A colpo sicuro #10: I Fratelli Michelangelo

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Scenicchia of the North Star

Buongiorno #amici, oggi è il grande giorno di Scenicchia una Sega #2, terza serata. Raga importante: siamo in via Pisanelli 2, vicino a Piazza del Popolo, alla sede di minimum fax. Non fate cagate, non andate per funghi. Qui tutte le info sui giudici e i concorrenti della serata. 

Mi raccomando bestiole, alle 18:30 Ramses II e Marinelli apriranno la serata con Vanni Santoni e la presentazione del suo romanzo I Fratelli Michelangelo.

Ma ormai lo sappiamo: ogni volta che il vate Santoni poggia i piedi su suolo romano, il nostro Capitan Frau salta il Mediterraneo pur di raggiungerlo. Egli non ha letto il libro, eppure ne ha acquistato un copia solo per avere l’occasione di avvicinarsi a Vanni e sussurrargli “questa città è troppo piccola per tutti e due”, sperando che poi Vanni sia di buon umore.

Come dicevamo, non l’ha letto, ma l’ha recensito A colpo sicuro, oggi, qui su Verde. Per la vostra gioia. Ci vediamo stasera, vi vogliamo bene.

Esiste un’autostrada in cui girano senza sosta gli scrittori italiani di ogni età e di ogni tempo. È l’autostrada del GRI, il grande romanzo italiano. I dannati la percorrono come fosse una rotonda infernale alla ricerca dell’idea definitiva, quella giusta. Il pedaggio da pagare sono le notti insonni, le litigate con le persone care, l’ulcera, la sciatica e l’alopecia precoce. Solo pochi eletti riescono a conquistare il sacro GRI, il grande romanzo che dona l’immortalità, ma muoiono tutti prima di godersi il successo.
I fratelli Michelangelo, lo diciamo subito, è una Prius a un rally di bifolchi americani, si muove ibrido e green tra gli schiamazzi alcolici.
Gli autori circolano in tondo, sulla G distesa e molle, come un sigillo a un tempo esiziale e stanco, lentissimi, come squali intorno alla preda, che in questo caso è la loro coda. I cerchi concentrici girano e girano sull’acqua, ipnotizzandoli. Quando gli autori di ogni età e d’ogni tempo si ridestano dal torpore e scorgono Vanni con i suoi Fratelli Michelangelo, lo indicano e sussurrano: “Guardatelo, guardatelo, quello è nostro fratello”. E Vanni non sa se compiacersi e gioire di questo riconoscimento, d’esser stato ammesso al loro circolo, oppure se avere paura, se aver ribrezzo di loro, del loro velleitarismo, se compatire il loro vacuo errare, la loro presunzione, novelli Prometeo con accendini bic scarichi. Vanni si rivede in loro e quello che vede non gli piace. Vanni, ancestrale e ferino, i peli ispidi, sulle spalle più che sul petto, agita la sua pietra focaia, sale sulla sommità di Palazzo Vecchio e urla: “ho già arso Firenze, ora tocca a voi!” Ma editori mainstream a bordo di aerei dannunziani lo sorvolano, lo accerchiano e placano la sua furia battendo la sua pietra con la carta di contratti irrinunciabili e proposte lusinghiere.
Sono molto contento di aver letto I fratelli Michelangelo al momento dell’uscita. Non mi era capitato con Sbiadire di Paolo Gamerro, Gli affetti provvisori di Anna Adornato e Il vitalizio di Solange di Wu ming 88 che ho letto dopo anni. Leggerlo ora mi ha conferito un intenso effetto di proiettamento nel futuro. È stato un raggio nella caligine del futuro. Ma questo raggio è pubblicato da una grande casa editrice che, come tutte le piccole case editrici nel sistema editoriale italiano di oggi, ha difficoltà a portare nelle librerie i propri libri, specie in Sardegna.
Prima di proseguire vorrei affermare con forza che il romanzo è vivo e sta anzi benissimo, e ogni giorno conquista nuovi pezzetti di territorio all’esistente. Consiglio questo libro, quale ‘‘lettura indimenticabile”, da leggersi per intero e in rigoroso ordine cronologico, soprattutto per un motivo: la quasi impossibilità di una recensione.
Per questo motivo la mia non sarà una recensione classica come quelle scritte in passato. Come diceva Foster Wallace: “oltre l’adulazione, c’è solo il roast”.
Potrei parlarvi di come queste 1268 pagine scorrano veloci come l’acqua per le strade di Firenze nel ’66, (e il naufragar m’è davvero dolce, nessun volontario hippy mi salva, dio benedica questi tempi individualisti! lasciatemi a questa dolce morte liberale, maledetti organicisti! è un water boarding in cui confesso la mia voglia di perdermi in un buon libro); potrei parlarvi del sapiente alternarsi di analessi e prolessi, flash back e flashforward, di come l’autore si confronti con la tradizione, facendola a pezzi, destrutturandola ma con rispetto, senza profanarla, come un ragazzo che con il suo uniposca dorato ravviva un po’ i colori de L’ultima cena (che, diamine, se ne avrebbe bisogno!) Niente di tutto ciò. Vi parlerò del libro, null’altro. Perché, come direbbe una cantante andalusa: ” far recensioni è un pericolo”.
Veniamo a noi, dunque. La trama è semplice: il padre di Teresa Ciabatti con il suo fido aiutante Smerdjakòv, un russo-indiano detto Pagoda, convoca i suoi quattro figli:

