
Marco Ferranti– Wakai
Stefano Gallesu è nato a Cagliari nel 1982 e ha vissuto in Sardegna fino al 2007, anno in cui è emigrato per amore, prima di essere costretto a farlo per fame. Ha fatto un dottorato di ricerca in scienza politica, ma ritiene che abbia imparato molto di più facendo il portapizze. Adesso vive in campagna tra Bologna e Ferrara e contribuisce alla crescita del PIL italiano facendo l’impiegato in un’azienda metalmeccanica, ma appena può scappa dalla fabbrica e va a esplorare gli Appennini, senza preoccuparsi della crescita del PIL. Scrive le storie che vorrebbe leggere.
Stefano, che esordisce oggi con noi, non è su fb, o su altri social (forse è su google+) quindi praticamente non esiste. L’unica cosa che abbiamo trovato googlando il suo nome è questa segnalazione ricevuta al Premio Calvino che recita “per l’eccellente tour de force linguistico, variato sistematicamente sulla trivialità, con cui si narra la storia di una sgangherata banda di marginali”. Sì, è lui, è il nostro uomo.
Per un attimo abbiamo pensato potesse essere uno di noi, ma dovete sapere che in chat ci accusiamo l’un l’altro un paio di volte a settimana. Per ora abbiamo appurato tre identità per Francesco “Quaramole Wimbledon”, tre anche per Luca “Meredith Marin” Marinelli, dalle sei sicure, alle otto dubbie per il nostro commissario, “The Big P.”, quattro per Andrea “Spleen J. Brambilla”. Accusarsi, cercare di stanarsi, imbastire processi sommari in streaming con successive abiure e autodafè: anche questo è fare rivista!
Non potevamo che festeggiare questo Capodanno settembrino con un racconto nella seconda lingua di Verde! Dunque buon anno e buona lettura!
Per i prossimi quattro venerdì i nostri racconti saranno accompagnati dalle fotografie giapponesi di Marco Ferranti (Grazie Marco!)
Felicetto, la moglie ha preso in gestione il chiosco che c’è alle piscine, dietro la chiesa di Santa Boboredda. Anna Rita si chiama. Io non è che lo conosco bene, Felicetto dico, ciao e ciao e la partita il giovedì, ma comunque ci ha invitato tutti e mi sembrava brutto non andare. Quando giochiamo, a me mi piace essere in squadra con lui, ma non perché è forte, no, più che altro perché non ce lo voglio avere contro, non si controlla bene, è falloso, tocca a mettersi i parastinchi quando è nell’altra squadra.
È alto, grasso e con la faccia tutta rossa. Sembra che ha qualche malattia, di sicuro beve molto. Quando finiamo di giocare, invece del Gatorade, lui si beve subito un’Ichnusa da trentatré, senza nemmeno farsi la doccia. Poi si lava, accende una sigaretta e con calma beve una birra grande. Io a quel punto me ne torno a casa, non è che mi piace tanto stare a chiacchierare. Lui lo vedo che resta con Franco, Prosciuttino, Sambuca, a volte anche Tonio Ledidì, gli altri ce ne andiamo, ché il giorno dopo dobbiamo andare a lavorare e io, anche se mia moglie dice trattieniti pure per una birra, non c’è problema, preferisco andarmene, la conosco, mi fa le battutine quando rientro e non ho voglia di battibeccare.
Comunque, non pensate che mi scandalizzo per una birra o due bevute dopo la partita, l’ho fatto anche io, voglio dire, solo che non abbiamo più vent’anni, nemmeno trenta, e certe cose bisogna farle nel tempo giusto, altrimenti dopo comincia a essere ridicolo. Contate che io sono il più giovane là in mezzo, ho trentacinque anni appena compiuti. Felicetto credo che ne abbia quarantasei o quarantasette, forse, era a scuola con mio cugino Giuseppe. Di solito giochiamo nei campetti delle Bollicine, ne abbiamo uno prenotato ogni giovedì dalle otto alle nove, d’inverno, e dalle dieci alle undici, d’estate.
