
Nel cuore della notte (Pink Lodge 2018)
Ciao sbarbini, com’è andata con le stelle cadenti? Come siete messi a desideri? È partito almeno un limone? Una palpatina? Mezza? Avete passato una bella serata con i vostri fidanzato o fidanzata? Magari con i vostri genitore 1 e 2. O magari siete incel, buon per voi, buona fortuna.
La vita a volte è strana. Un mese fa il Commissario salta su dicendo che c’ha un amico che fa l’avvocato e gli deve svariati favori. “Perché non sfruttare questa cosa per divertirsi un po’”, ha detto. Vani i tentativi di Frau di spiegare che un amico avvocato non vale come il buono per uscire di prigione del Monopoli. Ma al “Tu che ne sai?” del Commissario nessuno ha saputo ribattere.
Era nata A colpo sicuro: la rubrica dove noi di redazione (SPOILER: e non solo) spremiamo al massimo le nostre doti valutative, estetiche, filologiche, eziologiche, entomologiche e francologiche per girare attorno all’apparente ostacolo della mancata lettura di un opera a tutti gli effetti concepita per essere letta, a prima vista.
Ma basta convenevoli: oggi tocca a Marco Rossari e al suo Nel cuore della notte recensito da un redivivo Francesco Quaranta. Stiamo trattando il rilascio del nostro, auto esiliatosi in casa in compagnia di Mino Raiola, il quale adesso non intende più levare le tende né permettere che Francesco lasci casa propria, non prima di aver completato il “grande romanzo italiano”.
Che dire ragazzi: A COLPO SICURO! Lo smemicchio è della Pink Lodge.
Un sabato pomeriggio alla fiera dell’Est, per diciotto dindini, Nel Cuore della Notte di Marco Rossari (Einaudi, 2018, 168 pp, 15 euro e trenta qui) io comprai.
L’ho acquistato solo per la copertina. Lo dico subito. Chi non ce l’avesse presente, questa copertina, ecco faccia conto che è l’esatto contrario delle fotografie antifumo che stanno sui pacchetti delle siga di papà. Ci siamo capiti.
Comunque, la sera stessa ho deciso pure di aprirlo, ‘sto librino, ché era proprio una di quelle sere in cui c’è bisogno di sentirsi intellettuali e però Radio 3 non prende, così ho abbinato la lettura a una tisaniella allo zenzero e curcuma (Pompadour, 2018, 20bst, 8 euro e 07 qui). E niente, mi ci sono messo con la buona lena da lettore forte Super Saiyan che non sono altro e a mezzanotte l’ho terminato.
Non avrei mai pensato di parlare di questo libro con nessuno, tanto meno di scriverne, per via della sensazione che mi aveva lasciato: come se qualcosa mi avesse attraversato da parte a parte, sgusciante, velocissimo, pizzicoroso, strizzandomi le budella per un’ora e poi via. Basta. Come un bolo alimentare, ecco.
Quando poi le commissaire D’Anton mi ha domandato se avessi voglia di scrivere una recensione per la rubrica mmega fresh di Verde, non ho potuto fare a meno di pensare che la cosa cascasse a fagiuolo.
«Quara, my boy» mi ha detto con il suo tipico accento di Grottaferrata, «a Verde ci manchi un fracco, ti va di partecipare a questo progettino con noi? ‘Na cosetta».
«Di che si tratta?» Il mio tono era scocciato perché Pierluca ha questa abitudine di fare chiamate video Whatsapp tra le 2 e le 4:30 del mattino mentre è fuori a caccia di gatti randagi da vivisezionare in classe.
«Guarda, bello mio, è un progetto molto british come impostazione» ha detto, «devi recensire un libro, ma l’importante è che tu non l’abbia proprio letto. Ma zero. Massimo la fascetta».
«Pier, come sai non tengo libri in casa perché tirano tarme e pidocchi. Ho comprato questo di Rossari qualche giorno fa. Però purtroppo l’ho letto».
«Allora non so se sei qualificato per la rubrica».
Oh giuro, alla fine l’ho dovuto pregare io per poter fare la rece. Pazzesco questo Commissario. Un mentalista coi controcazzi e gli stivali.
«Ci penso su, Quara… Adesso ti saluto che ho visto uno siamese senza collarino dietro il cassonetto e mi servono tutte e due le mani libere. Tu manda pure e restiamo che ti faccio sapere, dai stammi bene».
Il commissario è bravissimo a fare il verso dei gatti.