– Louis, scrittore argentino naturalizzato francese, ossessionato dalla sua sceneggiatura che corregge e ricorregge compulsivamente; lussurioso – “crede che la bellezza sia proprio in Sodoma”- si invaghisce della frivola studentessa Grisenka che coinvolge in menage a trois con Albertine. Ucciderà il padre incolpando il servitore Pagoda. Finirà i suoi ultimi giorni in manicomio a giocare a campana con la Sibilla. Morirà saltellando da una casella all’altra recitando canti orfici;
– Enrico, nichilista, cerca di arricchirsi con piccoli e fallimentari traffici di libri; lui e i figli indossano sempre tute adidas rosse; esilarante la parte in cui riversa le ceneri del padre da una rupe sporcando il lettore. Istrionico, iperattivo, toscano, l’esatto contrario dell’autore. Gianluigi Ricuperati, in un simpatico cammeo, dividerà con lui il suo compenso per il concorso 8×8. Successivamente Enrico pubblicherà il libro dell’amico per la collana di narrativa da lui curata. Un lettore egiziano scriverà a Verde per denunciare questo indicibile scambio, ma tutta la redazione si dissocerà tacciandolo di khomeinismo (sono sunnita, risponderà lui, cazzo c’entrano gli iraniani? Ue, è una citazione di Falcone. Ma che diavolo c’entra? Non lo so. Come ne usciamo ora? Cambia argomento bruscamente, torna alla recensione. Ma se ne accorgono, mi serve un diversivo. Continua come se nulla fosse, anzi no, indica lì e urla: guardate, c’è Luccone!)
– Cristiana è una chef e artista contemporanea, oscurata dalla fama del padre. L’autore in una postilla meta-testuale ci dialoga per 68 pagine e le consiglia di farsi le ossa mandando i suoi lavori alle riviste. Fuma di nascosto, indossa sempre una pelliccia. Sarà una sua reinterpretazione del lampredotto molecolare servito in provetta a scatenare i ricordi dell’autore che si lascia andare a una lunga digressione su Azzurra Albaretti, cameriera di Casa Campatelli che porta lo stesso nome della domestica di Santoni. Cristiana rimugina continuamente sull’esistenza di Dio e si chiede “Senza Dio, sarebbe tutto permesso e si potrebbe fare tutto? Anche parlare di un libro senza averlo letto?” Uccide Dio tutti i giorni, dopo sedute intensive di bondage e torture varie, perde e riacquista la fede ciclicamente, ma non si abbatte grazie al suo solito mantra: “Ma questa volta sarà diverso”. È interpretata da una giovanissima Cristina Ricci;
– Rudra, è un ex campione di tennis, segretamente innamorato della sorellastra Cristiana. Ricorda ancora quando lei gli rubò un robottino giocattolo. Non pianse per non sembrare un bambino. Aveva 8 anni. A 14 anni ha realizzato che “ciascuno personalmente è colpevole per tutta l’umanità e per ogni altro singolo uomo sulla terra”. Apatico, anedonico, non prova piacere, è distante, assiste alla vita come una maschera durante un film. Il fratello Enrico lo coinvolgerà in una fallimentare impresa, la produzione di madeleine industriali: merendine nostalgiche che scatenano reminiscenze catartiche personalizzate. I primi tempi gli affari andranno bene, poi si scoprirà che chi le mangia inizia a vedere la realtà come citazione continua e riferimento a qualcos’altro, diviene arido e non riesce più a provare un’emozione autentica. L’azienda fallirà sommersa dai debiti e dalle denunce. Rudra troncherà i rapporti con il fratello più per dovere che altro (perché nei film e nei libri funziona così). Il ragazzo verrà ucciso nel parcheggio del bowling da dei nichilisti russi. Le sue ultime parole saranno: “Mi sembra di averla già vista questa scena”.