Questa volta, con la storia che la moglie ha il chiosco, Felicetto ha insistito per andare a Santa Boboredda. Io ogni tanto ci porto mia moglie con i bambini, giusto per non andare sempre al mare, e devo dire che non è male.
C’è una piscina grande con un’isola in mezzo, che da una parte è bassa e ci possono giocare i bambini, mentre dall’altra c’è l’acqua alta con l’arrivo degli scivoli. Sarà venti, forse venticinque metri, per sette o otto di larghezza.
Ci sono anche due piscinette per l’idromassaggio, un campetto da beach volley e uno spiazzo in erbetta per mettere gli asciugamani chi non prende il lettino. A dire il vero l’anno scorso l’erbetta era terra, più che altro, e Tarzanello, che l’ho incontrato lì e se ne intende di giardini, mi ha spiegato che non è questione di siccità, ma di cloro: praticamente la gente esce da farsi il bagno, sgocciola sull’erba e la fa seccare.
Io non lo so, non ci capisco niente, resta il fatto che con l’erbetta tutta gialla sembrava di essere in campagna e non in piscina. Alla fine forse è meglio metterla sintetica, come hanno fatto al Mareland, vicino ad Assemini.
Fuori dalla recinzione della piscina c’è la palazzina del prete di Santa Boboredda, don Carluccio, proprio attaccata alla chiesa. Ci sono anche due campi da calcetto e uno da calcio a undici, che diventa a sette o a otto, a seconda di quanta gente c’è e di come spostano le porte. A me mi piace di più giocare alle Bollicine, gli spogliatoi sono meglio, è più pulito, e non c’è il casino con le piscine o con la gente che sta dal prete, che finché erano barboni e prostitute ancora ancora, ma adesso è tutto pieno di quei profughi, sembra un posto che fanno vedere al telegiornale.
L’altra sera sono passato da mia suocera e c’era Giancarlo s’Assessori che parlava con lei, hanno praticamente il giardino insieme, separato solo da una siepe di oleandro, e diceva che il prete prende cinquanta euro al giorno per ogni profugo, per quello ne vuole sempre di più. Più il servizio che si fa fare dai negretti, ha aggiunto s’Assessori, che se c’è da parlare male della chiesa trovatemene uno peggio di lui. Una volta, per dire, era il periodo di Natale e s’Assessori è entrato in sagrestia, si è messo davanti al presepe e ha spostato l’asino al posto di Gesù Bambino. Quando le bigotte lo hanno rimproverato si è messo a ridere: «itta cambiara?» ha detto, «tanti burriccu s’unu, burriccu s’attru».
Io non lo so se è vero che don Carluccio è depravato, mia suocera gli diceva Giancarlo smettila, ma sorrideva, le voci che girano le sentiamo tutti, e io alla fine penso che se deve allungare le mani, don Carluccio dico, tanto vale che lo faccia sui profughi.
Di preciso non so nemmeno cosa c’entra don Carluccio con le piscine, di certo gli africani non possono fare il bagno, e nemmeno le prostitute potevano, quando c’erano, ma comunque puntuale puntuale, ogni maggio, nel portone della chiesa ci sono affissi i prezzi degli ingressi. Dovrei chiederlo a Giancarlo, lui lo sa, io comunque ci scommetto che il prete se ne prende una parte, degli incassi dico. Intrallazzato con la società che gestisce la piscina c’è anche Gemiliano Mottecuberri, e forse Santino Pippotto, anche se ho sentito dire che ha perso tutti i soldi con una coltivazione di bambù gigante e ora si è comprato il Qashqai intestandolo all’amante per non farselo pignorare. Lei è la figlia di professor Lugas, quello che ci faceva ginnastica alle medie, me l’hanno detto, ma non la conosco. Felicetto gli piacerebbe essere uno che maneggia soldi, aprire negozi, gestire un locale, avere la macchina sempre nuova, ogni volta che lo incontro con Gemiliano è tutto contento, sembra un cane che ritrova il padrone. Una volta mi è capitato di vederli al Bazar e gli offriva birre, whisky, gli dava pacche sulle spalle, faceva battute e rideva da solo, con Gemiliano che beveva gratis e nemmeno lo considerava. Alla fine vuole fare la bella vita, ma è solo un inserviente al Brotzu, anche se a sentire lui sembra che l’ospedale nemmeno apra, quando non è di turno.
