
Emmeppi (Marco Pinna), Cow Crucis
Roma N57686, scritto da Luca Carelli e firmato da Pierluca D’Antuono, ha chiuso Cronaca Verde a Bologna, la serata di racconti inediti a tema che il 3 novembre scorso abbiamo portato alla Confraternita dell’Uva (grazie ragazzi). La settimana prossima il disperso Luca Marinelli, allora assente ingiustificato. L’illustrazione è di Emmeppi, se condividete non ci offendiamo.
Morucci l’avrebbe chiamata il ricordo palpabile dei nostri errori, e con il dito avrebbe indicato il più colpevole, ma senza nominarlo. Per loro invece era soltanto la N5, come il modello di una monoposto di Formula 1 nazista che quarant’anni prima avrebbe potuto sfilare a Vichy sotto lo sguardo del Maresciallo Petain.
Era una riproduzione perfetta della Renault 4 amaranto appartenuta a Filippo Bartoli, lapide e sineddoche di un’epoca conclusa dagli ingegneri Borghi e Altobelli, e ora abbandonata nel quadrante più oscuro dell’ingresso dell’Università, dove mi parlarono per la prima volta di Definitivo Guareschi. I distruzionisti avevano già deciso di rapirlo, ma il modo in cui ne portarono a termine l’evasione e sfuggirono all’arresto restano avvolti nel mistero.
Allora il gruppo non esisteva e non aveva un nome: l’apparizione di Paul August Le Vaguerese e i fatti di San Severo erano di là da venire, ma gli anni Ottanta erano già iniziati e per agire al nucleo fondativo bastò la constatazione che nei rioni del centro storico la sedia a rotelle di Robert Wyatt era iscritta a ognuna delle sezioni del PCI: da quel preciso momento, pur sotto l’ombrello di protezione del Segretario ischemizzante, nessuno di loro sarebbe mai stato più niente.
Non furono necessari gli artificieri per intagliare una entrata nella N5, né una telefonata per annunciarla. L’idea di trasportare in quel viaggio alla rovescia un corpo morto ma vivo, deformato e dimenticato, fu il tentativo compensativo di una restituzione, l’ipotesi di riportare un colore dentro al tempo della città.
Com’era Roma prima della Renault 4? Nessuno lo ricordava, ce n’era mai stata una? Allora assomigliava seducentemente a un fermo immagine detournato di Antonella Ruggiero in abiti peronisti, il braccio destro teso, il pugno sinistro al cielo, la Palestina sulle labbra.
Due metri e uno per centoventicinque chili, al di fuori del normale, Definitivo Guareschi fu il più dimenticato tra i pugilatori meno amati dal regime. Otto volte campione italiano dei pesi massimi, tre volte finalista europeo sempre sconfitto ai punti, nel 1942 salì su un trimotore diretto a Castel Benito, in Libia, e si arruolò nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, assegnato al sesto battaglione camicie nere Africa Settentrionale. Siamo tutti responsabili di questa guerra, scriveva nelle lettere dal fronte, In Italia le cose non vanno affatto bene e dopo la vittoria bisognerà porci rimedio, a costo di fare un’altra rivoluzione.
Un’altra.
Fu ferito a un piede durante l’ispezione di una postazione. Tornò in Italia un mese prima della resa di Tunisi. Il 3 giugno 1944 combatté sul ring per l’ultima volta. Il decimo comando militare della Guardia Nazionale Repubblicana gli ordinò di arrendersi in otto riprese al vice campione europeo Rudolf Schwarzberg, che cadde al tappeto dopo cento trenta secondi. Guareschi fu arrestato quella sera. Il giorno dopo gli americani entrarono a Roma.
In quel preciso momento l’uomo scompare e la sua memoria svanisce. Trentotto anni più tardi, la mattina del 16 marzo 1982, il suo spettro si cala nel bagagliaio nella N5 distruzionista. Gli abiti da presidente, confezionati da una sartoria sulla Trionfale, cominciano a cedere prima che i contorni della sua forma si imprimano per sempre sulla tappezzeria degli interni. La Renault 4 esita, è appena partita, sta per rovesciarsi, nei settecento metri che separano Via Laurantoni da Via Montalcini si fa catapulta.
Guareschi rapito, Guareschi liberato, Guareschi morto ma vivo, non più internato, prende il volo seminudo, lo sparano in aria, atterra nel giardino sbagliato, distrugge l’appartamento insanguinato.
Fallita la sua restituzione, “qualcuno dovrà pagare per quanto accaduto”, o continuare a farlo.