
Andrea Frau, il ragazzo sardo con gli scovioni (RIP)
GATTINI™ notturno. Domani Andrea Frau, L’uomo con gli scovioni in testa, non sarà a Firenze con noi (RIP), ma faremo finta di sì (leggeremo in memoria un suo inedito). È ancora venerdì, è allora? Miao.
Raffaele Mallo si svegliò e come tutte le mattine andò allo specchio a debellare i suoi scovioni.
Aveva cominciato a chiamare così, “scovioni”, quei ciuffi di capelli impennati, tipo alettoni, che gli si formavano in testa. Dormiva di lato Raffaele, o meglio, da entrambi i lati, perché si rigirava continuamente durante la notte, e così, questi vortici di capelli, questi spuntoni a forma di comignolo, apparivano ogni mattina sulla sua bella testa in maniera simmetrica.
Ci aveva combattuto fin da bambino, gli scovioni non avevano più alcun segreto per lui. Per prima cosa aveva trovato un modo per chiamarli: come puoi combattere un nemico senza nome? Provò a dormire con delle cuffie, con copricapi, perfino una retina nera da ventennio, acquistata in un negozio di maschere di Carnevale. Una notte si sentì ridicolo a dormire con un sombrero. Era tutto inutile: sembrava che gli scovioni surfassero sul mare increspato dei suoi capelli.
Erano delle creste punk che detonavano nel silenzio dell’Abbazia di Westiminster.
Negli anni aveva sviluppato una tecnica, un abile gioco di acqua, pettine e phon, che ogni giorno gli portava via un quarto d’ora. Metteva la testa sotto il rubinetto, con acqua tiepida, e intanto modellava e frizionava con i polpastrelli, appiattiva e stirava quei ciuffi, a dir poco ribelli, ciuffi sediziosi, eversori dell’ordine costituito. E poi con il phon nella mano destra e il pettine in quella sinistra, cominciava l’attività di sminamento e stanamento dei ciuffoni anticonformisti. Il suo era un rastrellamento da Terzo Reich, spietato e scientifico; qualche ciuffo nascosto in cantina magari scriveva un diario. A volte aveva voglia di avvelenare i pozzi, mettere il sale per evitare una loro ricrescita, gettare napalm, lacca e gel al fosforo, per impedire una nuova ricomparsa dell’humus, strappare un capello di netto e attaccarlo con lo scotch allo specchio, come intimidazione.
Quando per strada gli capitava di vedere qualcuno con il suo stesso problema, passeggiare incurante, scuoteva la testa, disapprovava, l’avrebbe ucciso: Oh, quanta inconsapevolezza, che essere tronfio e volgare! Eh guarda quell’altro: ha voluto rimediare con della brillantina, così facendo ha solo evidenziato e reso più lucida quella mostruosità! Un’insegna al neon al circo dei freaks! Ci manca una freccia sotto, perché non portarci dei fiori allora, delle scolaresche in gita ad ammirarlo? Ridicolo! Ma non c’è più il reato di violazione del pubblico decoro? Se un uomo non riesce a tenere in ordine, sull’attenti, i suoi capelli come può pretendere di ricevere considerazione dai suoi colleghi o una qualsiasi forma di rispetto nella società?
Da bambino in preda a una crisi di nervi estirpò con le forbici tutti gli scovioni, piangeva e tagliava, prese la macchinetta per radere al suolo i focolai di ribellione, più tagliava più gli sembrava di notare imprecisioni. Raffaele era un anoressico del capello. Prese una lametta e raschiò la cute fino a che non comparve del sangue; quel cuoio capelluto andava scuoiato, quel bulbo pilifero andava sradicato. Avrebbe voluto arrivare al cervello per strappare via quella sua ossessione nell’esatto punto della sua formazione.
