I manieristi (1/3): Il foulard rosso

Terzo estratto da I manieristi, il lungo racconto (romanzo è un po’ troppo) che stiamo pubblicando per rendere giustizia a Raimondo Maniero, vittima illustre della “cricca ombelicale delle lettere romane indipendenti”, come il nostro amava affettuosamente chiamare la cricca ombelicale delle lettere romane indipendenti. Qui abbiamo fatto conoscenza dei manieristi Franz, Karl, Louis e di tragici ma reali personaggi quali il Colonnello Tommaso Madras; qui, immersi in una atmosfera da perestrojka fallita, abbiamo assistito alla ferale presentazione del per così dire capolavoro Il lavoro morbilità l’uomo; siete pronti a emozionarvi con le camicie e i versi di Losito Cayetano, il poeta mui caliente del Sud America?
L’illustrazione, as usual, è di
DeadTamag0tchi. A lunedì, buon fine settimana, se siete a Firenze c’è una sola cosa da fare (salutateci Madras!).

Il cielo si stava ormai rasserenando e dal parchetto si udivano le voci di alcuni bambini che avevano improvvisato una partita di calcio.
Prendemmo Karl sottobraccio, Louis da una parte e io dall’altra, e c’incamminammo lungo il viale davanti all’Auditorium.
«A quanto pare hai da raccontarci un bel po’ di cose…»
«Da dove vuoi cominciare?»
«A me incuriosisce molto questa storia dell’antologia. A te, Vinz, non incuriosisce?»
«L’antologia e anche lo speed date. Questa Elena è stata una vera sorpresa».
«Ragazzi, la cosa è molto più semplice di quel che sembra».
«Detta da te non è credibile, dai. Stai sempre a vantarti delle conquiste che fai, che devi cambiare continuamente nickname sui siti perché ormai ne hai abbordate a decine e non vuoi farti riconoscere e poi si scopre che ti iscrivi agli speed date?»
«Potreste abbassare il tono della voce? C’è un sacco di gente qua attorno».
«Ma gli speed date sono una roba da sfigati!»
«Ve l’ho detto, mi sono iscritto per curiosità. Da un po’ di tempo non mi vengono idee buone per scrivere e ho pensato che potessi trovare degli stimoli…»
«E l’antologia?»
Louis si arrestò di colpo costringendoci a fare altrettanto.
«Perché non ci hai mai parlato di un’antologia?»
«Ragazzi, gliel’ho detto soltanto perché non mi mollava. La regola vuole che sia l’organizzazione a far mettere in contatto tra loro le persone interessate, ma Elena mi ha fermato fuori del locale e si è messa a parlare della scuola, di quanto sia frustrante insegnare italiano in un istituto tecnico di borgata e del fatto che ha sempre avuto il sogno di scrivere».
«E tu per sbolognartela ti sei inventato la storia dell’antologia?»
«Voleva fare cose…»
«Che tipo di cose?»
«Mi sa che era un po’ ubriaca, a un certo punto ha anche cercato di baciarmi».
«Ma che c’entra l’antologia?»
«E poi su cosa?»
«Sulle scie chimiche».
Louis esplose in una fragorosa risata.
«Lo stai facendo per avere il materiale pronto per il tuo romanzo!»
«Non sapevo che fare e ho buttato lì la prima cosa che mi è venuta in mente. Lei a un certo punto si è messa anche a parlare di questa cosa…»
«Ferma, ferma! Come a un certo punto? Io avevo capito che avevate scambiato solo qualche parola… Mi sbaglio? Vinz?»
A quel punto Karl aveva gli occhi che giravano da tutte le parti e cercavano in ogni modo di non incrociare i nostri.
«Ecco perché avevi tanta paura. Ci sei andato a letto!»
«Eh».
«E ora come ne esci? Questa secondo me te la ritrovi sotto casa».
Karl alzò gli occhi, d’un tratto aveva uno strano luccichio nello sguardo.
«È semplice. Ho deciso che la farò sul serio».
«Cosa farai sul serio?»
«L’antologia. Cercherò altri autori che vogliano parteciparvi».