La moglie non ne parliamo, la conosco un po’ meglio ché da bambina abitava vicino a casa. È una bella donna, niente da dire, e lo sa anche lei che è bella: è sempre agghindata bene, tutta trassata, va in palestra da Damiano, gira con la 500 XL nuova, e più di uno che conosco, quando ne parla, non è che si trattenga molto da commentare sulle tette o sul culo. A sentire mia moglie e le amiche, ha l’amante, uno di Cagliari, e a Felicetto gli va bene. Certo, se fosse vero non mi sorprenderei, dell’amante dico, ma alla fine non mi interessano queste cose. Se a Felicetto gli va bene, non lo so cosa dire, ce ne sono tanti che si eccitano a sapere che la moglie va con un altro, io grazie al cielo mia moglie la voglio solo per me. Poi ci sono anche altre voci che girano e ho sentito dire che Felicetto ha lo stesso vizio di don Carluccio, forse è per quello che non gli interessa.
Però non lo so, io, finché uno non mi disturba può fare quello che vuole. Se lo vedete da fuori, non dà mica quell’impressione, ve l’ho detto: uno da don Carluccio se lo aspetta anche, con quella tonaca nera, tutto viscido, Felicetto invece sembra più uno che gli piacciono le donne. Che poi è strano, se ci penso: quando ero ragazzino i preti si vestivano normali, da maschi, al massimo si mettevano il collettino bianco, e uscivano con le donne. Don Carruxi aveva l’amante fissa più due o tre a giro. Adesso invece si vestono da femmina, come don Carluccio, e vanno appresso ai bambini.
Stava sempre insistendo, Felicetto, nel gruppo di Whatsapp, c’ho mia moglie che ha preso in gestione il chiosco, giochiamo là, così giusto per cambiare, dopo mangiamo anche la pizza e ci beviamo qualcosa. Io nemmeno rispondevo, non scrivo mai nel gruppo, solo se ci sono alla partita e al massimo dico che ho posto in macchina, se serve un passaggio. Invece Prosciuttino e Mincaresti, si vede che lavora alla Regione, rispondono sempre, mettono barzellette, video, scherzi telefonici, e hanno cominciato a provocarlo. Facciamo anche il bagno in piscina, gli hanno chiesto. Felicetto gli piace fare quello che fa contenti gli altri, essere al centro dell’attenzione, vuole considerazione, figurati se ha risposto di no. Garantisco io, ha scritto, tanto con Gemiliano siamo così, ci parlo io con lui.
Il programma quindi è calcetto, bagno in piscina, aperitivo e pizza.
Io preferisco giocare, farmi la doccia e andare a casa, ma ogni tanto mi tocca dire anche di sì, non è che posso fare sempre quello che scappa.
La partita inizia male, Michele è in ritardo, siamo quattro contro cinque, non c’è il pallone a rimbalzo controllato ma solo uno da calcio troppo gonfio che vola tipo Super Tele. E poi ci sono i profughi che ci guardano dalla palazzina del prete. Io sono anche bravino, ma quando c’è gente che mi guarda non gioco bene. Michele arriva e riusciamo a giocare, più o meno, con quel pallone che schizza appena lo tocchi. Faccio anche un gol che sembra una punizione di Roberto Carlos e i profughi applaudono. Alla fine vinciamo sei a tre, ma gli ultimi dieci minuti siamo lì che parliamo di fare il bagno, i tuffi, scherziamo, ci provochiamo.
Fatta la doccia, Felicetto ci dice che è meglio che ci portiamo tutto dietro, non è molto sicuro lasciare la roba negli spogliatoi, con questi ragazzini che ci sono, i profughi, non è che c’è da stare tranquilli, anche se qua non si possono avvicinare. Nicola il barbiere ce l’ho a fianco a me che si mette i boxer e sorride.
