Ieri eravamo alla bellissima presentazione del libro di Emanuela Cocco. Sono successe cose pazzesche, prossimamente ampio resoconto video-fotografico (qua un assaggio). Intanto non ci lasciamo distrarre dalla rutilante mondanità e continuiamo a far rivista con umiltà e la consueta pacatezza.
Ecco il terzo racconto della Scenicchia Full Showcase, i racconti del futuro canone fiorentino editati e curati dal sommo Vanni Santoni (lo ricorderete per questa famosa recensione, ormai cult). Dopo Simone Lisi e Francesca Corpaci oggi con noi Ferruccio Mazzanti con un bel racconto senza titolo, o magari ce l’ha, intanto gli affibbiamo noi questo provvisorio, se l’autore avrà qualche rimostranza sa dove trovarci, yo. Com’è? Il Corriere Fiorentino può affibbiare titoli brutti (“L’Infanzia a Giuncarico con un padre padrone”, ma che davvero?!?) e noi no? Se è una sfida, cari amici del ‘Orriere, ‘onsideratela accettata.
Illustrazione strepitosa di EPVIVIVI.
«Imbecille, dove vai?!»
È mia sorella a gridare. Io non la ascolto, e continuo a correre mentre mi si apre davanti la distesa di girasoli e grano che si vede dalla piazza: arriva fino a Castiglion della Pescaia, oltre la quale una striscia blu sancisce la fine dell’orizzonte. A sinistra Grosseto, viscosa e piatta, senza alberi e senz’ombra. Qualche mese prima nostro padre aveva comprato la casa lì a Giuncarico, che a suo dire era l’ultimo paese non gentrificato della Toscana. Quando era entrato nella nuova proprietà, aveva girato per le varie stanze col suo fare da superuomo, spiegando a me e a mia sorella quali parti del muro sarebbero state sfondate per creare nuovi passaggi. Alle pareti c’erano crocifissi di ceramica rozzamente definiti. Sul comodino un rosario. L’intonaco era color pergamena. La vasca da bagno aveva una seduta al suo interno. Le mattonelle del pavimento erano in PVC marmorizzato. La televisione era in bianco e nero. Sparirà tutto, aveva detto mio padre, e voi sarete i miei fedeli aiutanti – e mi aveva scompigliato i capelli con una carezza.
«Ti ho detto di fermarti!» Grida ancora mia sorella. «Non devi correre se non ti do il permesso».
Adesso che l’estate è arrivata lo sappiamo che essere i “fedeli aiutanti” significa venire condannati ai lavori forzati, e quindi appena c’è l’occasione fuggiamo.
Gli abitanti di Giuncarico ci guardano dalle finestre e sorridono. Mi fermo ad aspettarla al sole, indosso sempre il costume sperando che prima o poi qualcuno mi porti al mare, ma niente, c’è da sistemare la casa e non ci si sposta da lì. Mia sorella arranca verso di me risalendo la strada principale dove non passa mai nessuno, solo automobili parcheggiate. È abbronzata e tiene i capelli a caschetto. Quando mi raggiunge mi tira uno spintone:
«Devi fare quello che ti dico io»
Le salto addosso per morderla. La differenza di età è ancora un vantaggio determinante per lei e mi ritrovo per terra, l’asfalto è incandescente, lei sopra col suo pantalone corto e la maglietta bianca, e gli abitanti di Giuncarico che ci guardano dalle finestre e sorridono. Sorridono sempre, qua a Giuncarico. A volte scuotono la mano in quello che si potrebbe definire un saluto. Sono tutti anziani. Non hanno neppure un volto. Appena mi ha sottomesso del tutto, mia sorella dice che dobbiamo tornare a casa per vedere se il babbo ha bisogno di noi. Ci incamminiamo giù per la discesa all’ombra di faggi e abeti bianchi, lei sbuffando, io a testa bassa, che trattengo le lacrime. Non capisco: stiamo scappando dai lavori forzati che ci ha imposto, e ora torniamo indietro di nostra volontà. Sarebbe meglio correre per quella pianura di girasoli fino alla striscia blu oltre Castiglion della Pescaia.
Quando arriviamo a casa, il nostro cane dorme sotto il tavolo verde di cucina, accanto al frigorifero, la lingua che penzola fuori, una piccola pozza di saliva. Gli faccio due carezze, ma non reagisce. La luce è spenta, sembra di stare sotto un grossissimo ombrellone, e da fuori si sentono le cicale. Nostro padre è seduto in ginocchio in quella che sarà la camera matrimoniale. Ci sente arrivare e dice:
«Ah, eccovi»
Lo dice con un tono così pacato che né io né mia sorella sappiamo come reagire.
«Babbo?» Dico io.
«Dimmi»
«Hai bisogno di una mano?» Dice mia sorella.
«Sì»
«Che dobbiamo fare?» Diciamo insieme.
Non risponde. Sta montando il parquet. Trapana l’asse, poi ripulisce i trucioli con un aspirapolvere, avvita, taglia una piccola circonferenza di legno il cui diametro è pari a quello della testa svasata della vite, ci mette la colla, ci pigia sopra, passa al successivo buco da fare. Con le mie mani da bambino di otto anni mi sento più un ingombro che un aiuto. Così io e mia sorella rimaniamo in silenzio, uno accanto all’altra, aspettando che nostro padre ci dica come aiutarlo. Sento l’elastico del costume sulla pelle delle mie anche.
«Babbo?» Dico io.
«Dimmi»
«Dov’è la mamma?» Dice mia sorella.
«La mamma?»
«Sì» Diciamo insieme.
Nostro padre si volta dall’altra parte e ci lascia appesi al suo silenzio. Dalla finestra si vede Castiglion della Pescaia. Sarebbe bello essere al mare. Tirare calci ad una palla. Rincorrerci e poi tuffarci nelle onde. Avere i piedi pieni di sabbia. Piangere per essere stato toccato da una medusa.
«Babbo?» Dico io.
«Dimmi»
«Se non dobbiamo fare nulla, possiamo tornare fuori?» Dice mia sorella.
Mio padre comincia ad avvitare un’asse di legno senza risponderci. Sentiamo il rumore del ferro che penetra nel legno e della corrente elettrica che scorre nell’avvitatore Makita. Ma la vite questa volta non vuole saperne di scendere giù nel foro preparato dal trapano. Tende continuamente a sbilanciarsi a destra e a sinistra, e finisce per rovinare l’asse del parquet. Improvvisamente, con una calma irreale, mio padre poggi a terragli strumenti e ci guarda, lì nel caldo estivo, nel frinire delle cicale, poi si alza in piedi, afferra l’aspirapolvere, e senza dire niente la sbatte ripetutamente contro il pavimento e contro la parete, pezzi di ogni dimensione volano da tutte le parti, la fracassa impazzito mentre io e mia sorella guardiamo, muti, l’uno accanto all’altra. Alla fine, ansimante e sudato, si volta verso di noi e dice:
«Avete visto? Mi avete fatto rompere l’aspirapolvere.»
Io e mia sorella ci guardiamo negli occhi e corriamo fuori di casa, ci sediamo su un muricciolo in pietra arenaria, ridiamo e non la smettiamo per ore e ore. Il panorama è magnifico, un lieve vento soffia da nord ovest. Il mare sta laggiù: una striscia blu lontana.
Ferruccio Mazzanti (editing by Vanni Santoni)