La saga delle Sagome #5: Sagomania

“Ma dove voleva andare a parare con ‘sta saga? È come se dietro si intravedesse un progetto, ma quando si cerca di afferrarlo continua a sfuggire”. Non è forse così la vita, caro patetico commentatore Facebook pazzo che leggendo La saga delle Sagome te ne uscisti così? Non è forse per insultarti il lunedì che continuiamo a fare rivista?
Di Francesco Quaranta, animale strano, ultimo arrivato in redazione, il più in bilico dei nostri tra litweb e mondo reale (il capitano, che finge di essere il pesce più fuor d’acqua tra i pesci fuor d’acqua è non a caso sardo AKA una disinvolta creatura marina), silenziosissimo finto normie capace di invenzioni pazzesche ignote ai più e di immolare il suo ultimo anno a questa saga che sguiscia e sfugge e affonda più in profondità di quanto sembri, disse già tutto Andrea Zandomeneghi un anno fa: “Quaranta sa scrivere sul serio”.
Perché Francesco sa di essere “scrittore, narratore e personaggio. Io sono tutti e tre e allo stesso tempo nessuno di loro. Sono uno e trino” e ha raccontato una “bella avventura, con un buon ritmo, la gioia di aver rammendato tutti i fili narrativi senza commettere errori e negligenze e senza che ci sia adesso bisogno di andare indietro a controllare”.
Come finisce la guerra è presto detto: resterà tutto ma non dovrà essere riscritto. Per questo oggi mettiamo un punto fermo, in attesa di nuovo materiale di Quara.
Bolognini ci mancherà, non è detto che non torni, e per onorarlo continueremo a scambiare noi stessi per le nostre creazioni, consci che alla fine non siamo altro che sagome nella segale.
E se come crediamo non resisterete alla tentazione di digitare quel numero di telefono, spacciatevi per Ciro e arrochite un po’ la voce. It’s a classic joking way to start the new week at the best (UE).  

Il sole muore sulla savana africana, rosso Campari decade in viola assenzio; assenti, gli occhi di Pel di Carota, dondolio fuori fuoco tra dolore e sollievo, la bocca distorta, e più giù quella impassibile della pistola, rivolta verso chi la impugna. Il sangue sgocciola sul pavimento della grotta confuso con l’emorragia di tramonto alle spalle della ragazza. Il boato dello sparo ancora impresso nei timpani, anch’esso lentamente scema, come il mio stupore.

«Perché» corro a sorreggerla. L’arma cade sorda sul terreno nel momento in cui lei abbandona la presa.
«Non vedevo altro modo».
«Dobbiamo solo fermare il sangue» le dico premendo sulla ferita, «non è mortale».
«Però fa un male della madonna, porcozio».
«Cosa ti aspettavi?»
«Forse che qualcuno mi fermasse».

Il contratto tra Pel di Carota e l’Algolit: lei non può ribellarsi. Questo sacrificio imprevisto non ha stracciato il nefasto accordo, ma dà alla ragazza spazio di manovra, e lei si immola per disobbedire. Rivedo il sogno in cui l’Algolit mi prometteva il mondo in cambio dei miei servigi, indietro nel secondo episodio. Questo il suo trucco: foraggia la fiducia in noi stessi, di noi piccoli scrittori casi umani pronti a tutto pur di farci notare, farci leggere, farci adorare. Pel di Carota non è ingenua, eppure la parte di lei assuefatta ai giochi di potere editoriale l’aveva persuasa a cedere alle lusinghe. Il mostro offriva pubblicazione eterna in cambio di ogni velleità di narrazione: la ragazza avrebbe dovuto rinunciare alla propria immagine. Mi ritorna in mente la copertina della rivista che mi mostrò al nostro primo incontro – Pel di Carota senza veli, uno sguardo in trappola.
Solo ora capisco. Era diventata la pedina di un gioco più grande di lei.

«L’Algolit ha deciso di usarmi per tenerti lontano dal Bocciolimpo».

