ROCK CRIMINAL #14: ZAPP

Rock Criminal è la rubrica di Sergio Gilles Lacavalla dedicata alle storie nere del rock e dintorni. Solo morte il 3 marzo 2012: c’è un cadavere in un appartamento sulla West Minnehaha Avenue, St Paul. È Carolyne Leete. L’assassino è Brent Lynch: nelle sue vene scorre il sangue marcio dei fratelli Troutman, che con gli Zapp “avevano guardato il dancefloor dall’alto dei primi posti in classifica.”
Fotografia di
Federico Arcangeli (Where is my mind?)

«È sangue cattivo», disse la vicina di casa di Brent Lynch Troutman agli agenti di polizia arrivati al blocco 800 di West Minnehaha Avenue dopo la sua chiamata. «Quello che circola nelle vene dei Troutman è sangue cattivo. Prima il padre riempito di proiettili dal fratello, poi il primogenito ammazzato a colpi in testa, all’ospedale dissero che morì in seguito alle lesioni provocate da un incidente, ma lo uccisero, non si è mai saputo chi sia stato e per quale motivo, ma è certo che lo fecero fuori a botte, lo sanno tutti, chissà in che giri stava; e ora quest’altro figlio disgraziato che massacra la fidanzata. Sangue marcio, datemi retta, agenti. Sangue marcio».

La donna scosse la testa e si portò le mani alla bocca quando condussero fuori il cadavere della trentaduenne Carolyn Leete sigillato con la chiusura lampo nel freddo sudario di plastica della morgue. Le macchine della polizia con le sirene in silenzio ma ancora illuminate, il carro funebre che apriva mesto e professionale le porte posteriori, i paramedici con i guanti, gli abitanti della via in strada, curiosi, increduli, alcuni se lo aspettavano, prima o poi, quante urla provenivano da quella casa, quanti insulti, quanti pianti, minacce, rumori sordi, rumori di percosse, i detective in borghese con il distintivo alla cintura e la scientifica in tuta sterile che facevano avanti e indietro dall’abitazione. I nastri per delimitare la scena del delitto. A un certo punto qualcuno accennò, assente, come in un riflesso condizionato, uno dei successi degli Zapp. Ma tacque subito: c’era troppa vita in quella musica. Solo morte il 3 marzo del 2012.

Nella residenza di St. Paul restava, sul muro dietro al letto dove fu trovato il corpo esanime e mezzo svestito della ragazza, uno strano dipinto astratto composto da una macchia irregolare di sangue di circa dodici pollici contornata da tanti altri piccoli schizzi dello stesso liquido. Sangue innocente per un affresco che si componeva a ogni colpo che arrivava sulla testa della giovane donna: sulla bocca, sul naso, sulla tempia, sugli occhi da cui uscivano lacrime rosse e nere di mascara diluite dal pianto e dalla paura. Dal dolore e dalla fine del futuro. Sembrava un test di Rorschach che dava come risultato lo squilibrio mentale. Forse solo la crudeltà. La brutalità. L’uomo che la colpiva aveva ventotto anni, il passato immerso nella fama di famiglia e nel lutto e il sangue avariato che gli era arrivato alla testa impedendogli di ragionare. Soltanto rabbia cieca e senso di onnipotenza. Come altre volte. Solo che questa volta quel sangue cattivo che lo aveva portato a ricevere varie denunce per violenza domestica, lo aveva spinto al limite, conducendolo all’omicidio. Pompava nelle vene del cranio e dei polsi, delle mani serrate a pugno. Lo sguardo spalancato e carico di odio. Affogato nell’odio. Non si poteva tornare indietro. Il sangue spingeva. Era inarrestabile.

