Scenicchia una sega #1? Praticamente un disastro. Parliamoci chiaro, ragazzi: è stato un fallimento, l’insuccesso più grande della storia di Verde. Una pazzesca presentazione litwrestling A colpo sicuro con Santa Zando, più di due ore di reading, tre ore di dj set trap, almeno 200 persone convenute e il risultato? Non avete capito un cazzo.
Ci si è messo pure l’amico Vanni (comunque un amico) con questo post a intorbidar l’acqua chiara e nientificare le nostre intenzioni.
Riavvolgiamo il nastro. Scenicchia una sega #1 sottotitolato for dummies.
Cari ragazzi, l’8 dicembre abbiamo presentato uno speciale numero cartaceo redatto da Crapula Club e Verde e intitolato La Letteratura pazzesca in Italia Nuova Edizione 2018.
Cosa non è: un elenco delle riviste litweb indirizzato agli autori esordienti per districarsi nella selva oscura della neolitweb postmillenials italiana. L’unico ad averlo capito? Luca Romano (nomen omen). Manifesto letterario, ragazzi. È abbastanza chiaro?
Se avete esultato per la segnalazione della vostra rivistina: ordinate una o più copie della pubblicazione all’indirizzo verderivista@gmail.com e tenetevi pronti a cancellare i post di giubilo che hanno ingolfato per giorni le nostre bolle social.
Se avete rosicato per la mancata segnalazione della vostra rivistona: ordinate una o più copie della pubblicazione all’indirizzo verderivista@gmail.com e tenetevi pronti a ringraziarci.
In ogni caso: La letteratura pazzesca in Italia non è stata pensata per essere distribuita gratuitamente, costa 3 euro a copia (come correttamente segnalato sul banchino dello Sparwasser, ma tant’è) e vi invitiamo a ordinarla all’indirizzo verderivista@gmail.com. Chi prenoterà dieci o più copie riceverà in regalo la collezione completa del cartaceo di Verde 2012-2014 (26 numeri, scusate se sono pochi).
Tutti gli altri: non fatevi vedere in giro.
Tanto era dovuto. E adesso a noi.
C’è un nuovo Faraone in città. Il praticamente coglione del giorno? Ce lo abbiamo. Siamo a dicembre ed è già tempo di liste. Detto che gli elenchi del meglio di ci fanno OVVOVE (lo spiegavamo qui per poi contraddirci qui), vi segnaliamo un post del solito Tony De Vivo, da cui si deduce che il miglior raccontista litweb del 2018 è stato Alessio Mosca (nostra vecchia scoperta e co-estensore di LPiI), la migliore rivista resta L’Inquieto e la migliore pubblicazione dell’anno è Guida 42 numero 2.
I cinque migliori racconti 2018 di Verde? Di Felici, Lacavalla, Marinelli, Mosca e Costamagna (online il 21 dicembre). Lo ha deciso Ramses, non la redazione, che se crederà si esprimerà nelle prossime ore. Nel dubbio attendiamo il listone di Modestina Cedola.
Un anno fa di questi tempi pubblicavamo Raimondo Maniero. Simon G. Helly è l’autore più vicino all’Insel™ di maggiore talento giustamente non emerso. Barbette, l’ambizioso feuilleton noir thriller che punta il dito contro il sistema editoriale italiano, è alla terza puntata (qui le precedenti). L’illustrazione è di Paolo Massagli, a noi piace da matti e così speriamo di voi.
La Nuova Carne non è finita nella Letteratura Pazzesca in Italia perché non la leggiamo, ma merita comunque una segnalazione per la naïveté d’altri tempi che ci fa sentire cinici e vecchi. Avanti così, ragazzi.
Domani il terzo episodio de La saga delle sagome, altra roba pazzesca che meriterebbe di stare in ogni lista. Mercoledì un esordio importante, venerdì Novo Pazzesco Romano. Da lunedì 24 tornano le A colpo Sicuro di Verde e il 25 un regalo pazzesco per il nostro amato pubblico.
L’antifona è: continuate a seguirci e tirate fuori i tre euro che ci dovete.
Ciao, buona domenica, in poverty & litwrestling (soprattutto poverty).
Quando lo rividi, qualche mese fa, per poco non mi prese un colpo.
«Che si dice?» mi chiese, con un’aria fraterna che mi parve subito sospetta, perché il Barbetta era uno che faceva sempre finta di non conoscerti, anche se ci avevi parlato almeno dieci o venti volte.
«Si vivacchia».
Non avrei saputo che altro rispondergli. E poi, in fondo, era la verità.
Lui mi sorrise e dal nulla cominciò a parlarmi di questo progetto di fare un giornale, un settimanale che abbracciasse un’idea politica, che coniugasse le istanze – disse proprio così – di certe battaglie civili e sociali con un certo modo di fare arte.
«Quindi un giornale culturale?» chiesi.
«Culturale sarebbe riduttivo. Direi più socioculturale, senz’altro politico».