Sapeva che l’avrei sconfitto, ha agito come diversivo e manovrato Pel di Carota per distrarmi. L’ho sconfitto, l’ho guardato decomporsi per mano mia, eppure non è bastato. Lui ormai è un back-up di morchia e fiele che occlude il cervelletto di tutti i suoi follower. La guerra non è finita.

«Perché, Pel di Carota, perché?»
«Perché tu sei la sagoma, scemo. Davvero me tocca fa’ il riassuntino palloso?» tossisce.
«No, dico, perché sacrificarti per me?»
«Aridaje… Perché sei caruccio. Preferisci come spiegazione?»
«Abbondantemente».
«Cojone».

La vedo appassire sotto le mie labbra: impallidisce come se tutto il colore le venisse sottratto; ogni tratto, capello, lentiggine, ombra, occhiaia, diventa d’inchiostro. Pel di carota perde consistenza e peso, si assopisce in un sonno di carta e io ora stringo tra le braccia una figura di cellulosa bianco e nera che so essere lei, ma non ha più il suo calore e il suo profumo.

La voce delle Norne mi raggiunge dall’imboccatura della grotta. Ormai è notte e delle tre donne distinguo solo le capigliature, mora, bionda e celeste, rischiarate dalle prime stelle. Hanno un’aura di sante e mi confortano come tre mamme. Mi dicono che si occuperanno di Pel di Carota, che per lei c’è ancora speranza, anche se so che non è vero. Mi strappano un sorriso. Mi addormento ai loro piedi e seguo la strada che loro indicano.

***

Ecco le tremende schiere. Ecco, immondo, L’Igor. Avanza con tutti i suoi ex redattori schiavizzati, accecati con puntuti apostrofi – troncature alle loro speranze. Ecco la moltitudine nera, armata di parolai e pennini spuntati, gli omuncoli storti, figli adottivi dell’Algolit e del suo ideale malsano. Scalano il Bocciolimpo per assaltare i cancelli delle dimore divine. L’Algolit era un involucro, era il contenitore e l’amplificatore di ogni vanità, era il vuoto in cui riverbera l’eco disperata di chi cerca un riconoscimento a tutti i costi. Questo esercito di scribacchini che odia rileggersi e guardarsi allo specchio, che respinge il talento per affermare lo status, che detesta il lavoro creativo e vive di mezzucci da mestierante, questo esercito, come una sola persona, avanza.

***

Sto in piedi davanti a una finestra immensa, osservo il tappeto di stratocumuli da cui pendono ombrelloni a spicchi multicolore, scorgo un triangolo di vela tagliare la panna che non posso assaggiare. Bagnanti cascano dal cielo nonostante la protesta del bagnino, ignorano il suo fischietto di gabbiano, finiscono dritti nel mio feed social. Scrollo tutto con una fetta d’arancia. Mi annoio a morte.
Per alleviare il tedio scrivo di una guerra mossa al mondo degli dèi cartacei, i templari di ogni scena letteraria, sacerdoti e vestali dell’arte della scrittura; una guerra voluta dall’esercito nero che rappresenta l’invidia e la cattiveria nella Litweb. Non so perché lo faccio. Però ora descrivo la caduta del Bocciolimpo, ultimo baluardo delle forze del bene: L’Algolit, alla fine, vince.

Un messaggio sulla chat di Facebook: «È pronto?»
«No» rispondo. Mi addormento sulla tastiera.

Il giorno dopo, tutto si ripete. Vivo con i miei genitori e mia nonna. Non abbiamo animali, ma ho un fratello più piccolo. Lavoro in un ristorante, ogni tanto suono la chitarra e il pianoforte. Collaboro a una rivista online che, con poca fantasia, si chiama Verde. Prima di crollare dal sonno, la sera, scrivo.

Scrivo del Tessitore che vede cadere uno a uno tutti i suoi fratelli, scrivo dei maestri del dojo di San Gennaro, capeggiati dal Crapa, pronti a mettere in gioco la propria vita in questa battaglia. Scrivo di come tutti loro vengono spazzati via dalla marea di casi umani mal editati. Non c’è nulla da fare, è una battaglia persa.

Di nuovo la chat: «Allora? È pronto?» Sono i redattori di Verde.
«No».

