
La guerra è finita
Gioventù etrusca è il modello sincretico della Nuova Verde in cui convergono le scenicchie già inconciliabili, confederate nella grande dodecapoli della Litweb.
Non un genere, né una tendenza, ma una dimensione di autrici e autori laziali, toscani, umbri, campani, dal gusto ellenico. Etruschi.
La guerra è finita, leggete in pace.
Simone Bachechi è il primo giovane etrusco. Simone Bachechi diventa Luca Marinelli e ne scrive il diario. Dove, come, quando, perché? Cercate di scoprirlo insieme a noi.
La scaturigine dell’evento, da qui in avanti decodificato con singolarità, fu dieci giorni prima in una lussuosa villa con lo sguardo di sbieco sulla città dei Pazzi, i veri signori di Fiorenza, benché congiurati, distrutti, lavati nel sangue, villa già appartenuta a un noto collezionista d’arte. Da allora io non sono più lo stesso, cioè io sono lui, cioè lui è me, insomma ci hanno scambiato i ruoli, i giorni, il diario, il libro, tutto, uno da una parte uno dall’altra, la commedia dell’arte. Tutte le persone lì accorse stavano disquisendo più o meno infervorate di arti letterarie e figurative di vario genere come velleitari partecipanti al concorsicchio della scena fiorentina o al gruppo di lettura sponsorizzato da tale lettore compulsivo all’anagrafe Samuele Parmintano, o Parmigiano o Amatriciano, o qualcosa del genere – un appellativo gastronomico che non ne sminuisse anche nominalmente il ruolo di deus ex machina di quella tre giorni.
Nel cicaleccio incostante, la folla si affaccia al belvedere ed è tutto un sentore di corti rinascimentali, una volta qui di tendenza e ora ridotte a meme post-adolescenziali nei tramonti color porpora immortalati dai poeti di periferia nell’aria ferma della canicola pre-estiva. Il garzone in porticato, tutto precariato e capitelli corinzi, sfoggiava il suo grembiule ardente, tutto questo per un caffè, mentre continuava a servire come niente fosse birra da tre soldi. La stantia, plagia mostra del rinato che assorbe l’energia dagli eoni e gli stanchi aedi che metteranno su la quinta ariostesca della rappresentazione che lì avrà luogo, se gli dei vorranno. Intorno al verzò, con la prestanza di un’adunanza da calumet della pace, Venere più splendente della notte sul delta di Cassiopea, in muta schiera gli abbronzati dotati di maschera e foto, l’iride della finestra di un palazzo rinascimentale che guarda la piana a scacchiera sotto di noi, la cupola e il verderame della sinagoga, perché quello non fu il castrum, ma lotte medievali di famiglie e signorie, che poi tutti qui sappiamo da un’alta autorità che i peggior nemici dell’ uomo sono nella propria casa.
La giornata di letture volgeva la termine, ne parlavo con il mio editor, prima che quello si infrattasse dietro i fichi d‘india in fondo alla terrazza, dietro il vialetto dei nasturzi indiani, con tutti i convenuti a mora di compagnia, perché non avevano pagato il bordereau della serata. Di lui ne parlerà il Marinelli forse perché ora è il suo di editor, cioè sarebbe sempre il mio ma io sono diventato lui e quindi a lui inerisce anche tutto quello che a me apparteneva, annessi e connessi e, se solo lo vedessi il giorno dopo lì in terrazza per la seconda giornata di quella fiera di imbastiti, questo direi al mio ormai ex editor fedifrago:
“Ti ho conosciuto in passato e capisco mai conoscere uno scrittore o un editor o l’editor e il suo scrittore te ne stavi con la tua ninfetta letteraria ipertatutata nonché oltremodo aspirante ed esordiente ti ho visto eppure ti ho fatto un semplice saluto e se tu mi avessi dato il tempo te lo avrei detto che ero venuto solo per il panorama o al limite per la presentazione delle 15,30 al Belvedere non certo per te forse hai preferito far quasi finta di non conoscermi e per la ninfetta della tua relazione extraconiugale che chissà perché avrai pensato che io potessi spifferare o proprio capire che non ero lì per te ma per il Marinelli e realizzare ancora come sei legato al giudizio altrui che non vali un cazzo se tu avessi voluto te lo avrei detto dopo che tu mi avresti sicuramente chiesto come va come non va guardingo e quasi preoccupato come due che vivono della loro reciproca paura e ci saremmo guardati per un attimo infinito e poi io ti avrei detto che come già saprai io vivo sempre in quel tugurio disammobiliato della provincia da dove vieni anche te del resto e che ora ancor di più vivo come un barbone perché ho investito tutto su questa cosa della letteratura e presenzio a festival incontri presentazioni fiere motivo per il quale mia moglie mi ha mollato del tutto