Mi guardò sardonico dal fondo spesso di quei suoi occhialetti: «Ça va sans dire».
Gli sorrisi anch’io. Non sapevo perché ne stesse parlando proprio a me, con quelle persone intorno che eran tutto un balletto d’inchini e mezze parole, di mezzi discorsi portati via da mezzi rutti alle bollicine. Le presentazioni dei libri sono un po’ tutte così, e io che c’ero andato a fare neanche me lo ricordo. Senz’altro stavo attraversando un periodo di alti e bassi, come me ne capitano spesso. Quel giorno dovevo essere stranamente euforico per farmi coinvolgere ancora una volta in quel teatrino di maschere che è l’editoria capitolina. A distanza di tanti mesi non saprei spiegarmelo, se non che ancora io ambissi ad essere una di quelle mezze persone.
«E ci sarebbe un titolo?» gli chiesi.
«Ne abbiamo tre o quattro in cantiere. Il titolo è sempre un affare difficile, che porta scompiglio nelle redazioni».
Avrei voluto chiedergli come si potesse avere una redazione prima del titolo, ma mi mantenni sul vago.
«Non ho mai lavorato in una redazione».
«E sarebbe un’esperienza che ti piacerebbe provare?»
A quel punto rimasi davvero senza parole.
La questione stava prendendo una brutta piega. La mia parte egocentrica e progressista, che manco a dirlo occupa la parte maggiore, spingeva per il sì, mentre quella più conservatrice, che per quanto piccola ha la forza d’un Ercole, mi aveva invece messo il cappio al collo e mi tirava dalla sua. E poi c’era quella vocina fievole fievole che mi suggeriva di non dimenticarmi di tutto il male che le barbette portano in questo mondo.
Alla fine devo ammettere che stavo proprio per pronunciare il fatidico sì, ma non si frappose tra noi, proprio in quel momento, una rossa con l’ombretto celeste e un calice da riempire?
«Sapete dove posso trovarne altro di questo?»
Il Barbetta fu come ringalluzzito al quadrato dall’inaspettata sorpresa. Non fosse bastata la rivista, c’era adesso di mezzo persino questa giovane comparsa con un abitino blu a pois e una borsetta bianca che stringeva al petto.
«Ti ci accompagno io» quindi aggiunse qualcosa che aveva a che fare col fatto che, pur di difendere la bottiglia, certe persone presenti avrebbero attentato alla grazia di una donna così delicata.
Ora, non dobbiamo mai dimenticarci che nel loro eccesso di mal simulata galanteria le barbette covano un maschilismo che si sforzano poi di ripudiare pubblicamente.
«Donna» ripeté lei pensierosa. «Donna mi fa un po’ strano» aggiunse.
«Preferisci forse ragazza?»
Lei lo guardò con aria divertita. In effetti poteva essere suo padre, aveva quella stessa aura di ridicolaggine che hanno gli anziani quando vogliono mettersi a parlare il gergo dei giovani. Il Barbetta era passato in modalità rimorchio e aveva improvvisamente perso tutta la dignità delle sue teorie sul realismo.
Li osservai mentre si facevano strada tra i salamelecchi degli autori affermati, dei vecchi e dei nuovi, dei quasi autori e degli aspiranti tali. Naturalmente lui non ebbe la delicatezza di presentarmi, quanto meno quella di congedarsi con un saluto. Contai dieci, dodici passi al massimo prima che venissero inglobati dalla moltitudine dei corpi. Che ci faceva poi tutta quella gente, almeno trenta persone, alla presentazione dell’ennesimo romanzo su questi indecifrabili tempi oscuri – ma il sociale non può che fare questo, mi ripetevo: non può che interrogarsi sull’inutile presente. Che razza di stomaci doveva avere tutta quella gente, venuta lì soltanto per farsi vedere e perpetrare il grande inganno, per riuscire digerire quell’abbuffata di compiacenza e sorrisi finti?
Presi una manciata di arachidi da una ciotola di vetro lasciata su una pila di romanzi di un noto autore giapponese. I gestori avevano avuto questa brillante idea di costruire delle torri di libri – composte da titoli di un unico autore, nel caso di uno scrittore sufficientemente prolifico, oppure di una stessa collana – da usare come punti di appoggio per vassoi e quant’altro. Era la palese dimostrazione che la letteratura dovesse manifestare la propria vocazione all’adattamento, al ritagliarsi una propria funzione pur di sopravvivere in questo mondo. Di tanto in tanto si sentivano però dei tonfi causati da qualche sbadato che era finito involontariamente addosso a uno di questi improbabili grattacieli posizionati al centro della sala più grande, dove le persone si erano spostate a bere e mangiare una volta terminata la presentazione.
Stavo appunto dando sfogo alla mia avidità di frutta secca quando si udì forte uno di questi crolli, mi verrebbe da dire culturali, seguito da un urletto strozzato, di tonalità decisamente femminile, intorno al quale si creò uno spazio vuoto.
CONTINUA (qui tutte le puntate)