Insanguinati e seminudi a Bologna #1: Romani su Marte

cuoreinmano

Giulfin, Cuore in mano

Dopo la fine del cartaceo, l’apertura del blog e le serate di Firenze, non ci rimaneva che Bologna. Ci siamo stati venerdì scorso, alla Confraternita dell’uva (è stato un successo), con sei racconti inediti ispirati da un articolo di Roma Today. Da oggi, ogni mercoledì, potrete leggerli qui sul blog: si comincia con Romani su Marte di Andrea Martino. L’illustrazione è di Giulfin.

Tiberio, quarantaduenne romano, libero professionista e lavoratore instancabile, aveva fatto della stanza degli ospiti il suo studio. Seppur il suo sogno di bambino fosse diventare un astronauta, la dura realtà l’aveva costretto ad un lavoro quantomeno comune. Lo studio dunque, come il resto dell’abitazione, si trovava in via Laurantoni, e aveva una grande finestra che procurava luce naturale tutto il giorno. Per le sere e le grigie giornate invernali, erano state installate due luminose lampade alogene regolabili. L’ampia scrivania ospitava plichi di documenti, biro, appunti e ovviamente il computer. In un pomeriggio d’autunno, sorseggiando una tisana calda, Tiberio si era distratto dal lavoro per navigare su internet alla ricerca di qualche novità interessante. Quasi non poté credere ai propri occhi quando casualmente si ritrovò a leggere un annuncio a dir poco entusiasmante. Poggiò quindi la tazza di tisana e si mise a leggere più attentamente sullo schermo. A chiare lettere, la NASA annunciava la possibilità per i civili di donare i propri dati, che sarebbero poi stati portati su Marte grazie alla sonda InSight. Non gli sembrò vero. Se anche il suo sogno di esplorare un nuovo pianeta non si sarebbe potuto avverare in termini fisici, lo allettava altrettanto l’idea che qualcosa di suo, la sua identità, potesse farlo. Non ci pensò due volte e si iscrisse alla lista.

Più tardi, quella sera, dopo aver sorseggiato lungamente una tisana rilassante, Tiberio, il quarantaduenne romano, si addormentò felice.
Alcuni mesi dopo partì la sonda per Marte, ma Tiberio non se ne ricordò. E poi, proprio in quei giorni, Tiberio stava organizzando il suo quarantatreesimo compleanno. In via Laurantoni ci fu una bella festa con amici e parenti, con tanto di torta e regali. Si stapparono diverse bottiglie, e ci furono numerosi brindisi, prima alla salute di Tiberio, poi a quella degli invitati, poi alla promozione di Rossella, alla laurea di Guido, alla pensione del fratello e tanti altri. Insomma proprio un colpo di vita. Dopodiché il mite lavoratore romano tornò alla routine. Arrivò l’estate, e con essa il caldo insopportabile. Alla fine di agosto anche il povero Tiberio era provato dall’inesauribile calura. Il mattino del 6 settembre si svegliò accaldato e piuttosto sudato. Nonostante il ventilatore, non c’era stato scampo. Guardò l’orologio, erano già le 9.15. Non che fosse un problema, lavorava da casa. Ma era solo mercoledì, e da buon lavoratore non gli piaceva cominciare in ritardo; tanto più che la settimana era ancora nel bel mezzo. Preparò quindi il tè coi biscotti, ne mangiò a sazietà, si risciacquò la faccia e lavò i denti. Mancavano un paio di minuti alle 10 quando, ancora in mutande, aprì le finestre per far uscire l’odore di stantio della notte.

Negli stessi istanti, la sonda InSight, già atterrata con successo su Marte, ripercorreva nel file le informazioni dei civili volontari.

Pochi secondi dopo le 9.58, Tiberio, che ancora si stropicciava gli occhi, sentì un fastidiosissimo ronzio, un vuoto allo stomaco e si sentì sobbalzare. Chiuse istintivamente gli occhi. Quando li riaprì stava cadendo a breve distanza dal suolo, su una superficie desertica, rossiccia e gelida. L’impatto fu forte, ma insonoro. Fece un paio di ruzzoloni sul terreno accidentato prima di arrestarsi. Il dolore dell’impatto si fece sentire acuto; solo per pochi istanti però, perché subito lasciò spazio a un terribile bruciore ai polmoni, che cercavano affannosamente e inutilmente di accaparrare ossigeno. Tiberio cercò allora di alzarsi. Nonostante le escoriazioni e il sangue che colava qua e là, l’inferiore gravità presente su Marte gli permise di mettersi a correre come un pazzo. Ma avrebbe potuto procedere solo per poche falcate; con i polmoni vuoti, stava correndo verso la morte. Proprio allora sentì di nuovo un forte ronzio, un vuoto allo stomaco e un sobbalzo. Cadde con un tonfo sordo. L’impatto fu sostenuto, ma l’erba di un giardino di via Laurantoni attutì il colpo. Prese fiato a pieni polmoni e riprese a correre, seminudo e insanguinato, in preda al panico. Cozzò contro una porta finestra, che andò in frantumi. Continuò a correre e dimenarsi, distruggendo e urlando, finché la figlia della signora Margherita riuscì ad uscire di soppiatto dall’appartamento dov’era irrotto e a chiamare i carabinieri. Le volanti arrivarono prontamente. Bentornato sulla Terra.

Andrea Martino

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