e con gran fracasso e mi ha lasciato a secco ed ecco che sono ridotto sul lastrico e costretto a chiedere alloggi occasionali ad amici che non ho e rivistari di passaggio e tutto ciò per questa bella letteratura della quale anche tu fai parte per cui la colpa magari è anche un po’ tua caro il mio bello scrittore di scrittori bohemien che fanno finta di sbattersi in queste cazzo di serate ma vivono nel superattico ecco mi vedi e tu neanche mi hai degnato di un saluto perché ti ritieni un grande uomo di lettere un grandeuomo e tutti gli altri dei distrattori e lo scrivi del resto nei libri che fai pubblicare che mai e poi mai incontrare uno scrittore o semplicemente il suo editor e ti capisco solo che con me sei cascato male sono molto tradizionalista se pensi che funzioni con gli altri ed hai perso un lettore un recensore un frequentatore degli insulsi corsi ai quali fa riferimento la casa editrice che ti paga le trasferte perché nemmeno un saluto minima riconoscenza quella gentilezza che dici sa di falso ma non si nega neanche a un cane e nemmeno a me recensore lettore dei tuoi scrittori frequentatore dei tuoi insulsi corsi sui racconti quando per esempio solo poco prima dei rivistari coatti mi hanno accolto con una festa di fuochi d’artificio che consistevano in un abbraccio e un selfie pur dalle tremebonde conseguenze il tutti insieme che tu non conosci ed è per questo che io piango languo e ti maledico mentre sono sicuro ti fischieranno le orecchie e capirai quanto avrei bisogno di te anche solo per mettere un po’ di punteggiatura”
Fu proprio lì, nella situazione verzò che t‘incontrai il Marinelli e il Pierluca D’Antuono, suo mentore a scatafascio, già degno viatore, proto-sacerdote delle altrui lettere nonché rappresentante legale effettivo, come se ci fossimo da sempre conosciuti, e ci mettemmo in posa sullo sfondo del lampredottaio ed è lì che accadde. La singolarità: io che parlo di lui che parla di me, la mutazione, l’anaforesi, la nostra metempsicosi particolare vivente. Ci guardiamo come taccole, come corvi e anche se il suolo dovesse aprirsi sotto di noi nessuno avrebbe il diritto di interferire, perché siamo come fantasmi, qualcuno che ognuno dei due aveva reciprocamente conosciuto in una vita precedente forse. Lentamente i due fantasmi si avvicinano; un terzo attende, non amico, non nemico, un mediatore: non ricorda più nulla, morì forse lacerato tra coloro che ora sono fantasmi, e forse non divenne fantasma. O forse il terzo altro non è che colui che se ne va a zonzo per i giardini della villa con indosso un mantello nero – con questo caldo poi. Quel triplice discorso si logorò fino a morirne. Dei due fantasmi in un incontro come questo ognun vagheggia e par non aver perso nulla in questo eccesso di trasparenza e immagina che la nudezza e la trasparenza sbricioli e maciulli in forma di immagini e reciproci diari.
10 giugno 2019: Stamani andando al lavoro – faccio il tecnico radiologo a chiamata – nel vagone della metro ho sentito una ragazzina, poco meno che adolescente che, scendendo a Re di Roma – ché stavo andando al Celio per i miei raggi giornalieri a chiamata, ché pur sempre carabiniere sono stato – ha iniziato a sproloquiare, bestemmiare, maledicendo, additando un uomo da me non visto e rimasto in vettura, accusandolo di essere lui uno sporco pedofilo, con tutte le colorite e oscene connotazioni fuori luogo per una ragazzina di quell’età, senza alcuna controprova, dicendo che non sopportava quelle merde… che fanno in quel modo… che guardano. Parole impronunciabili che ha blaterato con lo sguardo cattivo fin sulla banchina all’indirizzo di quell’uomo a me inaccessibile, per il quale anche io avrei voluto ci fosse la pena di morte. Forse è stata solo una sensazione della ragazzina – alla quale avrei voluto dire “UCCIDILO” – perché non ho potuto vedere quell’uomo; e nemmeno la reazione della ragazzina riesco a connotarla, mancandomi tutta una serie d’indizi: non so quindi se si sia trattato di una molestia vera e propria, cosa che lì sul treno non ha avuto del resto nessun riscontro o testimoni. Deve esser stata più una di quelle sensazioni sottili e basate sulle percezioni, quelle cose che si dice gli uomini non possano mai capire, quel senso di costante allerta che sente una donna o una ragazza e che l’uomo al massimo può intuire dallo sguardo della sua preda incrociandola, quando lei che cammina in una strada deserta lo incrocia o si sente seguita. Per un attimo ho capito tutto, compreso lo sproloquiare di quella ragazzina maleducata, rabbiosa, oscena e vendicativa come me.