Il mattino dopo lavoro otto ore filate, ore in cui dimentico tutto. La sera cancello e riscrivo la battaglia. I redattori di Verde insistono, io rispondo che non è pronto nulla. C’è qualcosa che ancora non capisco.
Dormo senza sogni. Mi risveglio, lavoro, riscrivo daccapo. Mi riaddormento. Riscrivo. Riscrivo. Riscrivo. A ciclo continuo.

Ecco una foschia, miscela di fumo e vapori di sangue, odore di carta bruciata e digrignare di denti. Paura, gemiti, un inferno di esplosioni e balenii di lama. Tutti i karateka del dojo di San Gennaro – resuscitati l’ennesima volta dalla mia tastiera – schierati davanti al cancello del Bocciolimpo. Si sono rifugiati nei meandri del tempo per proseguire i loro allenamenti: ora sono più forti, o almeno così li racconto. Chi li fronteggia è l’esercito orchesco nato dalle particelle disgregate dell’Algolit. Carne Fresca, si fanno chiamare: esseri deformi inclini al self-publishing. Cannibalizzano i caduti per acquisirne i poteri. Le loro legioni si uniscono a quelle di schiavi capitanate da L’Igor.

Un grido, un tamburo, un tuono: comincia lo scontro. Il Tessitore è l’unico che resta al riparo dei cancelli in quanto reggente del Bocciolimpo. Gli altri dèi si gettano nella mischia e prendono a decimare le orde nemiche: ecco Mignolord, il vampiro guapo mediterraneo, e lì accanto ARDV5000 il mecha suit petulante, seguiti da Kiro, l’uomo orso mannaro, e da Fierro, colui che prima fa parlare i pugni e poi anche i calci e poi al limite fa le domande. Dietro di loro, Robinia con i suoi poteri telecinetici zuzzurelloni, JFQ il belloccio caparbio e il Dottor Fly il guerriero-contabile. Non so perché continuo a inventare nomi e personaggi, non riesco a fermarmi.

Descrivo un piccolo soldato del Bocciolimpo che sta per spirare, non perde la fierezza dello sguardo. Ha una pettinatura imbarazzante, ma non mi pare il caso di soffermarmici.

«Vorrei solo avere la forza per continuare a lottare» pensa. Decido di accontentarlo.
«Alzati» dicono le mie dita sulla tastiera.
Il ragazzo comincia a urlare sotto lo sforzo dei suoi muscoli provati dall’energia che gli sto infondendo. Fa esplodere attorno a sé un’aura potentissima. Ora ha una pettinatura biondo platino da paura.
«D’ora in poi tu sarai conosciuto come Felix-San the from the future».
«Posso smemicchiare?» mi domanda.
«A piacere».

Con un cenno si congeda e si lancia a velocità supersonica sulle fila de La Carne Fresca, punta ai loro generali. Li polverizza con il sorriso sulla bocca.

Sento che sto cominciando a capire perché sono qui…

E tuttavia una freccia viene scoccata. Scavalca le difese e il cancello del Bocciolimpo. Trapassa il petto del Tessitore nel mutismo disperato dei suoi protettori. Il re caduto annaspa: «Arianna dove sei? Non ti sento più».
Il mio pc va in crash. Perdo tutto il lavoro.

Squilla il cellulare. «È pronto l’episodio della Saga?»
«No! No! NO! Non è pronto!»

Devo riscrivere tutto, devo farlo a mano, devo farlo al più presto. Non ho fogli in casa, solo un sacco di blocchetti di post-it. Li incollo sullo schermo morto del pc, sulla scrivania e sulla tastiera, sulle pareti, sui vetri e sul soffitto. Mi ricopro di post-it. Ogni giorno ho cambiato qualcosa, ogni giorno ho rivisto la sconfitta, e ogni volta ho dato per scontato la cosa più importante: sto raccontando una storia come se ne fossi l’autore, al sicuro nel mondo (reale?), rifiutando il vago sentore di esserne stato personaggio. Mia nonna spalanca la porta della camera e vede le pareti ricoperte di post-it colorati e me, in pigiama, in piedi sul letto mentre correggo un punto in un punto e virgola. Non la prende bene (la punteggiatura andava benissimo così.)
«Ecco cosa volevano dire le Norne» esulto. «Ecco cosa non poteva dirmi Pel di Carota!»
«Che?»
«Io sono scrittore, narratore e personaggio. Io sono tutti e tre e allo stesso tempo nessuno di loro. Sono uno e trino».
Mia nonna si fa il segno della croce.

