ROCK CRIMINAL #23: SOULJA SLIM

pistola

Demonia, Pistola

Charles “Buddy” Bolden, Ylenia Carrisi, Alexander Masakela, Johnny Thunders, Willy DeVille, Shannon Hoon, Soulja Slim e Garrelle Smith hanno in comune New Orleans, la città del diavolo. E il gioco del diavolo è chiaro, no? Solo Demonia poteva illustrare la nuova puntata di Rock Criminal, la rubrica di Sergio Gilles Lacavalla dedicata alle storie nere del rock e dintorni.

New Orleans è abitata dal diavolo. Cambia spesso indirizzo e ama i luoghi occupati dai musicisti. Musicisti sconosciuti. Musicisti famosi. Glorie sul viale del tramonto e stelle emergenti. Non fa differenza. Quello che conta è il contratto che instaura con il suo inquilino. Spesso senza che l’interessato ne sia consapevole. Avviene così. Un giorno ti ritrovi coinvolto, ed è uno spasso, diciamolo, alcol, droga, sesso, a volte soldi, ore piccole e veloci, musica che sconvolge, sconvolge ogni cosa. E un altro sei morto o impazzito.

Prendete Charles “Buddy” Bolden, bene, finì i suoi giorni al Louisiana State Insane Asylum di Jackson prigioniero della schizofrenia. Morì il 4 novembre del 1931 e fu seppellito all’Holt Cemetery, il cimitero dei poveri di New Orleans, con il diavolo che si giustificava dicendo che se non fosse stato per lui nessuno avrebbe, di fatto, inventato il jazz. Proprio così: merito della follia che gli aveva inoculato nel suo strumento, nota (che non sapeva leggere, ma si sa, il diavolo fa magie) dopo nota, dose dopo dose, bicchiere dopo bicchiere. Roba buona quella per i musicisti. Il jazz a New Orleans è dei posseduti. La musica è per gli invasati. È un amore intossicato, il diavolo a fare da terzo incomodo. Colui che dirige la relazione. Il rovina famiglie.

Quella del noto cantante di musica leggera italiano Al Bano Carrisi e di sua moglie, figlia della Hollywood più glamour, Romina Power, cantante anch’essa, fu incrinata dal dolore e dal vuoto, dai dubbi insopportabili per la scomparsa della primogenita Ylenia che non tornò più da un viaggio nella città della Louisiana. Appena arrivata, l’ultimo dell’anno del 1993, prese una stanza al Le Dale Hotel con un musicista di strada chiamato Alexander Masakela. Il 6 gennaio successivo, lasciò la camera e da allora nessuno l’ha più vista. A parte un testimone, Albert Cordova, guardiano notturno dell’Audubon Aquarium of the Americas all’1 di Canal St, che ha affermato di averla vista gettarsi quella sera dell’epifania, verso le undici e mezza, nel Mississippi e da lì non venire fuori.

«Appartengo alle acque», sembra avesse detto Ylenia prima di lanciarsi nel fiume. Si disse ripetutamente, e lo pensò anche la polizia, che la colpa fosse di Masakela. Lui parlava con i demoni del Vudù. Non aveva bisogno della stupida bamboletta, la Dagida, su cui conficcare gli spilloni per fare un maleficio. La sua tromba evocava ogni spirito della distruzione. Sempre pieno di stupefacenti da donare alle giovani donne con cui si accompagnava. Fu denunciato da un’ex fidanzata per stupro. Aveva un’influenza negativa su chiunque. Ti manipolava. Ti soggiogava. E eri in trappola. Malgrado le brutte maniere, ti riusciva difficile stargli lontano. Il diavolo che alloggiò nell’albergo da 26 dollari a notte al 749 di St Charles Avenue nel Quartiere Francese, si sedeva su un lato del letto e lasciava fare. Guardava. Anche Alexander Masakela sparì nel nulla di New Orleans, la città con il più alto numero di casi di scomparsi negli Stati Uniti. La sua parte l’aveva fatta. E bene. Non c’è che dire.

