Venerdì terminerà Un karaoke devastante e altre cose verdi che non farò mai più, il ciclo di racconti a tema che i Narrandom Giovanna Giordano, Martina Marasco e Jolanda Di Virgilio hanno scritto per noi. Da lunedì scorso intanto siamo sul loro blog, la parola che ci guida è il caso. Dopo Andrea Frau, Francesco Quaranta: oltre a tracciare “le differenze ontologiche tra il caso lì e quello nella nostra realtà“, Gaia è “l’incontro di due realtà generative, è un’ipoteca sulla vita come la intendevamo prima dell’avvento dei nuovi piani delle idee dovuti alla tecnologia, un esperimento, di lingua e di pensiero, sulle diverse sfumature che assume il caso in due dei piani che oggi può, l’uomo, attraversare.”
Nell’immagine: il logo di Narrandom rifatto molto bene da Marco Cabras.
Non tornavo alla piana di Gaia da almeno novanta lune.
È il suono sintetico di onde elettroniche ad approdarmi su queste terre. Torno ramingo dopo stagioni passate a inseguire la stabilità, a sperare in un racconto sviluppato quotidianamente. Osservare le nuvole e i voli degli uccelli, una testa poggiata sul petto, e illudersi di dare un senso all’avvenire.
Finalmente la piana selvaggia mi accoglie, mi abbraccia i polpacci con la carezza cruda delle erbacce, doma il cuore con la sua immensità. Questa cupola screziata di stelle preme sull’anima e svuota lenta i polmoni. Solo il sudore e il sangue delle creature della piana possono darmi conforto.
Qui la sopravvivenza è questione di calcolo matematico.
Il sole spezzettato in pulviscolo si agita sulla mensola di legno, il fiatone della ventola di raffreddamento nuota nell’afa di un agosto adulto, la PlayStation è macchiata di unto antico, ormai residuo fossilizzato, un po’ la stessa fine fatta dall’adolescenza. E poi le else del joypad, la sua risposta un tantino ritardata, un adattamento muscolare ben più collaudato di quello con il volante.
Ci si può far distrarre da una malinconia?