
Demerzelev – Minore di Trex #1
Matthew Licht cava dalla tasca un altro pezzetto di America cinematografica, lo spolvera e ce lo punta contro come una .38 o “la sorgente della giovinezza tra due cosce spalancate” (parole sue), ci mostra come tutto abbia da guadagnarci con uno pizzico di atmosfera noir e di observational irony d’oltreoceano. L’illustrazione memistica è ancora una volta fornita da Demerzelev.
La redazione di Verde è in subbuglio per questo: praticamente un festival, open mic, tutti amici molto rissosi, la WrestleMania della lit-web, birrette e abbracci più o meno sinceri. L’otto dicembre portiamo la polemichetta a prendere aria. Che aspettate? Cliccate e confermate la partecipazione che poi finiscono i bicchieri di carta. Apre ufficialmente il countdown: – 17.
Lisa riapparve dopo trent’anni che non la vedevo e chiese se l’avrei aiutata a far ringiovanire la sua vagina. Ero contento che avesse pensato a me, ma non sono uno stregone ginecologo. Sono sceneggiatore per uno studio cinematografico di Hollywood.
«La tua figa», dissi. «Ha solo l’età che hai tu, Lisa. E comunque noi uomini non passiamo tantissimo tempo a mirare fighe».
«Questa è una cosa che voglio fare per me», disse.
«Usi uno specchietto?»
«Non c’è bisogno. Ho gli alettoni».
Gli alettoni sarebbero le componenti dell’aereo che fanno salire o scendere il velivolo attraverso lo spazio e il tempo. Poi capii. «Ce l’hanno quasi tutte», dissi. «Danno belle sensazioni».
Lisa non voleva accettare le proprie piccole labbra maggiorate. Non aveva pazienza per lo yoga intimo. L’unica alternativa agli alettoni era la chirurgia estetica. Potevo capirlo, ma non mi piaceva il pensiero, né l’immagine. «Coltelli e genitali non dovrebbero mai sfiorarsi», dissi. «E nessuno riuscirà a convincermi che un bisturi sia altro che un coltello maledettamente affilato».
«Ho deciso», disse Lisa. «Mi vuoi aiutare sì o no?»
«Cosa vuoi che faccia? Un marito ce l’hai». Sapevo che Lisa si era sposata, con un poliziotto.
«Ho già cercato di coinvolgerlo, ma non ci vuole nemmeno pensare».
«Sai, anch’io preferirei non pensarci, ma comunque puoi contare su di me».
«Veramente mi serve solo uno al volante».
Chissà se la centralinista origliava, ammesso che esistano ancora. Sembrava che stessimo complottando una rapina in banca. Uno al volante è una battuta da film noir. Mio padre vendeva automobili. Ai tempi del liceo, quando conobbi Lisa, avevo sempre splendide bagnarole sotto il sedere. Ero popolare per questo, suppongo. Avrebbero potuto affibbiarmi il nomignolo Al Volante. Amo guidare. Adoro Los Angeles. Non vorrei vivere da nessun’altra parte.
«E poi», continuò Lisa. «Vorrei il tuo parere su quale modello scegliere».
Immagini cruente e vietate ai minori si trasformarono in dolci visioni nostalgiche di me e Lisa che amoreggiavamo nel retrobottega della concessionaria di Papà.
«Il modello?»
«L’aspetto che vorrei che avesse la mia nuova figa».
«Vuoi dire che esiste un catalogo, con foto?»
«Hai sempre avuto un grande gusto».
Non vedevo Lisa da decenni, e voleva che guardassi foto di fighe a cui voleva che assomigliasse la sua. La invitai a pranzo. Volevo portarla in un posto chic, perché lo studio cinematografico al quale ho venduto l’anima mi allarga soldi per intrattenere. Ringiovanimento di fighe era qualcosa di cui parlare nella mensa, se non addirittura roba da sceneggiatura. Ma Lisa faceva la cameriera in culo al mondo, cioè nella San Fernando Valley. Secondo lei era stupido che pagassi per hamburger. Lei me ne poteva servire gratis, visto che le facevo un favore.
Per Lisa, a pranzo si mangiano hamburger e le fighe ultracinquantenni non hanno alettoni. Non avevo scelta: dovevo per forza aiutare una vecchia fidanzata, attualmente sposata con uno sbirro, a scegliere un nuovo modello di figa e farla installare. Era un concetto da Oscar. Valeva la pena di guidare fino all’inferno delle polveri sottili.