11 giugno 2019: Le deserte strade delle mattine di giugno che oggi percorro oltre la Casilina, mi fanno sentire di non appartenere a niente, alla città dove vivo, ai marciapiedi che percorro, alle persone che incontro e che mi salutano, allo sfondo dei monti all’orizzonte che mi sembrano paesaggi lunari. Tutto sa di esami, quando niente ha significato, in qualsiasi luogo, piazza o marciapiedi ti trovi, quando tutto, ogni pensiero, ogni angolo, ogni albero, ogni bar, ogni strada che percorri, ogni singolo movimento e respiro sa del terrore, dell’ansia e dell’inquietudine di una grande prova, mentre tutto il resto non ha alcun significato e contorno o ne assume le sue perfette forme.
12 giugno 2019: Oggi ho scritto una lettera, una sola, con la forza e la determinazione di uno che scrive una cosa anche a costo che sia l’ultima – fosse anche solo quello il risultato di un osservatorio permanente sulla letteratura post-carveriana. Era indirizzata al boia perché prendesse le distanze dalla cricca dei beoni e dei marmottari delle riviste. Questa recava il sigillo di tale Simone Gomma, forse qualcuno cooptato dal boia: “Egregio signore, mi pregio di offrire i miei servizi nel summenzionato triste caso, un po’ a modo, a vedere trattasi del….dunque siccome ho la specialità di mettere il laccio al collo che quando è dentro non può venirne fuori, sperando da voi essere il favorito rimango, egregio signore, nelle sue disposizioni e in attesa di un suo gradito riscontro…riscontro…riscontro…riscontro…riscontro…”
13 giugno 2019: Iniziamo dal tumore, dai roccioni puntuti e i costoni vellutati che si calano giù mentre fuggimmo la canicola. Ci sarà il nome di un medicinale per dirlo. Via dalla pazza folla per ripristinare capre e cavoli, in auto ci muoviamo in paesaggi mozzafiato fra rocce spigolose, più giù ancora l’onda calmierante del mare ci avvolge, ci assolve. Oggi mi sono preso mezza giornata libera per occuparmi della cosa della rivista, e di tutti i pezzi di quegli scribacchini fanatici che ci arrivano da quando abbiamo lanciato la call – faccio il tecnico radiologo io, e faccio parte anche di gruppi di estrema sinistra; tutto molto anni 70.
14 giugno 2019: Mi trovavo dalla parti di Viale dei romanisti, stavo tornando a casa. La oltrepasso e lei sorride, ma china sul suo cellulare, e io chissà che pensavo. Deve aver ricevuto un messaggio piccante da qualcuno che lei chiama Olmo, ridacchiando fra sé lasciva fa…Olmo… Olmo…Olmo…, Olmo che con il suo grosso, enorme, spropositato membro le deve aver promesso una solenne scopata dal di dietro, una cosa grande insomma e proporzionata al suo enorme culo che dovrebbero darle un’indennità per lo sforzo che deve fare per portarselo appresso, eh no non ci sono più le dolci ragazze di una volta e forse nemmeno gli uomini, si intende.
15 giugno: Questa sera ci sarà la cena al buio all’associazione. Dovrò passare anche al supermercato per prendere qualcosa, ognuno porta sempre qualcosa: un dolce; biscotti; crostini; cialde, anche se per il grosso della cena e dell’organizzazione se ne occupa la sede locale dell’Unione ciechi della quale fa parte mio nipote, motivo per il quale io prendo parte ogni trimestre almeno a queste loro cene di autofinanziamento. Questo sarà l’ultimo incontro prima della pausa estiva. Non è che non ci vada volentieri, è solo che queste cene spesso mi lasciano dentro una sensazione fasulla, come essere stato ad un luna park dei sensi e delle emozioni, una cosa artefatta che mi lascia insoddisfatto. Niente a che vedere con quelle cose di cui ho sempre sentito parlare come avere la sensazione di stare dentro a niente, oppure sentire che la vita sì è strana e che mai uno potesse aver pensato che certe cose potessero accadere davvero. Era più un sentimento come le cattedrali che sono solo delle cose da vedere in tv la sera tardi, tutto lì, oppure una stupida domanda da rivolgere a un cieco durante un viaggio insieme, in treno, chiedendogli su quale lato vorrebbe sedersi, chiedendogli magari di indossare gli occhiali scuri, pensando che questi fossero obbligatori per i ciechi.
