ti dirò di più, non sono neanche così interessanti da basarci questa intera conversazione telefonica. Per questo non approfondirò. Il vero problema, l’unico che sono in grado di vedere, qui, siamo più che altro noi. Noi non difendiamo le scimmie che leggono i racconti come se fossero più importanti della nostra stessa vita solo perché le scimmie che leggono i racconti non hanno bisogno della burocrazia e soprattutto perché non hanno bisogno di noi. Noi non difendiamo nulla che non abbia realmente bisogno di noi. Per questo le scimmie che leggono i racconti ed ogni altra creatura di aria e di cosmo sono e saranno sempre superiori a noi.
Ascolta i due centesimi di questo branchiabisso, ti prego, e ti sfido a trovarne un altro che la pensi diversamente da me.
L: Sapevo che tu fossi l’unico.
C. M.: Lo sono, infatti.
L: Vuoi fare un appello ai nostri lettori per caso?
C. M.: Vi prego salvate le scimmie che leggono i racconti, se volete insegnategli anche la burocrazia. Non fatelo nella maniera più assoluta per loro, fatelo per voi.
Quando sono uscito dalla vasca del branchiabisso ho vomitato molteplici volte. Il mio corpo non poteva crederci che questa orribile aria che respiriamo fosse la realtà. Ogni tanto sogno ancora la vasca.