«È più tranquillo quando al profugo di succiara sa minca», mi dice sottovoce.
Anche io sorrido, non è che voglio fare l’antipatico, però preferisco non dargli corda. Davvero, meno sento di questi commenti e meglio sto, io.
«La cosa bella», continua Nicola, «è che lui succiara sa minca ai profughi, e i profughi sbavanta dietro la moglie».
Io continuo a sorridere e non parlo, alla fine Nicola si gira e inizia a fare battute con Prosciuttino e li sento che dicono che Anna Rita l’hanno vista appartata dietro il chioschetto con Gemiliano. «Piticca sa bagassa», fa con disprezzo Prosciuttino, «se era mia moglie di zaccau una bella surra».
«Ma tanto è caghinu, issu», dice Nicola, «che cazzo gliene frega se la moglie va con Gemiliano. Anzi, ci scommetto che è contento. Po cantu di lingiri su culu, secondo me si arretta a pensare che la moglie si fairi cuberri da Gemiliano. E comunque a lui gli piacciono is piccioccheddus, mischina, è normale che lei cerchi minca da altre parti».
Il primo a tuffarsi è Michele che fa lo scemo tipo Aldo, Giovanni e Giacomo nella scenetta del nuoto sincronizzato. Mincaresti si lancia a bomba e poi cerca di risalire lo scivolo, ma è asciutto e si rompe i pantaloncini. «E mo’ chi la sente mia moglie», dice, e tutti ci mettiamo a ridere. È rilassante lasciarsi andare nell’acqua. Fabieddu, il portiere, è tutto contento. È sempre disoccupato, non è abituato nemmeno ad andare al mare.
«Minca», dice, «l’unica volta che ho fatto il bagno in piscina prima di oggi sarà stato vent’anni fa, quando mia zia allichiriara sa domu a Villasimius di unu arricconi, una cazz’e villa giganti e ci aveva portato a me, mio fratello e i miei cugini, minca, c’era una piscina manna manna». Fa un gesto con la mano e la piscina che si ricorda doveva essere grande almeno quattro o cinque volta questa.
Ci tuffiamo e ci spruzziamo, sembriamo una cricca di ragazzini. Il sole sta tramontando, l’acqua è tiepida, ridiamo e diciamo stronzate.
«Chi vi ha detto di entrare?»
Alla piscina si avvicina un tizio vestito verde militare, con gli anfibi e una pistola alla cintura.
Io vado sotto l’acqua, nuoto un po’ e mi accosto al bordo, pronto a uscire. Non mi piacciono queste cose, non ho mai fatto risse nemmeno da ragazzino, non ho intenzione di iniziare adesso.
«E ora cosa cazzo vuole questo napoletano di merda», dice Felicetto.
«Dovete uscire».
«E chi me lo dice, tu, che devo uscire?»
«Non potete stare là, la piscina è chiusa».
Alcuni si avvicinano a me, vogliono uscire, non è il caso di continuare. Altri si avvicinano a Felicetto: Prosciuttino e Ledidì prima di tutti, gli piacciono i casini a loro. Anche vicino alla guardia giurata si avvicina gente, uno che lavora alla pizzeria di Cesare, un bagnino che ha finito il turno ma che quando siamo passati prima l’ho visto che si girava un canna su una sdraio.
«E chi cazzo sei per dirmi che devo uscire?»
«Felice, lo sai chi sono, esci».
«Lo so, è vero, sesi unu cazz’e napoletanu».
Io non lo so se la guardia giurata è davvero un napoletano, ha un accento che non si capisce e la faccia brutta, tutta storta, somiglia a Ibrahimovic. Solo che è molto più piccolo di Ibrahimovic, e anche di Felicetto.
«Dovete uscire».
«Me l’ha detto il padrone che possiamo entrare».
Qualcuno dice a Felicetto che è meglio uscire, altri continuano a farsi il bagno. Io mi siedo sul bordo, con i piedi dentro l’acqua.