«Non volevo», disse lui in lacrime mentre la polizia lo tirava fuori da un taxi sul quale vagava in fuga dalla legge e da se stesso, smarrito per la città che si mostrava alterata nei suoi edifici opprimenti, che da un momento all’altro gli sarebbero precipitati addosso, e nelle strade che incrociavano il nulla. Nei volti della gente che lo accusava. «Era ubriaca», disse. Non era vero, accertarono le analisi. «Non capiva più niente. Volevo solo calmarla, solo una spinta, o non so cosa, e lei ha sbattuto la testa». Bugiardo. Bugiardo, stupido e cattivo. Vile. C’era una maledizione che gravava sulla famiglia Troutman e sì, proprio qualcosa di malato, di molto malato: sangue di funk shakerato nella follia. Una bevanda inebriante e tossica che guidava alla gloria. Deviava verso la rovina. Gli Zapp avevano guardato il dancefloor dall’alto dei primi posti in classifica. I giovani americani e non danzavano sulla voce alterata dalla talk box di Roger, e lui gli parlava di amori da discoteca e da computer. Baci e sudore. Corpi sinuosi. Lunghi amplessi. Sveltine nei bagni. Poi l’amore finì, i corpi barcollarono con passi pesanti e incerti e nel pavimento si aprì una voragine enorme che risucchiò due di loro lasciando i superstiti ad attraversare a testa china e pieni di vergogna e sgomento quel che restava della pista da ballo per raggiungere il campo santo dove seppellirono Roger e Larry. Intonarono una canzone nella cannuccia della talk box che ora sembrava il tubo di una macchina da rianimazione attaccato a una vittima già spirata. Un soffio sinistro tra i cipressi. Affannato. La voce distorta era la voce dell’oltretomba.

È il 25 aprile del 1999. Una macchina è accostata non lontano dagli studi di registrazione di proprietà di Roger Troutman. Pochi isolati più in là. In una zona tranquilla. Non passa mai nessuno. La polizia si avvicina perché quella è l’automobile che qualcuno ha segnalato. «Ci sono stati dei colpi di arma da fuoco. Non saprei dire quanti, ma alcuni. Venivano da lì, agente. Poi ho visto una macchina allontanarsi», dichiara un testimone. Dentro c’è Larry. Accasciato sul sedile di guida. È morto suicida. Un colpo di pistola alla testa con la sua automatica. La stessa che aveva sparato poco prima. Era una domenica mattina, intorno alle sette, gran parte della gente dormiva ancora. L’aria è fresca, le strade silenziose, Roger, membro fondatore e leader degli Zapp, sta andando a lavoro nello studio di Dayton (o forse ci ha passato la notte a registrare e adesso è appena uscito, non si sa), quando arriva suo fratello maggiore. Gli spara al torace. Vari colpi. Da pochi passi di distanza. La distanza infinita che ormai li separa. Una discussione accesa, una lite. Il rancore accumulato che esplode. Nessuno può dirlo. Nessuno ha sentito urlare. Solo spari. Risale in macchina. Si allontana quel tanto che basta per maturare il rimorso. Per farsi accompagnare da questo. Il rimorso gli ricorda perché lo ha fatto. Ma è confuso e interrogativo quanto lui: il fatto che Roger non lo voglia più a gestire gli affari del gruppo e la sua carriera solista è una ragione legittima?

(Quanta invidia per quel successo da solo che lo aveva reso così superiore a tutti gli altri, ma non basta, non basta neanche questa invidia che gli si smuove dentro, gli toglie il respiro; che poi pure quel successo ormai pareva giunto alla fine. Finito da tempo quello degli Zapp. Finiti gli Zapp).

È sufficiente che suo fratello abbia l’intenzione di estrometterlo dall’impresa immobiliare di loro proprietà? Non dimenticarti bello che è il prodotto anche dei guadagni della band. E io ero parte della band. Una parte importante, se mai te ne fossi dimenticato. Un buon motivo per ucciderlo? Non c’è motivo. Comunque non ce n’è uno valido. Questa è la verità, gli ricorda la sua coscienza. Hai la mente contorta, gli dice, ecco, cosa vuoi farci. Gli fa segno di accostare. Allora perché l’ho fatto, perché ho la mente contorta? Oh che ne so: forse è per il tuo sangue marcio. Deve essere per questo. Non vedo altre possibilità. Siete tarati voi Troutman. Dalla nascita. Non mi viene in mente un’altra ragione: ta-ra-ti. Scandisce bene la parola. Con il sangue cattivo. Hai ancora un colpo.

Al Good Samaritan Hospital and Health Center, i medici cercano di salvare Roger. È inutile. Muore sotto i ferri. Larry si è già sparato. A Dayton, nella contea di Montgomery, non distante da Hamilton, nell’Ohio, dove i quattro fratelli Troutman erano nati e avevano dato vita agli Zapp, battezzati da George Clinton dei Parliament e dei Funkadelic. Dove avevano cominciato a pompare il loro sangue in un disco senza sospettare che presto avrebbe sviluppato quella malattia congenita.

Il giudice distrettuale Robyn Millenacker del tribunale di Ramsey County condannerà Brent Lanier Lynch Troutman a trentadue anni di carcere. Uno per ogni anno della sfortunata ragazza.
Dovettero ritinteggiare la parete per togliere quelle macchie di sangue.

Sergio Gilles Lacavalla

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