Il diavolo ha una predilezione per le sordide stanze d’hotel della Vieux Carré. Il 23 aprile del 1991 prese la chiave della camera numero 37 della St. Peter’s House, al 1005 dell’omonima strada, e si godé la morte del rocker Johnny Thunders, ormai ridotto a uno zombi dalla tossicodipendenza. New Orleans, in quanto a morti viventi, è il posto ideale. L’ex New York Dolls e Heartbreakers tirò le cuoia con un’overdose d’acido in vena e metadone. Lo trovarono piegato in due tra le fialette vuote di quest’ultimo sul pavimento, ore dopo che una cameriera dell’albergo dagli esterni cremisi l’aveva sentito gridare cose insensate in preda alle allucinazioni. Il diavolo non rispondeva alle urla e gli ficcava la testa nel fondo delle sue mostruose visioni. L’anticamera dell’Inferno.

Sable Starr, la sua ex ragazza, luccicava con un occhio nero e un labbro spaccato, senza un dente, il sangue le colava dalla bocca. Se ne stava lì a scopare con chiunque e lui non riusciva a capire chi fossero i suoi amanti e la riempiva di lividi, lei allora fotteva ancora di più, con frenesia e divertimento ridendogli in faccia, piangendogli in faccia, venendogli in faccia mentre abortiva il loro bambino intanto che lui le strappava l’agenda con gli indirizzi di tutte le rockstar che si era fatta, che se l’erano fatta, una pagina alla volta e lei gli sputava sul viso il sangue diventato un fiume, gli riempiva la gola, sembrava avesse il sapore degli orgasmi della reginetta delle groupie. Sable Starr sporca e sgualcita gli diceva di leccarlo, di leccarlo ovunque, sulla bocca, sugli zigomi, dalla fronte, strabordava dalle vene aperte dei polsi e si mischiava al fiume di umori e urina, se la faceva sotto con disprezzo e senza nessun controllo, piangeva e rideva e gli urinava addosso droga e sofferenza per averla ridotta così. «Guarda come mi hai ridotta, sarai contento ora!» «Non volevo. Io ti amavo. Perdonami, Sable amore mio». Ma lei non lo ascoltava e gli distruggeva la Gibson Sunburst del ’57. Gli occhi sbrodolavano mascara nerissimo, mentre si masturbava con un pezzo della chitarra fino a lacerarsi il sesso. Il mascara stava rendendo tutto buio: c’era solo l’odore di fiume, sangue, droga, make up scaduto, profumo da quattro soldi, piacere marcio, urina e paura.

Ci fu chi parlò di suicidio. Forse l’overdose fu solo accidentale. O magari si trattò di un omicidio nel giro degli spacciatori che l’avevano ammazzato con la roba, facendogli passare l’acido sbriciolato per cocaina da farsi in vena. Non avevano altro da dargli e dovevano pur vendergli qualcosa. E lui era andato fuori di brutto e si era fatto il metadone per uscire da quello stato, tanto metadone, peggio dell’eroina, ma senza capacità di controllo nel dosaggio. Ucciso perché aveva molti soldi dietro ed era uno straniero; si disse che avesse con sé diecimila o ventimila dollari. Furono trovati sparsi nella stanza solo pochi spiccioli e qualche banconota, alcune giapponesi del suo recente per una volta fortunato tour in Estremo Oriente. Per Dee Dee Ramone gli avevano iniettato l’LSD per rubargli le scorte di metadone che si era portato dietro perché stava provando a disintossicarsi un’altra volta, dopo due fallimentari ricoveri nella clinica di Halzenden. Era arrivato quel giorno a New Orleans per stare lontano dal suo abituale giro di spaccio newyorkese e con l’intento di mettere su una band locale con la quale registrare un disco acustico di blues. Che ingenuo. Che stupido. Come se non sapesse che lì era domiciliato il diavolo.

Willy DeVille, che abitava a pochi passi da là, appena a due vie di distanza dalla centrale Bourbon Street, fu chiamato per liberare la stanza del suo amico, dopo che la polizia e l’ufficio del coroner avevano fatto portare via il cadavere già in avanzato rigor mortis. Non si accorse del diavolo – ma probabilmente se ne era già andato, cosa ci stava a fare ancora lì?