– Aliprando Michelangelo, il patriarca, vero deus ex machina, colui che convoca i figli per una misteriosa comunicazione, MacGuffin del libro. Sta davvero morendo oppure è solo uno stratagemma per riunire la famiglia? Vuol parlar loro dell’eredità o confessare un indicibile segreto? Il vecchio Michelangelo non viene mai descritto minuziosamente, come il Bhagavat nel Bhagavadgītā. Questi è un personaggio ambiguo, capitano d’industria, filantropo, padre di Teresa Ciabatti, burattinaio di Soros (tipo Weekend con il morto), forse di origine ebraica, sicuramente sionista, proprietario di Mondadori, della Standa, del Milan, entrato in coma nel 2008, per tutto il libro è rimpiazzato da un sosia plautino riprogrammato per comportarsi esattamente come l’originale (infatti non se ne accorge nessuno). Il patriarca Michelangelo sarà aiutato nelle sue macchinazioni dall’esilarante Smerdjakòv Pagoda. Quando alla fine il vecchio padre aprirà la valigetta di fronte ai figli e una luce abbacinante investirà la stanza tutti all’unisono diranno: “Ma dai, va bene il postmoderno, il citazionismo, ma qui si esagera”. “Ma no, che dite? È solo l’ultima lucciola”. “Allora sei tu il grande vecchio che si nasconde dietro la scomparsa delle lucciole in Italia!” “Sì, sono io il responsabile del mutamento antropologico durante il boom economico. Pasolini sapeva ma non aveva le prove. E se guardate bene dentro la mia valigia troverete anche i nastri scomparsi di Salò- Le 120 giornate di Sodoma e l’agenda rossa di Borsellino”.
Come se non bastasse, in un finale alternativo si scoprirà che il padre di Teresa Ciabatti non solo non ha mai fatto la Resistenza, ma non è paraplegico e manco cieco. L’unica cosa vera in lui sono le sopracciglia luciferine. Il film finisce con lui che si tuffa da uno yacht. I fratelli Michelangelo, invece, ruberanno l’eredità del padre in mondovisione: il sacro GRI, il tanto agognato Grande romanzo italiano.
Scene eliminate dal libro. Parte onirica in cui nonna Fedora convoca Vanni per lasciargli la sua eredità: I fratelli Karamazov ambientato nella campagne toscane, tutto in vernacolo.
Dietro le quinte. Il Grande Inquisitore di Mondadori ha confessato all’autore: “perché credi che non sia possibile scrivere il grande romanzo italiano? Perché da ottant’anni, nell’industria culturale italiana, domina Lui! Abbiamo ucciso Sergio Atzeni, Tondelli e molti altri e non esiteremo a uccidere anche te, per cui, sta calmino, vola basso e ricorda: periodare sbarazzino, prosa accessibile e scorrevole come il traffico in una Roma apocalittica. Grazie. Abbiamo finito caro Vanni: “Talitha kumi”. “Come? Icché tu dici?” “Ma non hai fatto il classico? Fanciullo, alzati, vuol dire!” “Eheheh il mio curriculum forse è un po’ gonfiato..” “Vabbè, forza Vanni, alzati che ho un altro appuntamento. Nessuno può permettersi di far aspettare Crocefisso Dentello, neanche io”.
Postilla a margine e consiglio di lettura:
Avremmo gradito, specie nei flussi di coscienza di Louis, o negli sfoghi rabbiosi di Enrico, nei silenzi di Rudra o nella imprevedibilità di Cristiana qualche parte più coraggiosa, più visionaria, anche onirica. Consigliamo a Santoni una trilogia ancora poco conosciuta, nella quale potrà trovare, speriamo, un input, un incoraggiamento, un modello verso il quale tendere, la trilogia si chiama Abbacinante e l’ha scritta un
autore rumeno del quale ora ci sfugge il nome.

Andrea Frau

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