Lisa non era cambiata troppo. La vita non le aveva servito nulla su piatti d’argento, ma nemmeno su vassoi di plastica argentata. Lei serviva cibo unto, e aveva un marito sbirro. Forse l’ho già detto: era sposata con un poliziotto. Questo pensiero mi rese alquanto nervosetto durante il tragitto.
La prima cosa che disse Lisa fu, «Ehi, ma sei calvo».
«Ehi, hai la figona dagli alettoni sballonzolanti».
Lo dissi piuttosto forte. Lei rise a squarciagola. Aveva un dente d’oro tra i molari. Quel bagliore mi trasportò indietro nel tempo, alla prima volta che lei mi mostrò l’altro umido orifizio, e mi innamorai un’altra volta. Lisa mi abbracciò a tutta forza, la targhetta di plastica blu col suo nome mi punzecchiò il capezzolo sinistro.
«Vieni a sederti nella zona VIP», disse, afferrandomi il braccio come avrebbe fatto il marito piedipiatti. Da questa parte per la cella, viscido. «Parleremo quando faccio una pausa. Intanto ti presento la mia amica Myrtle, una delle nostre clienti regolari».
Lisa mi buttò a sedere con una signora matura che chiaramente aveva sognato di diventare una stella del cinema. Un dépliant dell’ippodromo di Santa Anita le spuntava dalla borsa di vernice bianca. Anziché salutare, Myrtle disse che un ronzino di nome Pink Cock non poteva perdere. Sgranò incredula gli occhi azzurri quando le porsi subito una banconota da cinquanta dollari.
L’industria del cinema, se non altro, rende. Con un successone puoi prendertela comoda per il resto della vita, se ci sai fare. Due successoni, e continueranno ad arrivare assegni ai pronipoti dimentichi del fatto che tu sia mai esistito. Se ne fai tre, ti danno un parcheggio allo studio. Volevo due parcheggi, l’altro per la mia collezione di netsuké. L’embrione di un film sulla figa mi ronzava sotto la pelata mentre la nonna sexy viziosa del gioco mi guardò divorare l’hamburger servitomi da Lisa.
Non un film porno: un concetto d’avanguardia che mi sarebbe valsa una reputazione da artista. Non mancava l’unto che mette in moto tali macchinari.
Una tetta inamidata mi sfiorò la spalla.
«Sono abbastanza unti i nostri hamburger?» Lisa mi versò dell’altro caffè e si sedette accanto a Myrtle, che voleva partecipe alla conversazione sul ringiovanimento vaginale. La parola infibulazione mi balenò in testa, un’altra pennellata sul capolavoro cinematografico che stavo sognando. La protagonista era stata vittima di mutilazione genitale in circostanze primitive.
«Squisito», dissi.
Lisa girò la testa verso la cucina e urlò, «Bruciane un altro!»
Si accese una lunga sigaretta al mentolo. Fumare in luoghi pubblici era già vietato dalla legge.
Myrtle captò il segnale di fumo e si accese una sigaretta senza filtro.
Svuotarono i polmoni in faccia al vecchio cuoco zoppicante quando arrivò con l’hamburger numero due. Mi diede una pacca sulla spalla, per qualche ragione. Lisa gli soffiò dell’altro fumo quando si ritirò.
«Myrtle se l’è fatta ringiovanire a novembre», disse, come se stesse parlando di una nuova acconciatura per la terza età.
Myrtle spense la sigaretta nella maionese sul mio piatto. «Più bella», disse. «Più sensibile».
«Fagli vedere le foto», disse Lisa.
Myrtle si frugò nella borsa. Anziché Polaroid intime, tirò fuori il dépliant e lo sbatté sulla tavola. «Scommetto che tra queste sgnacchere ci sono delle stelle del cinema in incognito», disse. «Chi le riconoscerebbe, così?»
«Lui lavora nell’industria del cinema», disse Lisa. «Ed è pure scapolo».
Il dépliant era stampato su robusta carta patinata. Prima e dopo, al naturale e depilata, alettoni e meno alettoni fino a inguini stile Barbie. Era la rivista pornografica più noiosa della storia.
«Quale modello hai scelto?», chiesi a Myrtle.
