François Cévert

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Nadia Sgaramella, Life is a spiritual dance #1

Ferruccio Mazzanti torna a trovarci con un lungo flusso di coscienza; i punti sono volati insieme ai corpi e ai vetri, e ora sono da qualche parte sotto alle lamiere. Questa è la storia del pessimo risveglio del pilota Cévert. In questo momento lo scuolabus di Gonchi è in testa al Gran Premio di Formula 1 nazista del Maresciallo Petain, la decappottabile di JFK sperona la Renault 4 guidata da Nuvolari, ma il nostro commissario non demorde a bordo di Christine. Ferruccio cosa sa a proposito della scomparsa del commissario? È un caso che ci abbia inviato questo racconto? Noi nel dubbio lo pubblichiamo sperando sia un messaggio in codice, non dovesse esserlo, ce lo godiamo ugualmente, perché aldilà di tutto è pure un bel racconto.

L’illustrazione è di Nadia Sgaramella.

Quando si alza, François Cévert, questo pilota parvenu della nuova generazione, e come per il resto del mondo anche per lui la giornata inizia col piede sbagliato, all’esterno un’immobilità grigia, la piccola città è affondata sotto una nebbia soffocante, come da sempre lo sono questi paesi nella pianura durante l’assenza di tempesta, quando le gare prevedevano la morte, quando le donne non si erano ancora spinte fuori dai loro letti torbidi per scivolare dentro a tubini di tela nera o bianca e velluto prospero atto a soffocarle fino a farle cedere al dominio incontrastato della velocità, al cronometro in cui si misura l’adrenalina che i nomi dei piloti imprimono dentro di noi, nomi anche molto belli come Howthorn, Surtees, Hulme, Stewart, Schekter, Mansell e che scatenano tempeste di circuiti lastricati con vecchi verdi dollari, pochi ma sempre ben accetti, e oggi questa pista è sferzata dalla nebbia, contro i cordoli le barriere di protezione crepitano gli pneumatici morenti e, quando François Cévert entra nel bagno che, malgrado il degrado della roulotte, è protetto da una lastra di polimetilmetacrilato che lo isola dall’immobilità esterna, la nebbia gli offusca la vista, e lui rimane immobile ad osservare quello schermo bidimensionale, dietro cui percepisce l’inesorabilità del suo destino adrenalinico, e poi scruta dentro al tubo del lavandino che scarica verso est, e lì dentro scorge solo strascichi di un lutto passato, rosso mattone, verde cenere, Gonchi, e, dopo aver chiuso gli occhi e pianto, dato che ricordi ancora freschi gli sono scivolati in gola, apre il rubinetto della doccia e non esce nulla, e spiffera qualche lamento su questa mattinata che comincia proprio male, rimugina su questa percezione di una quotidianità sbagliata ammantandola con le sovrapposizioni dei sogni diventati gassosi nell’attimo in cui ha smesso di dormire, non percependo altro che nebbia, ché come tutti i piloti della nuova generazione ha introiettato come uno stato dell’anima, e si ricorda quel truce, sfaldato secondo durante il quale Gonchi si è ribaltato in ciò che stava sognando, anzi, proprio adesso rivive quella notte onirica, o piuttosto la sequenza dell’incidente, d’improvviso tristissimo, smerigliato, presagio di qualcosa di evitabile, si trova di nuovo nel sordido bagno dove l’acqua non scroscia e chiama borbottando una donna che non gli risponde perché dorme nel letto matrimoniale della roulotte, Julie Roussel, di giorno e di notte sempre lei, a cui di quando in quando la ragione vacilla nella nebbia, la sua bellezza si è aggravata, forse ormai ha optato per una irresistibilità totale e, invece di focalizzarsi su di lui, sogna una villa a Venezia circondata d’erba violenta e vellutata, e non sogna neanche da lontano con affetto Gonchi che si ribalta di fronte a lui, le luci del circuito che sgranano i profili nella notte, smagrendoli quasi in nuvole o stecchi, e Gonchi che scompare mentre lo scuolabus si solleva da dietro e le ruote si scuotono alla ricerca di un grip, improvvisamente scomparso, e da questo ricordo è sommerso da un dettaglio secondario che però è atroce, ovvero il pedale dell’acceleratore che era, quando entrò dentro allo scuolabus per estrarlo, era bloccato fino in fondo, sì, fino in fondo, perché penso che di fondo si possa parlare quando per questi scuolabus si prova la passione che provo io, la nebbia secca velando ciò che sanguina, il collo è stato spaccato in quattro vuoti circolari, dall’estremità della colonna fino alle deboli concavità del midollo, quando le creste si staccano sorridendo a pezzi, e i bronchi si schiudono, la pancia si gonfia, gli sguardi si ricompongono, poi lo scuolabus torna a rollare come un totem che sta perdendo l’equilibrio, e così Gonchi, il pilota viene scosso verso il cielo, il casco che si schiaccia, le palpebre nuovamente sbattono e si chiudono, le labbra supplicano in un linguaggio che nessuno sente, la nebbia secca il sangue, lo mangia, ne scontorna i rivoli, tali sono i ricordi o gli incubi di François Cévert nell’istante in cui l’acqua non è scesa dall’erogatore della doccia, e che di colpo, ora, diventano ancora una volta quel giorno infausto quando tutte le cose temono e tossiscono, poi urina e subito torna nel letto su cui la coperta stende un cielo immobile, lascia vagare l’olfatto sul corpo della donna sdraiata senza vestiti, la sua donna, Julie Roussel, e lei lo incalza con una mano irritata poiché non vuole che fin dal mattino le imponga la sua paura e il suo silenzio, e lui si scusa, e fuori dalla roulotte i gatti si accoppiano, le giornate immobili li eccitano, sanno che oggi non mangeranno nessuna scatoletta, l’odore dello scarico del cesso li rende volubili, ben presto si inventeranno sguardi che nessuno imita, oppure graffieranno alberi, e François Cévert ipotizza che fra poco uscirà dalla roulotte e li prenderà a calci, urlando come un pazzo per dimostrare alla sua donna, a Julie Roussel, che c’è ancora della violenza dentro di lui e dietro alla parete di legno e plastica adesso sale il miagolio compiaciuto in versione XXX in ogni contenuto, s’intende, smascherato e François Cévert si ricorda di Gonchi e della loro passione per gli scuolabus, e rimpiange che solo lo stridio delle lamiere abbia fatto irruzione nella sua coscienza, se ne pente, in fondo le orde color rosso notte delle competizioni automobilistiche sono rovine e tutti i piloti della nuova generazione non si muoveranno affinché Gonchi possa riposare in pace e fondersi negli incidenti e nell’amore, in attesa che la geologia cicatrizzi i loro corpi. Sì, senza dubbio un pessimo inizio di giornata.

 

Ferruccio Mazzanti

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