Lo ricoverarono, andò in cura per un paio d’anni e ne uscì più consapevole. Che bella che era quella fasciatura in testa! La adorava, pensò d’aver trovato la soluzione: si sarebbe causato continue contusioni, traumi cranici, avrebbe vissuto fasciato per l’eternità. Ma no, abortì subito il pensiero: per quanto risolutivo non era fattibile. Imparò a governare la sua mania e soprattutto imparò a non farne menzione con nessuno. Però, per quanto facesse finta di nulla, sentiva i ciuffi complottare, agitarsi, organizzarsi, serrare le fila; un comandante faceva l’appello e loro ritti sull’attenti a dir: presente! Prima o poi sarebbe arrivato il redde rationem: lo scontro finale!
Ma un giorno Raffaele Mallo si volle liberare: non fece nulla, neanche un rapido appiattimento col gel. Uscì di casa per andare in ufficio con gli scovioni che fieri, ritti al sole come becchi di pellicani, si cibavano finalmente dell’aria, voraci di libertà, senza più camicie di forza e letti di contenzione. I bambini sul tram indicavano, affascinati, dicevano: «Guarda mamma, sembra il profilo di Topolino!» «No, sembra un caminetto, ma senza Babbo Natale», ribatteva l’altro, «O Babbo Natale senza caminetto», chiosava dubbioso. I genitori redarguivano i figli: «Non guardate, è maleducazione, smettetela…» Ma dopo poco ai piccoli si aggiunsero i grandi: «No, guarda, sembra un grafico azionario!» «Macché, sono i cerchi concentrici che si formano in un pentolone di sugo!» «Ma per favore! Sono le forme sinuose della mia amata Clotilde!» «Signori, non siate ridicoli, che vi prende a tutti? È chiaro che riproduca La Madonna col bambino, l’incisione del Mantegna!»
Poi ci fu chi vide scolpita nella sua testa la proiezione dei propri sogni, chi i cari defunti, e chi sostenne che quei vortici di peluria prevedessero il futuro, modellando avvenimenti che sarebbero successi di lì a poco, come una trapunta commemorativa.
Erano tutti lì, seduti a terra, che cercavano di scoprire una forma sulla testa di Raffaele, così come si fa con le nuvole. Raffaele era il loro cielo, e se ne stava lì, seduto e sorridente.
Un signore distinto, in disparte, lo osservava sospettoso: «Sa cosa ho fatto. Quella è la faccia di Michele, sa che l’ho ucciso…» Vicino a lui un comandante militare aveva riconosciuto negli scovioni il progetto top-secret di un’arma nucleare; era un prototipo che se fosse caduto nelle mani nemiche, o peggio degli alleati, avrebbe potuto rovinare intere carriere, eh sì, certo, costato molte vite umane.
Mentre Raffaele stava beato, a narrare le sue favole pelose, come un cantastorie medievale, i due uomini gli si fiondarono contro. Gli scovioni, intuito il pericolo, cominciarono a vorticare velocissimi, come eliche, così Raffaele si staccò da terra e i due aggressori si scontrarono, cadendo tramortiti. Raffaele, in balia degli scovioni, chiuse gli occhi, come arreso, o sedato. Quegli ammassi villosi richiamarono tutti i capelli con un inquietante suono di sonagli, un tintinnio cupo e vibrato e si avvinghiarono e annodarono alle teste di tutti. I passeggeri erano preda della morsa tentacolare. Non si vedeva più un inizio o una fine. Era inutile dimenarsi da quella presa da cobra. Un anziano pelato, a quel punto, con un filo di voce, disse:
«Gli scovioni dipingevano i contorni delle nostre ossessioni».
I nodi si sciolsero, lentamente gli scovioni si ritrassero, la gente tornò a respirare. Mentre le persone riprendevano colore, Raffaele uscì dal tram e volò via con le sue eliche irsute, liberando dalle proprie ossessioni chi volle. Una manciata di persone glabre da sensi di colpa lo guardò allontanarsi con gratitudine.