***

«E così decide di organizzare un’antologia e non dice niente ai suoi unici amici, le uniche persone che gli danno corda e gli stanno dietro da quanto, Vinz? Te lo dico io da quanto, da una vita! Ti sembra normale?»
Vinz mi guardava come se dubitasse – o sperasse di poterlo fare – della serietà delle mie parole, e stesse cercando di fare luce dentro alla mia bocca e poi più su, fino al punto in cui nascevano.
«Pensi davvero che stia lavorando a una antologia? Sul serio Louis?» mi domandò scandendo bene ogni parola, come si fa con i bambini.
«Certo che sì, lo ha appena detto! E poi ha bisogno di materiale per il suo romanzo, figurati se non ne approfitta!»
«Ma è sulle scie chimiche! Quella roba per cui lo prendiamo per culo da quando lo conosciamo, hai presente?»
«Non alzare la voce, potrebbe sentirci!»
«Impossibile, è laggiù, lo vedi? Nella sua classica postura da meditazione. Non deve essere stato facile con Elena, lui sembra un tipo impermeabile, al limite anche superficiale, ma in realtà è un debole, uno che accusa i colpi».
«Da quanto tempo non pubblichi qualcosa di nuovo? Tre anni?»
«Quasi quattro».
«Io ho pubblicato un solo racconto. Cinque anni fa».
«Ma non eri tu che dicevi che la letteratura non vale niente? E che ormai non scrivi più?»
«Certo che non scrivo più!»
«E allora?» mi incalzò visibilmente sfinito.
«Stiamo parlando di pubblicare», risposi strattonandolo. «È diverso!»

Fu in quel momento, mentre un vento freddo si alzava alle nostre spalle spazzando via le ultime nuvole grigie e il sole riprendeva colore nella tavolozza azzurra sulle nostre teste, che riapparve Ilary in compagnia di uno spettro.
Era così che si definiva in pubblico, perché la poesia, diceva, è morta.
Il fantasma rispondeva al nome di Losito Cayetano.
I due si stavano dirigendo verso di noi.

***

Non appena ci vide, Ilary prese la rincorsa e dietro di lei arrancò quel tipo curioso che si trascinava per mano. Aveva una camicia sgargiante, sulla quale si sviluppava una vegetazione rigogliosa, amazzonica. Da lontano poteva sembrare uno di quei quadri di Rousseau le Douanier, ma senza la poesia del doganiere. I suoi colori erano fastidiosamente chiassosi.
«Ola chicos, ma che bella sorpresa!»

Ilary era appariscente come al solito, ma in tutt’altro modo dall’uomo che costringeva a correrle dietro. Era una specie di nuvola di tessuto e sbuffi e merletti, una specie di elegante struzzo pesantemente truccato e profumato.