Eccomi. Sto in piedi davanti a una finestra immensa, osservo il tappeto di stratocumuli da cui pendono ombrelloni a spicchi multicolore. Apro la finestra, mi lancio fuori ed esco dal limbo. È ora di concludere questa saga che ormai ha francamente rotto il cazzo.

In principio era Mario Bolognini. Il suo verbo raccontò questo mondo. Egli si fece narratore e personaggio. Scambiò se stesso con la sua creazione. Concepì l’idea della Sagoma, ma il suo progetto fu contaminato una volta diffuso nel web letterario, distorto dalle mire individuali di gente che non avrebbe nemmeno potuto leccargli le scarpe. Così nacque l’Algolit, e del Bolognini autore, sacrificatosi per dare vita alla sua visione, restarono solo le tracce sparpagliate nel suo mondo. Poi venne Antoine Sandomingo, l’eroe destinato a fallire perché intrappolato nel suo essere personaggio.

Ho raccolto l’eredità di entrambi.

Raggiungo il campo di battaglia cavalcando un fulmine. Precipito da un’altezza vertiginosa e posso osservare tutto l’altipiano del Bocciolimpo preso d’assalto: punto d’oro circondato dal petrolio del nemico.

Sono una sagoma e posso trascendere ogni limite fisico. Con un tratto di penna apro la chat di Viola rivista, chiamo a raccolta il Colonnello Del Lampo e tutti gli altri compagni. Mi basta una pacca sul culo a ognuno per massimizzare le statistiche del party. «Siate pazzeschi».

Ora, voi vorreste sapere “come finisce la guerra”, ma dopo settimane di tentativi ho capito che la scrittura non potrà mai rendere onore alla ipercatastrofica abnorme battaglia finale che io, in quanto sagoma, ho concepito (per quello mi dovete telefonare: 3928440618). E però qualcosa dovrò pur dirvi.
Vedo il male retrocedere sotto le rinnovate forze del bene, che insieme al potere delle Norne sciolgo il contratto tra Pel di Carota e i residui dell’Algolit. E la mia adorata demi-déesse? Così leggera, foglia di carta velina, la pongo a piedi del Tessitore pregandolo di intervenire. Egli l’ha consacrata con il fuoco del Bocciolimpo.
Posso dirvi che vedo Pel di Carota avvizzirsi, annerirsi, divenire fumo e che dalla cenere vedo il suo corpo rinascere. Posso dirvi che mi chiede di combattere. La trasformo in una guerriera sailor xenofemminista. Si fionda sul L’Igor e lo sconfigge senza pietà trapassandolo da parte a parte.

E poi? E poi un lieto fine, una festa, un numero musicale, sorrisi e abbracci, qualche pianto per i troppi caduti e un brindisi in loro onore. La consapevolezza delle cicatrici che resteranno. Perché tutto questo resterà. Almeno fino a che non riscriverò ancora, ma non sarebbe più giusto riscrivere tutto. Resterà.

Resterà la memoria di un progetto, resterà l’amore per il mondo di Viola/Verde Rivista, ormai li confondo, resterà una bella avventura, con un buon ritmo, la gioia di aver rammendato tutti i fili narrativi senza commettere errori e negligenze e senza che ci sia adesso bisogno di andare indietro a controllare (wink wink).

Resterà un commento su Facebook: “Ma dove voleva andare a parare con ‘sta saga? È come se dietro si intravedesse un progetto, ma quando si cerca di afferrarlo continua a sfuggire”.
Non è forse così la vita, caro ingenuo lettore, non è forse per questo che, ancora, leggiamo?

Siamo fatti della stessa sostanza delle sagome. Siamo sagome nella segale. Sagomania.

FINE (qui tutta la saga)

Francesco Quaranta

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