«Non vuoi scoprirlo?», rispose.
Scivolò giù il tovagliolo. Mi tuffai a riprenderlo. Vidi un primissimo piano di ginocchia e una nivea gonnellina. Myrtle spalancò piano le cosce. Invece di mutandoni della terza età e una moquette bianca, vidi la sorgente della gioventù.
«Ricordati che siamo in un luogo pubblico», disse Lisa.
«Ehi Lisa fammi vedere il prima-e-dopo, già che ci sono», risposi.
«Scordatelo». Strinse le ginocchia dentro calze elasticizzate modello cameriera e mi diede un calcio alla spalla con lo zoccolo. Picchiai la testa, rialzandomi a sedere.
«Hai visto?», disse Lisa.
«Ho visto. Quando vuoi andare?»
Vidi in testa una porta girevole cromata che si trasformava in una insaziabile vagina, un buco nero dell’eternità. Non volevo entrare nella Clinica Ringiovanimento. Sarei rimasto in macchina ad aspettare. Avrei ascoltato la radio mentre i sinistri chirurghi mascherati sminuzzavano e rimboccavano.
Qualcuno bussa sul finestrino del guidatore. «Tieni le mani sul volante. Esci piano dal veicolo».
Lo sbirro in borghese sorprende lo sceneggiatore sognante. Avrebbe tirato fuori la pistola? Mi avrebbe portato in manette al quartier generale?
Gli sbirri sono imprevedibili. Fanno un lavoro stressante.
«Che tipo di poliziotto è tuo marito, Lisa? Buono? Cattivo? Orribile?»
«È un tipo a posto», disse lei, e capii: l’amava.
«Ce la fai, martedì prossimo?»
«Caschi il mondo», dissi.
Myrtle mi mollò un calcio allo stinco. Voleva uno strappo all’ippodromo di Santa Anita. Le corse non aspettano nessuno.
Quel lungo viaggio finì con qualche migliaio di dollari buttati via su corse truccate e un torrido appuntamento galante con una donna di un’altra generazione.
Il fatidico martedì successivo riportai Myrtle nella San Fernando Valley e caricai Lisa. Era nervosa. «Forse non lo farei, se avessimo fatto figli».
«Neanch’io ne ho fatti», dissi. «Ma il pianeta non è a corto di esseri umani. La vita è fatta anche di altre cose».
«Per ora mi accontento di riavere la figa com’era quando eravamo al liceo», disse lei.
«Ho solo felici ricordi», dissi. «Grazie».
«Ci stai facendo un favore più grande di quanto puoi immaginare».
La clinica sembrava un ambulatorio veterinario.
Entrammo insieme. Il receptionist porse una lista da spuntare e disse che l’intervento era a pagamento anticipato. Gli lanciai la carta di credito di platino incrostata di diamanti. «Offro io».
Lisa si indignò. Chissà quanti mesi di mance. Aveva calcolato pure gli spiccioli per la tassa statale sulle vendite, che in questo caso non era applicabile.
«Compra un nuovo paio di manette per tuo marito», le dissi.
Da dietro la porta di vetro smerigliato apparve un uomo in camice. Guardò la lista degli appuntamenti. Non c’erano altre pazienti. Lisa mi affidò la sua borsa. Conteneva, vidi, una pistola.
Durante la lunga attesa mi fluttuarono per la testa brutti pensieri di rapine in banca e omicidi. Dovetti trattenermi dall’irrompere nella sinistra sala operatoria con in mano la calibro 38 di Lisa. Volevo afferrare per i baveri inamidati del camice il maniaco mascherato. «Lascia stare la bellissima figa al naturale di Lisa, mostro ciarlatano. La gioventù è un lampo fresco, roseo e spontaneo, non un film porno-splatter spudoratamente commerciale».
Le riviste di moda sul tavolino erano piene di colori autunnali. Il colore va forte a Los Angeles. È l’autunno che manca.
Sfogliai intere obsolete annate di Vogue. Il receptionist faceva telefonate, scarabocchiava informazioni sul registro della Clinica.
Mi alzai e mi appoggiai al bancone.
«Quanto ci mettono, di solito?»
Tamburellò con la biro. Forse suonava jazz, le sere. «Dipende dalle condizioni fisiche della paziente», disse infine.
«Però si tratta di un intervento da ambulatorio. Niente carrozzella o tenda d’ossigeno…».