«Peccato che a me non mi ha detto niente, dice la guardia giurata».
«E certo, sesi unu cazz’e napoletanu, non conti un cazzo tu».
«Dillo a tua moglie se non conto un cazzo, dillo a lei».
Felicetto esce dall’acqua, quasi senza toccare il bordo con le mani. Va verso la guardia giurata e quello non fa manco in tempo a dire niente che gli arrivano due schiaffi.
«Cazz’e napoletanu», continua a dirgli.
«Minca Felice me la paghi questa, io di te non ho paura».
«Stai zitto, coglione».
Il cameriere e il bagnino mantengono la guardia giurata, Felicetto è là con la faccia contro la sua, si alitano. Anche a lui lo mantengono, Prosciuttino e Ledidì lo stringono, ma si capisce che lo fanno giusto per farlo. Non vedono l’ora che si liberi e riprenda a dare schiaffi. La guardia giurata invece tutto il contrario: non fa niente per mollarsi, è contento che lo stiano tenendo stretto.
«Felice io di te non ho paura», ripete.
«Paura o no, sesi unu cazz’e napoletanu de merda».
«La vedi questa, fa la guardia indicando la pistola, aspetta a fine turno che ti sparo, io, ti sparo.
E ringrazia che c’è gente, ci sono femmine, altrimenti ti sparavo adesso».
«Una puliga mi sparasa», risponde Felicetto, «ecco cosa mi spari», e tutti ci mettiamo a ridere.
Il cameriere e il bagnino riescono a portare via la guardia e anche noi ci spostiamo, andiamo verso il chioschetto di Anna Rita, con Felicetto che continua a dire napoletanu de merda, napoletanu de merda. Io sto un po’ indietro, con Mincaresti e Nicola il barbiere che commentano: c’è qualcosa da prima, dicono, sicuro che c’è qualcosa da prima. Non è possibile che per un cazzo di bagno in piscina succeda tutto questo casino.
Anna Rita è al chiosco, seduta con Gemiliano Mottecuberri. Ridono e scherzano, e non smettono di farlo nemmeno quando arriviamo noi. Anna Rita ha un paio di pantaloncini corti corti e sandali di sughero alti un tanto; appena si alza per farci una caraffa di spritz io mi sforzo di non guardarla, ma l’occhio cade. Mincaresti lo capisce e mi sorride, io scrollo le spalle.
Gemiliano rimane seduto e Felicetto è chino verso di lui, con una mano sulla spalla. Gli sta raccontando cosa è successo, alza sempre di più il tono.
«Minca, me l’aveva data lui l’autorizzazione», dice girandosi verso di noi, «e cussu cazz’e napoletanu de merda si mette in mezzo a rompere i coglioni, si mette».
Non bisognerebbe mai bere dopo che si gioca a pallone, lo spritz scende troppo meglio dell’acqua e fa venire voglia di berne ancora. Sono seduto vicino a Fabieddu e Mincaresti, che continua a dire che secondo lui la guardia giurata se la fa con Anna Rita.
«Minca, ma se la fanno tutti con lei allora», commenta Fabieddu.
«Shh!», gli fa Mincaresti, «va bene che lo sanno tutti, ma non dirlo a voce alta».
Beviamo e ridiamo, finalmente arrivano le pizze, e io sono abbastanza brillo. Spritz, birra e adesso uno spumantino ghiacciato, dolce dolce, lo ha portato Sandro Pes che si è comprato il Tucson e vuole offrire un giro a tutti. Continuiamo a parlare, Felicetto sempre con Gemiliano, che invece cerca di attaccarsi ai discorsi degli altri, si capisce che non ne ha voglia di sentire solo lui. Raccontiamo cose, storie di gente che conosciamo, anche io mi sciolgo dopo un po’ che l’alcol sale. Fabieddu parla solo di Anna Rita ed è bello cotto anche lui. Appena si accorge che gli altri lo sentono, cambia discorso.
«Se era mia moglie, non gliela facevo fare così, sa bagassa», dice.