Il diavolo che a Willy DeVille aveva tolto i denti con l’eroina e gli ucciderà l’amore. Lo inseguirà fino alle Cerrillos Hills nel New Mexico per portargli via la seconda moglie. Lisa Leggett si impiccherà nel 2001: non aveva resistito al tradimento del marito con quella che sarebbe diventata la sua terza consorte, Nina Lagerwall. Il rimorso. La corsa di Willy in macchina verso il burrone più ripido e più blu delle colline minerarie del Nuovo Messico e un camion che lo ferma in uno schianto sulla fiancata dell’automobile rompendogli un braccio e un ginocchio. Il diavolo aveva deciso che non era ancora il momento di pagare il conto. Si ricorderà di lui uccidendolo per mezzo di un cancro al pancreas la notte del 6 agosto del 2009 in un ospedale di New York. Willy ripensò fino all’ultimo ai suoi amori andati a male e gli venne in mente, in un amaro sorriso, anche quello mai realizzato di Johnny Thunders con Bebe Buell. Non se l’era mai scopata, gli confidava Thunders con malinconica rassegnazione. E lei, sul suo cadavere nella bara prima della sepoltura, alla veglia funebre, glielo rimproverava allo stesso modo di una sera di poco tempo prima al Limelight quando gli disse: «Perché non l’hai fatto con me, eh Johnny? Perché non l’abbiamo mai fatto?» E lui le rispondeva che erano sempre in tempo, no? Anche se lei lo sapeva che ormai era tardi. Ne erano coscienti entrambi. Forse Johnny era anche malato di leucemia, e della tristezza del fallito. “Be’, è proprio così che vanno le cose. Questa città è così fredda. E io sto… sto così così. Ecco perché lo so (dico hey), sono nato per perdere. Nato per perdere. Baby, io sono nato per perdere. Niente da fare. Niente da dire”, aveva cantato in “Born To Lose”. Sì, non c’era altro da dire. L’inferno è il rimpianto. Al diavolo piace farti giocare male le tue carte. Ama i perdenti e ti trova ovunque tu ti nasconda.

La mattina di sabato 21 ottobre 1995 va a trovare Shannon Hoon, che con i Blind Melon avrebbe dovuto suonare la sera stessa al Tipitina’s al 501 di Napoleon Ave. Anche lui era appena arrivato a New Orleans. Nonostante una fidanzata, Lisa Crouse, e una figlia, Nico Blue, splendide, preferì la compagnia della cocaina gentilmente offerta dal demone della Louisiana. Lui ti dà soltanto amanti da amare fino alla fine. Quella fu la fine. L’ingegnere del suono del gruppo, Lyle Eaves, lo trovò morto per overdose sul tour bus. Qualcuno ha detto di aver visto la buffa ragazzina vestita da apetta sulla cover del primo disco della band e che danzava per le strade e i prati nel video di “No Rain”, togliersi gli occhiali e sedersi sul prato a piangere. Intanto che il diavolo cercava un altro indirizzo utile.

Manicomi, stanze d’albergo, case, camper. A un certo punto serviva un intero quartiere da abitare e dal quale guardare la città. Già dagli anni Quaranta del Novecento l’assessorato all’urbanistica aveva provveduto a edificare quello che sarà chiamato Magnolia Project, un capolavoro di degrado e criminalità che vedrà sul finire degli anni Novanta e i primi del Duemila il suo massimo splendore di violenza e morte. C’era da sguazzarci tra Glock, stupefacenti e musica rap. Situato su Central City nell’Uptown di New Orleans, chiuso tra Louisiana Avenue, South Claiborne Avenue, La Salle Street e Washington Avenue, il quartiere vide la discesa del suo Johnny Favorite, o, se volete, del suo Harry Angel, nelle sembianze di Garelle Smith.