«Di solito le pazienti escono camminando come dei cowboy, ma con le proprie forze. Sua moglie sembra robusta, persino dura. Dovreste poter riprendere i rapporti coniugali entro pochi mesi».
«Non è mia moglie», dissi. «Era la mia fidanzata al liceo».
«Molti mariti sono schizzinosi, per quanto riguarda la salute intima delle loro consorti».
«Suo marito fa il poliziotto».
Come per mettere fine alla banalità della conversazione, Lisa emerse dalla sala operatoria. Sembrava infatti che avesse appena perso al gran rodeo. «Fatto», disse. «Andiamo, prima che faccia male sul serio».
Si contorceva sul sedile. Le avevano messo mutandoni post-operatori. Evitai meglio che potei le buche sull’autostrada.
Casa sua era una stamberga. Non ci rimasi male quando non mi invitò dentro. Le servì una mano per scendere dalla bagnarola.
«Grazie», disse.
L’ultimo atto di questo blockbuster sul Ringiovanimento Genitale fu una visita alla polizia. Il tenente Dave Preston, detective in borghese, non mostrò il distintivo quando gli aprii la porta. Entrò come fosse il padrone di casa. I poliziotti lo sono, non importa chi sei o dove abiti. Si sedette in cucina e si versò del caffè.
Mi finsi tranquillo. «Stavo per fare dei pancakes», dissi. «Ne vuole?»
Li rifiutò, anche se faccio pancakes maledettamente buoni. «Tu compravi la roba da Bobby Parvo», disse.
Tanto valeva menarmi con lo sfollagente. Parvo era una storia di tanti anni fa.
«Sono pulito e sobrio da quattordici anni», dissi. I poliziotti sanno al volo se ti fai, e se ne strafregano. Entravano allo studio cinematografico qualche volta per fare le comparse. «Fui condannato una sola volta per possesso di stupefacenti».
Bobby Parvo era uno spacciatore, una spia e un essere umano particolarmente viscido. Morì in truci circostanze, ma fui assolto.
«Hai la fedina pulita», disse lo sbirro. «Sono passato per ringraziarti, e per capire il tuo movente».
«È stato un piacere», dissi, e pensai: dovevo dire nulla di ché, nessun problema, sono qui per servire. «E se sai da chi compravo la roba, saprai anche che Lisa e io eravamo fidanzati al liceo».
«Me l’ha detto», disse, senza gelosia né ironia.
«Ma andava oltre», dissi. «I miei l’avevano praticamente adottata. Credo che l’avrebbero fatto legalmente, se la sua situazione famigliare fosse degenerata oltre». A quei tempi, Lisa doveva accudire un nonno demente che le metteva le mani addosso mentre gli puliva il culo, o lo imboccava.
«Come baciare la propria sorella», disse.
«Era un problema», dissi. «Eravamo troppo giovani, troppo diversi».
«Senti, sono venuto per farti un favore».
«Non c’è bisogno», dissi.
Mi lanciò uno sguardo da sbirro, per dire, «Ti offro un favore e mi vuoi offendere?»
«Grazie», dissi. «Sono contento che tu sia passato. Mi fa piacere conoscerti. Sei un uomo fortunato. Anche Lisa lo è. Magari usciamo a cena insieme, una di queste sere. Oppure venite a mangiare qui». Ma sapevo che non sarebbe mai successo niente.
Il tenente Preston, detective in borghese, prese dalla tasca interna della giacca un taccuino e una biro. «Se ti trovi in qualche pasticcio», disse scrivendo. «Intendo, a parte omicidio di primo grado, mostra questo all’agente e sarà tutto a posto».
«Farò in modo di non averne mai bisogno. Apprezzo».
«Mi hai salvato la vita pornografica», disse. Parlava del dépliant.
«Non vorrei essere medico», dissi. «Almeno non di quel tipo».
«Scambierei di posto con te invece», disse.
«Dopo la prima riunione con un produttore cinematografico cambieresti idea».
Guardò attorno la mia casa da sogno su Nukuheva Drive. «Forse cambio idea riguardo i pancakes».
Sarebbe stata la prima colazione più conviviale della storia, ma il Tenente Preston mi raccontò nei minimi truci dettagli gli omicidi di un maniaco che predava le prostitute. Usava un bisturi, a quanto pare.