Sus #2 #14: La leggenda del cantore Brutto

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Littlepoints… – Spring

Clara Cerri, oltre ad aver vinto la seconda serata di Scenicchia una Sega #2 (qua tutti i racconti) che si è tenuta il 17 maggio allo Sparwasser a Roma, esiste davvero; notizia non da poco considerato l’andazzo che hanno preso le mail ricevute dalla redazione: tutti fake ultimamente, forse perché la rubrica scelti da voi ha risvegliato nei nostri aspiranti scrittori stercorari la voglia di mettersi in gioco. In ogni caso almeno per oggi, un bel racconto, di Clara appunto: La leggenda del cantore Brutto, abbinato a un’illustrazione di Littlepoints…

Comincia così la settimana che ci porterà a Firenze Rivista: la Fellowship of the Ring di Verde è pronta per spostarsi in suolo fiorentino e, chissà, magari incontrare quei traditori de La Nuova Guacamole.

In ogni caso ecco dove trovarci (ufficialmente, poi ci trovate sparsi dove ci porta il vento):
– Presentazione Vocabolario minimo delle parole inventate, venerdì 20 ore 18:30, Saletta del caffè letterario
– Presentazione Racconti di Jarez del Sud, sabato 21 ore 15:00, Saletta del caffè letterario
– Presentazione Effe 10, sabato 21 ore 18:00, Saletta dal caffè letterario
– Presentazione Nuova Edizione – Idee senza parole, domenica 22 ore 12:00, Sala degli archi