Ovvio, lo faccio per mio nipote e per la sua malattia congenita agli occhi. Si chiama maculopatia retinica la cosa che ha agli occhi, è nato così. Si dice che questa malattia possa essere dovuta al suo essere nato prematuro di due mesi. Pesava un chilo e cento grammi quando è nato ed è stato per due mesi e mezzo in un’incubatrice con delle luci al radon piantate addosso giorno e notte, come se quell’esserino fosse una pianticella in una serra. Non è completamente cieco ma il suo campo visivo è a macchie di leopardo e deve fare degli slalom visivi per avere una distinta visione centrale che gli permetta quantomeno di leggere e svolgere le più elementari operazioni quotidiane. Quello che gli accade è che le cellule che avrebbero dovuto replicarsi per trasformare in impulsi elettrochimici i segnali luminosi si sono messe a sedere. Da sempre non fanno il loro lavoro e tutto si rabbuia al centro del suo spazio oculare, creando queste macchie come stagni dove la luce non passa.
Le cene si svolgono nella loro sede di Roma Nord, in un vecchio laboratorio tessile dal quale sono stati ricavati tre stanzoni per le attività dei gruppi, per i colloqui con i familiari e cerimonie varie. L’ambiente viene completamente oscurato. Per rafforzare l’effetto vengono distribuite delle mascherine o delle fasce nere da mettere sugli occhi perché si sa che il buio assoluto in un ambiente non è possibile. Ci sediamo tutti quanti su delle lunghe panche con le tavolate debitamente imbandite che nessuno può vedere. I ciechi stanno accanto o comunque mescolati ai normo-vedenti. In gran parte questi ultimi sono i familiari dei ciechi che alcune volte riescono a portare alle cene degli amici. Le cene vanno avanti sempre tranquillamente fra una pietanza e l’altra con i commensali che si scambiano le loro esperienze e sensazioni che quasi sempre vertono su concetti come: la percezione della realtà; il modo di sentire sé stessi e interagire con gli altri e perfino il senso del tempo – che per me è sempre luminoso e ingannatore e rallentando mi ghermisce. Questo accadrà anche stasera, già lo so, come in una sorta di realtà aumentata, come dicono quelli dell’Unione, i quali sempre asseriscono che lo scopo di queste cene sia, non tanto quello di far sperimentare la sensazione della mancanza della vista, ma sviluppare e amplificare gli altri sensi; cosa che gli ipovedenti e i ciechi per modalità predefinita fanno da sempre. Una dei capi della sezione, un simpatico e deciso donnone felliniano dice sempre: “Ne abbiamo cinque di sensi perché concentrarsi sempre e solo su uno e pensare che quello sia il più importante? Nostro signore non ha fatto gerarchia alcuna nel nostro corpo e ci ama interi per tutto quello che abbiamo e che siamo, non ci ama a pezzi” dice.
16 giugno 2019: Proprio oggi ho dovuto discutere con Cassio, fratello di Bruto. Gliel’ho detto in tutti i modi che non ho voglia di litigare tutti i santi giorni con mia madre perché viene sempre qui a fumare. Se mi butta fuori di casa dove vado? E poi dove andiamo a fumare? Proprio oggi doveva accadere poi, come se abitassi in una torre martello, come se mangiassi rognone a colazione, eredità della conocchia. Senza contare che è passato solo un mese da quando avevo deciso di smettere ma poi… uno solo, per ricordare i bei vecchi tempi e subito dopo sui denti una patina giallastra con striature nere fra uno e l’altro, come mai visto prima, come una deiscenza del peccato, aver scoperchiato un pozzo nero e putrescente che è riemerso in un giorno come questo, quando piuttosto che restarmene in questo buco di culo avrei dovuto farmi il giro della terra, avanti sempre prima del sole, rubargli un giorno di marcia, così sempre e non si invecchia mai di un
giorno, tecnicamente Bloomsday.