«Ma voi c’eravate alla presentazione, sì? C’era un sacco di gente, non avrei mai pensato. E poi le domande… non la finivano più! Ma Karl dov’è?»
«Eccomi qua bellezza».
«Ma che si fa così? Si sbuca da dietro all’improvviso?»
«È che stavo facendo una telefonata».
«Una telefonata segreta?»
«Ehm ehm. Ma invece il tuo amico, non ce lo presenti?»
«Ma che cafona che sono. Lui è Cayetano. Losito Cayetano, il poeta».
Ilary lo strattonò per un braccio spingendolo in avanti, davanti a sé, e gli diede un pizzicotto sul sedere.
«Il poeta mui caliente del Sud America», precisò strizzandoci l’occhio affogato nel mascara.
Cayetano fece un inchino esagerato e un sorriso altrettanto sproporzionato. Aveva i denti bianchissimi.
«Molto onorato».
«Ma quale onore, Cayetano. Questi mica sono scrittori famosi! Questi sono tre sfigati. Karl hai già capito qual è, l’allampanato col trench si chiama Louis e quello accanto è Vinz. Naturalmente sono nomi da battaglia, ma quelli veri non li so neanch’io. Sono esseri misteriosi, non so quante volte mi hanno raccontato di come si sono incontrati ma giuro che non saprei spiegarlo. A proposito, ma che fine avete fatto? È da un po’ che non vi si vede in giro».
«Mistero!»
Cercai subito di deviare dal discorso puntando i riflettori sull’amico sudamericano.
«E che tipo di poesie scrivi, Cayetano? Non dirmi che sei anche tu un realvisceralista».
«Che real? Io scrivo poesie d’amore, di sentimento».
«Oh sì, usa le parole in un modo da far girare la testa, soprattutto alle donne. Com’era quella che mi piace tanto? Quella sul foulard rosso?»
«Il foulard rosso, no?»
«Che stupida. I tuoi versi mi ubriacano. E com’è che faceva?»
«Quando ti vedo sono il toro che vede rosso…»
«Oh sì! Sono il toro che vede rosso e ti carico. Non la trovate eccitante? La sua pagina Facebook piace a oltre tremila persone, per la maggior parte donne. Un giorno che non avevo niente da fare mi sono messa lì a spulciare tutti i contatti. Mi è presa una gelosia…»
«E vi conoscete da tanto?» domandò Louis.
«Ma che saranno… tre mesi? Eh Cayetano?»
«Nooo, almeno cinco».
«Dici che è già passato così tanto tempo? Con i poeti il tempo vola, non c’è che dire. Mi sembrava ieri che sei atterrato da Buenos Aires».
«Era novembre».
«Sì, faceva un tempo terribile e quando ti sei tolto il cappotto avevi quell’altra camicia buffa. Lui ha un sacco di queste camicie strampalate, non è uno che se la tira. Perché potrebbe, sapete? Ha già pubblicato due ottime raccolte di poesie, in Argentina lo recensiscono ovunque e collabora con diverse riviste. Io l’ho fatto venire qua appositamente per presentarlo agli editori e trovarne uno che voglia inserirlo nel proprio catalogo. Qui in Italia dobbiamo smetterla di arrivare sempre con dieci anni di ritardo».
Cayetano le indicò un punto non molto lontano.
«Ilary, vedi che i tuoi amici ci stanno aspettando. Sono lì davanti alla libreria».
«O mio dio, ma è già l’ora? Dobbiamo correre, su!»
Ci lanciò dei bacetti con la mano.
«Scusatemi, ma ho un’altra presentazione. Mi hanno chiesto un racconto a tema culinario per un’antologia che è una specie di ricettario. Un’idea carina, no? È stato un piacere, davvero!»

Si avviò di gran lena sulle sue ballerine di vernice rossa, trascinandosi dietro il poeta a cui non aveva lasciato per un attimo la mano.

***

Attorno a noi non c’era più nessuno. Qualcuno stava ancora defluendo lentamente dall’Officina 1 in direzione del bar dell’Auditorium. Cercavo con gli occhi nella folla la bella copertina a tema impressionista de Il lavoro morbilita l’uomo, ma potevo vedere soltanto smartphone compulsati, pieghevoli stropicciati e confezioni gialle di tabacco da rollare. Davanti alle biglietterie i gruppi stavano infoltendosi e un brusio severo s’alzava come fumo disperdendosi tra gli stormi nel cielo. Era quasi ora delle presentazioni serali, quelle importanti dei big americani e francesi di cui si era parlato per giorni anche in televisione, nelle edizioni pomeridiane del tg regionale. Non eravamo di certo immersi in un’atmosfera elettrizzante: era qualcosa di più simile a una bolla di neon.

Avrei voluto mantenere in silenzio quello sguardo calmo e liquido sulla serata, abbracciando ogni movimento e vivendo l’illusione di ricongiungermi a Miriam, a Ilary, a Elena, a Lisa e al suo romanzo, finanche al foulard rosso del poeta spettro mui caliente e a tutta quella umanità inconsistente e indecifrabile che ci ruotava attorno, per sentirmi uguale a loro fino a desiderare di essere loro (o perlomeno al loro posto), poi Karl sollevò minacciosamente un braccio e per la prima volta mi accorsi che aveva delle dita lunghissime, più del palmo della mano. Sembravano zampe di ragno.

«Guardate là», urlò.
«Dimmi che non è quello che sembra».
«Mi piacerebbe, ma non posso».

Cayetano aveva appena finito di rollare una canna con una mano sola. Con l’altra si teneva aggrappato alla fodera rovesciata e penzolante della tasca dei pantaloni di Ilary.
«Quando è troppo è troppo», dissi. «Dobbiamo fare qualcosa».

CONTINUA (qui tutti gli estratti)

Raimondo Maniero

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