Una cosa che mi ha sempre impressionato è che anche Quelli Brutti, come noi Uomini, quando parlano tra di loro si chiamano pure Uomini, però con un’altra parola della lingua loro, la lingua di Quelli Brutti. Me l’hanno detta la parola una volta, ma non me la ricordo più, era troppo strana. E non me la posso far ridire da nessuno perché ormai dalle parti nostre di Quelli Brutti non se ne vedono più. A papà non sono mai piaciuti, però era contrario a ucciderli proprio, se non c’era un buon motivo. Almeno, finché non è successa quella cosa terribile.
Qualche anno fa venne Uno Brutto nel nostro accampamento e mio padre, che era il sacerdote, non permise a nessuno di fargli male. Anzi, gli chiese di cantare per noi perché aveva visto che portava al collo una collana di conchiglie, quella che portano i cantori Brutti. È strano come cantano, eh? Però è bello. Del resto sono tutti strani, Quelli Brutti. Hanno la testa grossa, il petto come struzzi, la fronte bassa con le sopracciglia di fuori. Sono tozzi. Sono veramente più Brutti di noi Uomini. Però cantano con una voce acuta e dolcissima come quella di una donna, ma più potente. Sembra una lama di ossidiana che ti taglia il cuore a fette, diceva mia madre.
Mia madre era ancora viva allora, non era ancora caduta con me nella gola del torrente. Ci siamo ritrovate sulle pietre, lei aveva gli occhi aperti ma non si muoveva più, io mi ero rotta la gamba e non riuscivo a rialzarmi. Ho avuto paura che venissero i lupi a mangiarmi, ma per fortuna mio fratello e i suoi amici ci hanno ritrovate subito. Ero la piccolina di casa, mamma mi chiamava la Pulce. Dopo quella volta sono diventata la Pulce Zoppa, però tutti mi hanno sempre rispettata, perché ero destinata a diventare il sacerdote. È una bella cosa quella, perché la gente ti dà retta e fa quello che dici. Quasi sempre, almeno.
Ma dicevo del cantore Brutto. Stava in mezzo alla piazza e sorrideva, come se non fosse in mezzo a un gruppo di Uomini che l’avrebbero ammazzato volentieri. Disse: «Questa è una ninna-nanna per una bambina», drizzò la testa e cominciò a cantare.
Oblivion soave
i dolci sentimenti
in te figlia addormenti…
Ve l’ho detto che parlavano diverso da noi, no? Comunque, anche se non capivo una parola ed era Uno Brutto, in quel momento avrei voluto essere io la sua bambina. Mia sorella, la Gatta, anche lei lo guardava, ma lei era più grande e ci vedeva tutta un’altra cosa, l’avrei capito solo dopo.
Quando smise di cantare erano tutti commossi. Quasi nessuno voleva più ammazzarlo, anzi, gli davano pacche sulle spalle e gli prendevano la mano. Si vedeva che non era abituato perché sono cose che facciamo noi Uomini quando una persona ci piace, però capiva ed era molto contento. Mangiò con noi e parlò tutto il tempo con la Gatta. Ridevano, si davano i pezzetti di cibo l’uno con l’altra. Mamma e papà non erano contenti per niente, ma ormai era ospite nostro e non si poteva toccare.
Se ne andò presto, prima del tramonto. Come fece buio mamma mi mandò a cercare la Gatta perché aveva da fare per lei. Nell’accampamento non c’era. Al torrente nemmeno. Era finita da poco l’estate e non faceva freddo, c’era una bella luna piena in cielo e magari stava a spasso. Era fatta così, non aveva paura di niente. Ma io sì. Di notte girano cose paurose, che bisbigliano dietro i cespugli e fanno versi strani, come di dolore. I bambini non si devono mai avvicinare. Però quella notte una voce che bisbigliava e faceva versi, dietro alle piante di nocciolo, sembrava proprio la voce di mia sorella. Scostai piano un ramo e li vidi, sdraiati sulle foglie secche. Quello Brutto era sopra di lei, col culo peloso stretto tra le sue gambe. Si muoveva in su e in giù come se la Gatta fosse un mortaio e lui il pestello. La Gatta mugolava, piangeva e rideva assieme, mi sembrò spaventoso, del resto avevo solo quattro anni. Ora ne ho tanti di più e so che è fantastico, una volta provato non se ne può più fare a meno. Gli uomini e le donne non pensano ad altro che al mortaio e al pestello.
Comunque, corsi a casa terrorizzata e raccontai tutto a papà e mamma. Mamma piangeva, papà bestemmiava. Il giorno dopo mia sorella fu cacciata dall’accampamento a pietrate, l’avrebbero proprio uccisa se non fosse stata figlia di sacerdote. L’ho vista per l’ultima volta coperta di lacrime e di sangue, ma tempo dopo seppi che era ancora viva. Stava insieme a Quello Brutto, in un posto vicino al mare lontano da tutti, e avevano avuto un bambino. Perché a fare l’amore con Quelli Brutti possono nascere i bambini, eh? Non è mica come quando lo fanno tra maschi, per dire.
E adesso questo bambino, il figlio di mia sorella, mi sta davanti, mi è venuto a cercare. È un ragazzo con la testa grossa e il petto largo ma la faccia da Uomo, un bastardo. Suo padre è morto e gli ha lasciato la sua collana di conchiglie. Mia sorella è morta da un mese, il tempo perché arrivasse qui e chiedesse di sua zia la Pulce. Ovviamente non sapeva che ora mi chiamo la Pulce Zoppa. Gli uomini dell’accampamento l’hanno picchiato per bene e l’hanno portato da me perché lo condannassi a morte. Adesso sono io il sacerdote e devo decidere, però non mi piace condannare a morte.
Noto la sua collana di conchiglie e gli chiedo: «Ma tu sei un cantore?»
Prova a sorridere anche se ha il labbro spaccato, ha lo stesso sorriso di suo padre.
«Sì, sono un cantore».
«Fammi sentire qualcosa».
«Questa è una ninna-nanna per una bambina».
Si schiarisce la voce e attacca a cantare, drizzando la testa con orgoglio: la sua voce è quella di un cantore Brutto, acuta e dolce, ma potente, come una lama di ossidiana che ti fa il cuore a fette. Rivedo mia madre, mio padre, la Gatta. Ho di nuovo quattro anni e vorrei essere la bambina di questo ragazzo bastardo, né Brutto né Uomo, perché canti solo per me e mi addormenti. Piango, rido, attorno a me piangono tutti, un po’ perché è bravo sul serio un po’ perché sono il sacerdote e se non fanno come dico io sono cazzi. So già che non lo uccideranno più.
Posatevi, occhi ladri,
aperti, deh, che fate,
se chiusi anco rubate?
Spero tanto che resti qui da noi, che viva e canti a lungo ancora: sono contenta che almeno una piccola cosa di Quelli Brutti sia rimasta. Peccato non sapere quella parola strana che non ricorda più nessuno e che usavano tra di loro per chiamarsi Uomini.
Quando sogno la Gatta voglio chiederlo a lei.
Luci care, care e gradite,
dormite, omai, dormite…

Clara Cerri

2 thoughts on “Sus #2 #14: La leggenda del cantore Brutto

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