RICETTE #9: Cannelloni “29” alla D’Antuono

G r E e N L o D g Y

Buongiorno, siamo l’unica rivista qua in giro. Lo ha detto Alfredo Zucchi in merito a questo, la bomba lanciata per inaugurare un nuovo segno de La Nuova Verdə 2021. Lo siamo al di là di un podcast pazzesco, opera di Claudia D’Angelo che ha diretto la registrazione. Le opere e i prodotti audiovisivi sono fatti collettivi, ma la regia di Claudia ha ri-creato ciò che adesso potete sentire e che in video è un’altra cosa. La regia di Claudia è il motivo per cui non avevamo mai potuto fare un podcast e adesso invece possiamo. Tanto era dovuto, tenetelo a mente.
Alfredo Zucchi ha ragione, non è che non lo sapevamo, ma ciò non impedisce di emendarlo. La Nuova Verde è l’unica rivista qua in giro finché non perverrà un altrove dove
Stefano Felici, in attesa del fatidico maggio 22, inventerà ragionando in un ambiente analogamente insalubre Ricette per chiuderla così, Cannelloni 29, deformando D’Antuono, Sabelli, la redazione, se stesso, le voci di una costruzione letteraria che in questo uomo si fa carne cogliona, ma pur sempre carne. Felici è una centrifugazione fenomenica, qualsiasi cosa possa significare, che non ha mai suonato una nota ma ha fatto sentire la musica.
Dei racconti, d’altronde, non ce ne frega un cazzo.
Meme fritto dalla 
G r E e N  L o D g Y .

Certe mattine mi sveglio e sento che il tempo va avanti senza di me. Sono finito. Il fruscio di un disco che gira senza più alcuna musica…

È il sesto giorno di dieta e ho perso tre chili. Federica non mi fa mangiare nulla che non abbia la sua approvazione; e siccome oltre a lattughino, melanzane e zucchine non conosce altro, questa è la mia dieta.

Patisco la mancanza di carboidrati passeggiando su e giù da mezzogiorno alle due, come un matto, lungo una parete lunga quattro metri. Un giorno sono tornato dal supermercato con un pezzo di Auricchio piccante: mentre lei studiava, senza farmi vedere, ho provato ad addentarlo di nascosto, dandole le spalle, standomene davanti al frigorifero – maledetta casa piccola, dannati spazi stretti – ma lei non so come se n’è accorta, e ha urlato come un rapace in picchiata, mi ha fatto saltare l’Auricchio dalle mani, il formaggio è finito a terra, lei l’ha calpestato. Ci è salita sopra con tutti e due i piedi. Io ero in lacrime.

Due notti che sogno di mangiare melanzane alla parmigiana e lasagne. Piatti stratificati, ogni strato un pullulare di grassi. Formaggi sciolti e filanti. La sapidità dei framezzi. La croccantezza del boccone, il velluto di besciamella… No, mi sbaglio: le notti sono tre. E c’è sempre una costante: un uomo che mi guarda, mentre mangio. È un uomo con gli occhiali da sole, forse dei wayfarer, con addosso una camicia dai motivi floreali, ma non una camicia larga stile hawaiano: una camicia attillata, che lo fascia, evidenziandone il petto largo, la pancia soda e curva. Ha un’espressione strana, tra il diabolico e il paterno. È D’Antuono.

Le ultime mattine in cui ho sognato D’Antuono mi sono svegliato come se poi, al mattino, un diavolo m’avesse tolto la dimensione del tempo presente. Mi ritrovo in una dimensione impalpabile fatta di verdure a tocchetti e sguardi torvi di una ragazza che ormai bada solo al mio peso.

Tutto intorno a me è grigio. Sento una puzza costante di vegetali in decomposizione.

Scrivo su WhatsApp a Pierluca.

«Pierluca, ti ho sognato. Eri grottesco. No, non come al solito: sembravi un diavolo. Eri mefistofelico. No, non come al solito, tipo quando andiamo a cena da Lucia e parli male di Mignola, Zucchi e tutta Crapula. È diverso, è diverso… Credo di aver conosciuto, in sogno, il D’Antuono vero: quello disumano». Pierluca visualizza e non risponde. «Pierlu’, ci sei?». Spunte grigie.

Una sensazione tremenda, al risveglio dalla quarta notte consecutiva in cui D’Antuono si è presentato nei miei sogni.

Questa volta era vestito con una normalissima camicia bianca a maniche lunghe. E non aveva i suoi wayfarer. Eppure… I suoi occhi: non riuscivo comunque a vederli.