Chiarisco che il Marco Rossari non lo conosco: questa cosa mi distrugge ma purtroppo non sono amico suo. Ma solo perché non mi accetta la richiesta di amicizia su Facebook, nonostante io gli guardi tutte le Instastory. Tutte. E l’aperitivino sul Naviglio, e il concertino acustico del secondo chitarrista di Giuseppe Peveri in arte Dente, e i reading bendati sulla pista da bowling, mi sono pippato pure le passeggiate con il cane nel boschetto di Rogoredo. Tutte tutte tutte le story, brighella di un Roxy, eppure still no friendship on Facebook, mannaggia. Nemmeno friendzonato. Quindi Marco, se stai leggendo queste righe, bella copertina.
A proposito, che fine ha fatto Dente che mi faceva cuccare un sacco?
E nulla, domenica scorsa sono andato a fare la mia corsetta da ventinovenne power, scuotendo la testa per scacciare la stupida idea di aver acquistato un libro con una copertina del genere. E la faccia della cassiera che sapeva. Lei sapeva… Diciotto pagnotte per una silhouette piena di promesse bohémien.
Attraversavo la mia bella campagna rannuvolata e pensavo a cosa scrivere nella recensione per impressionare la LITWEB™. Nel mio cigolio di ossa poco allenate, nel fiatone di chi vorrebbe ma non riesce, nei muscoli che tiravano come un intelletto stremato, ecco in tutto ciò ritrovavo il rapporto del Rossari con la sua opera.
Questa è la parte riflessiva della rece: quando durante la corsa mi caccio in un campo incolto, trecentocinquanta metri di erba piatta e una cascina diroccata come unica attrattiva sullo sfondo, dall’edificio esce questa novantenne curva, lontana, che mi aspetta con la prospettiva di una svolta interessante alla giornata. Attorno è tutto piatto, monocorde e io procedo sempre più stanco, ma con quella piccola speranza di finale senza tempo. E senza volerlo metaforizzo il tutto con l’immagine di me in poltrona con la mia bella tisanina che sfumacchia bollente e io che sfoglio le pagine di questo libro di cui sto parlando chiaramente, senza mezzi termini. Infine raggiungo la vecchina (che piazzeremo figurativamente nell’ultima pagina del libro) e la scopro già vista, noiosa, sdlficzkngosa. Non è colpa sua.
“Nel cuore della notte” è quel libro che non va letto per il suo finale, questo lo abbiamo capito, però va letto. Va letto come atto passivo-aggressivo nei confronti di un ipotetico partner al quale si vuole far pesare che, nella coppia, non è certo lui a tentare continuamente di alzare il livello culturale, seppur a volte invano, seppur a volte facendosi un po’ male dentro, come forse e/o certamente in questo caso, ma non è questo il punto, l’importante è che veda che uno dei due almeno legge qualcosa invece di stare sempre piazzato davanti a Netflix e chiedere ogni tanto che cosa c’è che non va, perché non c’è niente che non va cristoddio, e se ci fosse tanto non capiresti, e sto leggendo ok, mi disturbi, sì è un bel libro, è un libro bellissimissimo in confronto alla tua facciaccia, No, no non ho detto niente, torna pure a vedere i Griffin.
Va letto così come si devono pagare le bollette o compilare il sette e quaranta: con la modestia del dovere e lo sguardo basso, ma badate, anche orgogliosetto del buon evergreen democristiano. Se potessimo riassumere la lettura di questo libro in uno slogan – e arrivati a questo punto non vedo perché non farlo, sbarazzini noi (ormai siamo complici eh eh) – sarebbe: tette e omertà.
Che poi non capisco questa fissa dell’autore per il bricolage. Non dico che non possa essere romantico il fai-da-te, per carità, però francamente mi sfugge il significato più profondo (forse allegorico?) delle venti pagine ambientate al Bricofer (simbolica la frase della cassiera: “È questo forse un Leroy Merlin qualunque? Che ne è stato delle casette sugli alberi? Dei rifugi per uccelli? Del nostro auto-convincerci che i battiscopa servano a qualcosa?”, forse la stessa donna della copertina? L’autore non dice, perso nella descrizione tattile della carta-vetro).
Interessante il capitolo centrale sullo shabby chic che, seppur non brilli a livello letterario, se non altro offre ottime soluzioni arredo casa per il trentenne in carriera, sicuro di sé, ma che non rinuncia al diritto di sentirsi fragile e infantile quando necessario.
Forse forse il Marchino Rossari, stai a veder che, anche se non mi accetta l’amicizia, un po’ mi capisce.