“L’uomo senza testimoni ha ucciso ancora”, intitolarono i giornali al suo quarto omicidio. Il primo fu quello del più importante rapper del Magnolia, James Adarryl Tapp Jr., in arte Soulja Slim. Al diavolo piace scherzare e per la sua morte scelse il Giorno del Ringraziamento, la festa americana più sacra e timorata di Dio. È il 26 novembre del 2003 e Soulja Slim viene colpito da tre proiettili al volto e uno al torace davanti alla casa che aveva comprato alla madre, Linda Porter Tapp, e al patrigno, Phillip “Tuba Phil” Frazier della Rebirth Brass Band, una celebrità a New Orleans, al 4600 di Lafaye St. nel quartiere di Gentilly. Proprio adesso che con il rap stava facendo i soldi, ormai era un nome nell’ambiente del dirty south, e si teneva lontano dall’eroina, dalla cocaina e dai guai che gli avevano procurato cinque anni di carcere per rapina a mano armata, furto d’auto, spaccio di droga, violazione della libertà vigilata e due attentati dai quali era uscito con cicatrici al torace, alle braccia e a una gamba.

Non si è mai saputo chi gli sparò. Non era di certo stato Garelle Smith. Lui aveva dalla sua il diavolo che non gli faceva sprecare un colpo. Alle cinque e quarantacinque del mattino, al ritorno da una serata in un club cittadino, Soulja Slim si ritrovò senza la propria pistola dimenticata nel SUV e con quella del sicario puntata davanti che esplose i suoi colpi. Garelle Smith se ne andò con diecimila dollari in tasca (il prezzo della commissione della quale non si saprà mai il committente) e nuovi incarichi. Un altro rapper, anche se di minore caratura, sarebbe rimasto vittima dei suoi proiettili. Spencer “Funk” Smith Jr. sarà freddato lo stesso anno con le stesse modalità. L’11 dicembre il suo corpo martoriato da numerosi colpi di arma da fuoco sarà rinvenuto accasciato sul sedile di un furgoncino sulla St. Bernard Avenue. Medesima sorte quattro anni dopo per un altro rapper – a essere precisi sarebbe meglio dire aspirante rapper – e spacciatore di professione, Mandell Duplessis, trovato trucidato il 4 agosto ancora a Gentilly, e per Terry Brock, un ventiduenne che il 2 aprile uscendo dal Duck Off Nightclub su AP Tureaud Avenue fu investito da una raffica di pallottole. Non si è mai capita la vera ragione di questi omicidi. Si parlò di rivalità nell’ambiente dell’hip-hop, ma nessuna in grado di giustificare tanta violenza.

Il gangsta rap di New Orleans, almeno quello rappresentato dalle vittime, non era al livello economico e di successo di quello della West Coast e di quello della East Coast, l’astio tra le etichette del southern rap non si poteva paragonare alla faida tra la Death Row Records e la Bad Boy Records culminata con gli assassini delle due superstar Tupac Shakur e Notorious B.I.G. Voglia di emulazione di un recente passato che proprio nella morte era già diventato leggenda? Possibile. Quando canti ripetutamente di pistole e omicidi di negri e bang! bang!, puoi anche aspettartelo, dissero in molti. Rancori nel giro della criminalità da cui non ci si riusciva a sottrarre? Forse.

Garelle Smith ogni volta verrà arrestato per omicidio e poi rilasciato perché su di lui il New Orleans Police Department non troverà mai nessuna prova certa né testimoni. Garelle Smith è invisibile. Si muove nella città deserta. Ha superato indenne l’uragano Katrina. Garelle Smith è colpevole, è cosa risaputa. Ma la giustizia di New Orleans riesce solamente a incriminarlo per altri reati come porto abusivo d’armi, droga e violazione di domicilio e della libertà vigilata, e anche in questi casi dovrà farlo uscire di prigione dopo breve tempo. “La polizia e il sistema giudiziario sono inetti, questo è il motivo”, accusarono molti quotidiani. Ci penserà il diavolo a mettere le cose a posto. Sabato 15 agosto 2011, gli agenti della omicidi trovano, riverso sull’asfalto di Hamburg Street, Garelle Smith ucciso da alcuni colpi di pistola sparati al viso e al petto. Proprio come Soulja Slim. Nello stesso quartiere. Voleva diventare anche lui un rapper. Nessun testimone. Il gioco del diavolo è chiaro, no?

Sergio Gilles Lacavalla

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