
Demerzelev – Pasolini intervista Ungaretti: Che cos’è un meme? #5
La rubrica Liminal Personae giunge quieta quieta all’ottava puntata e si conferma ancora una volta come un’oasi emotiva all’interno del marasma che è Verde Rivista. S.H. Palmer pizzica delle corde che ci riportano a un altro tempo della lit-blog/rivista e in un diverso rapporto con il nostro io-scrittore. L’autrice diventa così soggetto, chiudendo il circolo o passando dal via per poi ripartire di nuovo. L’illustrazione è sempre del nostro Demerzelev (Franco Sardo).
Sono già otto mesi che costruisco, scalfisco e modello le presentazioni di queste verdi figure di confine. Quanto veloce scorre il tempo, lo so bene. L’ho sentito incidere parole e date sulle mie ossa. Lo sento scorrere materico sulla mia pelle, come un dito che segue intricate cicatrici e linee sopraelevate, esercizi di pregrafismo atavico e rituale. Il gioco di ombre della trama dell’epidermide produce infiniti paesaggi psichici.
Respiro profondamente, con il diaframma.
Espiro lentamente, sollevando la polvere accumulatasi sui ricordi di routine, quelli che nessuno sembra ricordare, ma che sono fermi lì. Eterni nella memoria. Il suono preciso di una sveglia di mattina, i rumori di ogni elettrodomestico, la melodia sorda composta dalle dita che battono su una tastiera.
Per questo ottavo incontro liminare ho deciso di espormi. Otto è dopotutto il mio numero fortunato, lo è da tempo; è come se la cifra appartenesse alla mia famiglia da generazioni, come ho appreso da una zia preferita. Questa fiera l’ho diretta io e prima o poi dovevo tirarmi in ballo quale anima di confine in evoluzione continua.
Quest’anno ho compiuto trentacinque anni. E mi rendo conto solo ora – perché lo sto scrivendo – che tre più cinque fa otto e tutto torna di nuovo, in un ciclo continuo che mi fa sempre cadere in piedi direttamente davanti alle porte della coscienza universale.
Volteggiare, cadere e rialzarsi: il movimento eterno. Infinite volte mi meraviglio di ciò che divento giorno dopo giorno. Come riflessione iniziale al mio riprendere in mano la penna (dentro e fuori metafora), ho evocato Fortezza, Grazia post-punk e Giustizia a coronare il mio essere nuova e antica insieme, spoglia dalle impurità dell’adolescenza, con nuove consapevolezze di fronte a nuovi bivi più o meno istituzionali, protetta dai nuovi scudi forgiati dal materiale emotivo millenario che la mia anima si porta dietro. Le battaglie sul confine, sentirsi mai a casa e sempre adeguata, conoscere emozioni senza filtri accademici e borghesi.
Sono rinata il giorno in cui ho visto tutto più chiaramente. Non so quale animale possa avere più vite di un gatto, sto scrivendo con una penna a sfera su un foglio di riciclo, quindi non ho neanche la possibilità (ignava) di googlare qualcosa in proposito. Il duemiladiciotto è un anno che mi ha lasciato senza fiato, una sequenza di soli e lune meravigliosi. Non riesco a descrivere la sua potenza e incanalare la sua energia in una branca specifica della mia vita, ma posso affermare con garbo di essere riuscita a togliere due macigni dalla scarpa sinistra.
Ho ripreso le redini dello scorrere del tempo e ho ritrovato il piacere delle mie piccole ossessioni stregonesche, manie gastronomiche e gioie cromatiche sentendo lo spirito gridare MOM’S NOT DEAD! sulle note di un pezzo degli Exploited o dei Dead Kennedys anche quando tutto il mondo sembrava dire il contrario, cercando di incastrarmi in un ruolo che adoro, ma che non riesce ad arginare tutta me stessa.
Cinema, libri (in quale lingua non lo so più, ne leggo di norma contemporaneamente tre, ognuno dei quali in una lingua diversa), chiacchiere in technicolor e un bicchiere di vino buono, in compagnia – di me stessa o di qualche selezionata creatura: i piaceri di tutta un’esistenza a cui non potevo e non volevo rinunciare. Eh no. Non avrei sopportato l’idea di non poter condividere un bicchiere di vino sul divano, di sera. Non avrei potuto tollerarlo, per tutta una vita: questo concetto basilare mi è apparso davanti agli occhi, enorme e luccicante, come un’insegna al neon glitterato (verde acido probabilmente se dovessi andare avanti con questa fantasia), quando mi sono tolta uno dei due macigni dalla scarpa sinistra – un sandalo alla schiava alto fino al ginocchio, in pelle e velluto nero con borchie dorate:
I hold this vision in memoriam, my sweet shattered youth
I erect a temple in my blazing heart to house the treasures such as these
An abundance of star lit memories prove to be of comfort in my hours of need
Now I see that I have reached that pale horizon
You are beside me, all around me, but how I wish you were here
I miss you more than you may know
I love you like no other.
Can I get an Amen, now?
Con devozione, vostra
CONTINUA (qui tutte le puntate)