*
La degna conclusione della reciproca possessione sciamanica dei due addotti rivistari scaturita dalla singolarità, avrebbe dovuto aver luogo sul ciottolato in graniglia della villa dove uno si era metempsicotizzato nell’altro. “Mete cosa?”, volle sapere l’Ametrano sollecitato dal gruppo di controllo dei relatori e sponsor ufficiali lì presenti nei loro legali rappresentanti e tutori della sana repubblica delle lettere: nelle persone del Bulino, Andriei Francisco, Pio Semi, Salvo Croce, il gran Scudato, Il decorato alla giarrettiera del Baston dorato, il gran Ciambellano il gran Connestabile e maniscalchi, decoratori, lapidari, tagliatori e cavaturaccioli, tutti uniti nel ribadire che quella metempsicosi inversa non s’avea da fare e che se ognuno fosse rimasto nel corpo dell’altro erano cazzi loro! La loro comunicazione si stabilì quindi attraverso il corpo pituitario e anche per mezzo di raggi color scarlatto e arancio fiamma, raggi emanati dalla regione sacrale e dal plesso solare sotto forma di mail e messaggeria istantanea ove i due si promisero di aggiornare i reciproci bollettini altrui giornalmente e trasmetterne all’altro ad perpetuam sessionem i dettagli su richiesta.
Si legge Marinelli si pronuncia Bachechi: transustanziazione, eucaristia, singolarità, metempsicosi. Il doppio del gioco l’ha molto moltiplicato creando non pochi problemi ad almeno uno dei due che non sa come chiuderla perché sembra gli si sia bloccato l’ingegno, motivo questo di grande ilarità nei carneadi in attesa sulla terrazza della presentazione del mini-volume della nuova leva del raccontismo toscano – un emerito sconosciuto introdotto e moderato nelle sue foie dall’editor fedifrago, perché anche il tempo sembra essersi arrestato, ordine e relazione tra corpi a cui quella stessa settimana sembrava appartenere. Con la stessa disinvoltura con la quale si sono proclamati indifferentemente cavalieri del regno, illustri uomini di lettere ed elemosinieri di sua Santità, i due avrebbero giurato in concreto di non fare più gli agenti segreti, ma sarebbero diventati uomini onesti, uomini probi anche nell’insana promessa fatta sul letto di morte di riferire al comitato organizzatore i numeri al lotto, anche se avessero dovuto finire fra i dannati, quando non avrebbero visto l’ora di riferirglieli tutti sbagliati con grande scorno dei carneadi e di quell’uomo uomo col mantello nero e gli occhi da furetto che da sempre si aggirava misteriosamente per i giardini della villa con il suo muso peloso che sembrava presagire un’invasione di trachinie.
Quella sarebbe stata la loro piccola vendetta per quel buffet mai allestito, ché a questi festival letterari il massimo che ti offrono è una madeleine stantia mimetizzata nei salatini dell’Aperol spritz a pago – e tu lettore te ne sbatti altamente con un addio che esce da un’omelette con cosce dorate che van fritte e coi sorrisi che fan croquettes. Nella corrispondenza secretata dal comitato organizzatore, smorfiando e scalmanando come eresiarchi sulla caduta dell’uomo, ammisero di non poter continuare a scarognarsi e convennero come carbonari di continuare a scambiarsi tutto in simultanea, come era avvenuto e come sta avvenendo in questo stesso momento, proprio come se uno fosse l’altro go deo (per sempre), in diretta live, chattando, scambiandosi mail pazzesche in ogni momento e nessuno mai saprà chi ha scritto chi e di chi e su che cosa, chi sia il mittente, chi il destinatario, se il messaggio sia il messaggero o una sua funzione derivata in parallasse. Per non destar sospetti si salutarono con la promessa di trovarsi l’anno successivo quando avrebbero dovuto portare quantomeno la bozza del romanzetto di superficie: una distopia ambientata nel tardo medioevo immaginando quale sarebbe stata la storia di Fiorenza se alla Medicamentosa dinastia fosse invece subentrata nei secoli la dei Pazzi famiglia, e cosa ci sarebbe indi stato in luogo della Accademia di arti fine, dei giardini all’italiana e delle arti liberali – tutto ciò tema della call del concorso indetto, bando del quale l’Ametrano sviscerò in chiusura di manifestazione con solenne slancio, e che lasciò tutti gli astanti con il cuore enfiato di grossi propositi per nuove personalissime glorie editoriali prossime venture.
Simone Bachechi