Mentre mandavo giù il boccone di lasagna al pesto, lo vedevo armeggiare con una specie di piccolo pallottoliere. Diciotto… Diciannove… “Venti”…  Il volto gli si contrae in una smorfia satanica: la lingua gli penzola di lato, la fronte si increspa di cento rughe, gli occhi, ancora distanti come in una nebbia, sembrano incastonati in due ferite oblique e minacciose. Ventuno, ventidue, ventitre… E io che dicevo «Cosa, Pier, cosa», ma lui schiumava dalla bocca e ansimava, emetteva stranissimi suoni di ferrovia dal naso.

Ho una fame pazzesca. È il quarto giorno consecutivo di zucchine. Federica non molla. È Adolf Eichmann. Un’istruzione così semplice, in mano a lei, è diventata un cristallo di malignità. I chili persi ora sono quattro.

Ventotto… Ventotto… Ventotto…

Il D’Antuono di questa notte aveva gli occhi completamente neri. Un demonio. Il petto nudo, da cui spuntavano peli spessi e dritti, come aculei. Ventotto, continuava a dire. Io mangiavo insalata russa. Rischiavo quasi di soffocare, eppure più soffocavo e più e mangiavo. La fame mi divorava da dentro.

«Oggi devi pulire il bagno, lavare i piatti e mettere a posto l’armadio». Poi ritorna a leggere il suo manuale di storia contemporanea. Io per un attimo vengo attraversato da un pensiero folle, una visione di femminicidio, un sacrificio al Dio Maschio, mi vedo già a capo di una tribù Incel, redpillato massimo, illuminato dacché passato materialmente in un inferno che gli altri possono solo immaginare – alcuni, segretamente, sperano anche di poterlo vivere, lo so – la testa sormontata da una corona ossea, corna e cranio di montone, come il tizio delle foto dello pseudogolpe di Washington, come Matteo Meschiari a carnevale. Mentre penso a tutto questo, lo stomaco mi brontola così fragorosamente che Federica si mette a ridere.

«Perluca, ma che mi hai fatto?, perché ti sogno ogni notte?», ma lui non parla. Sospira. «Feli’» si sblocca, «ma io che ne so, che vuoi che ti dica. Io penso solo ai miei ragazzi e alla mia rivista: non “metto il dito” tra gli affari degli altri». Ma allora dillo, Pierlu’: mi vuoi male.

C’è un drappo rosso che cade dall’alto. Siamo seduti su due divanetti marroni. Il pavimento è bianco e nero, con una trama a zigzag. La voce di Alfredo Zucchi ci arriva dall’alto, come un annuncio in aeroporto. «Oggi cannelloni». Guardo D’Antuono. Ha una camicia, una delle sue, bordeaux e nera, con degli strani arabeschi. I wayfarer, il petto villoso in bella vista. «Oggi si va per i ventinove», dice. Io dico: «Ma ventinove che?». E lui: «Centimetri di cannellone, Feli’. Sleppa. Pitone. Proboscide. Pesce. “Cazzo”. Do you understand?». Davanti a noi si materializzano dei Cannelloni congelati. Sono lunghissimi. Alfredo Zucchi recita la ricetta parlando al contrario. «Feli’», fa D’Antuono, «cannelloni are not for all». E vedo che si alza, va verso il piatto e prende uno di questi cannelloni giganti. Lo mangia così, da congelato. Mentre mastica parla, ma non riesco a capirlo. Vedo pezzi di cannellone che gli partono dalla bocca, disegnano parabole in aria che sembrano fuochi d’artificio.

Mi sveglio. Scuoto Federica. «Ho fame. Non me ne frega un cazzo. Voglio mangiare. Ora vado al supermercato e mi prendo quello che voglio». Lei sbiascica: «Ho sonno… Fai quello che ti parhhrhrh…». Ah! Quindi è nel sonno che sei vulnerabile, brutta stronza!

Mi alzo dal letto, ma realizzo subito che c’è il coprifuoco. Va bene, va bene. Calma. Ci sarà qualcosa in casa. Calma.

Frigorifero: vuoto. Federica…

Dispensa: vuot— alt: cosa sono? Paccheri? Tre, Quattro… Quattro paccheri. Ma vuoi vedere che…

Ho trovato il bug nella sorveglianza di Federica, ma per cosa? Per dei paccheri alla Alcide

«Me ne dai uno?», sento dire alle spalle, dall’alto, è un’ombra con degli occhiali da sole, è il Pierluca disumano, è uscito dai miei sogni, è reale, dice un’altra cosa, dice: «Sai, i paccheri alla Alcide sono… Sono una mia idea, ecco». E si fionda sul piatto, facendomi cadere dalla sedia.

Mi rialzo. Il piatto è vuoto. Pierluca scomparso. Ho fame. Più di prima. E ho paura di tornare a letto.

FINE (?) qua tutte le Ricette

Stefano Felici

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