«Tanto è caghinu, lo sanno tutti», gli risponde Mincaresti.
«Felicetto? Caghinu?»
«Minca, o Fabie’ ma in che cazzo di mondo vivi? Scirarì!»
«Felicetto caghinu? E ba’!»
«Vero?», mi chiede Mincaresti, cercando di coinvolgermi. Io sorrido, ma non dico niente, non è che mi va di parlarne. Fatti suoi.
«Per quello lascia che la moglie sia così», continua Mincaresti. «Dovevi vederla sabato scorso al Bazar, cosa de si sburrai in is murandas scetti a da biri».
«Minca deu mi sburru immoi puru», fa Fabieddu indicando verso Anna Rita che sta fumando appoggiata al chiosco.
«E comunque anche se non era caghino», continua Mincaresti, «con Gemiliano gliela lasciava fare lo stesso sa bagassa. O come ti credi che l’ha avuto il chioschetto qua?»
Fabieddu unisce l’indice e il pollice della mano destra con quelli della mano sinistra e fischia. «Minca», dice, «se avevo il ciccio ero talmente bagassa che a quest’ora mi facevo intestare il Carrefour, attru che un chioschetto alle piscine».
Gemiliano ci saluta tutti, anche a me che non ci ho mai parlato mi stringe la mano, si alza e se ne va. Felicetto parla ancora un po’ con noi, lo sento che dice a Sandrino che a quel cazzo di napoletano non gli conviene fare il coglione, Gemiliano mi ha detto che se non mi chiede scusa davanti a tutti du fairi licenziai, ma gli ho detto di lasciar perdere, che non ne vale la pena. Poi stappa una mezza birra, si attacca e la finisce senza prendere fiato. Dice a tutti che si deve allontanare un attimo, «Anna Rita pensaci tu, mi raccomando, sono ospiti miei». I signori, ci chiama.
È già tardi, continuo ad ascoltare i discorsi. Anna Rita la vedo che provoca un po’ Sandrino, Fabieddu non le stacca gli occhi dalle cosce. Io la conosco la moglie di Fabieddu, è brutta forte, ha anche la barba, ipertricosi mi ha spiegato mia moglie, ci credo che se vede una come Anna Rita non ci capisce più niente.
Non ho più voglia di bere, devo guidare, se mi fermano ci manca solo quello. Saluto tutti, dico che me ne vado, a giovedì prossimo, ci aggiorniamo su Whatsapp per la partita.
«Vengo con te, ti scoccia?», fa Fabieddu. All’andata gli ha dato un passaggio Prosciuttino, ma ora è preso a raccontare storie di cantiere e non ha intenzione di andarsene.
«Come no», gli dico, «andiamo».
Passo a pisciare in bagno e quando esco vedo Fabieddu da lontano, mi aspetta in fondo, dalla parte opposta delle piscine. Gli altri sono sempre ai tavolini che bevono, Anna Rita è in piedi che si gratta un polpaccio con i sandali. Saluto di nuovo tutti e mi tocca passare in mezzo ai lettini e agli ombrelloni per chiamare Fabieddu e dirgli che la macchina è dall’altra parte.
Arrivo in fondo, giro l’angolo della scala per salire sullo scivolo e trovo un ragazzo nero, in piedi, uno dei profughi di don Carluccio. È alto, magro, con una canottiera verde larga larga con la scritta Sonics e il numero quaranta. Ha la faccia da bambino. Mi guarda, sorride e chiude gli occhi come a dire che non è colpa sua. Inginocchiato davanti a lui c’è Felicetto, per fortuna non mi vede.
Raggiungo Fabieddu, saliamo in macchina e torniamo a casa.
Molto interessante questo pezzo di Gallesu Stefano; gradirei sapere come posso acquistare il suo libro che ha concorso al premio Calvino, o quantomeno trovarlo; non so neanche se sia stato pubblicato. Ribadisco: mi ricorda Sergio Atzeni. Grazie
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Per info su Gallesu scrivici a verderivista@gmail.com
Grazie
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