NOI COME CITTADINI, NOI COME ANONIMA: ALTA INFEDELTÀ

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Andrea Sacchetti, 42 mostri

Spionaggio industriale, droni, religione, intelligenza artificiale, e apocalissi tecnologiche: Noi come cittadini, noi come Anonima, dice Vinicio Motta, “è una roba strana che potrei definire cyber-teocon”. E aggiunge: “Ovviamente lo schifo non è essenziale alla storia, è solo una possibilità-alternativa”. Ovviamente.
Il primo capitolo, Alta infedeltà, è accompagnato da una illustrazione di Andrea Sacchetti.

Io e Anonima ci stringiamo la mano.
«È un vero piacere incontrarti», dico all’uomo che stimo essere sulla trentina.
«Anche per il collettivo lo è. Seguimi».
«Attraversiamo la strada sulle strisce pedonali, quindi, raggiunto il portico di fronte, svoltiamo a destra e percorriamo una trentina di metri di marciapiede affollato, per poi imbucarci in un vicolo pedonale deserto.
«Ti ricontatteremo noi», mi dice l’attivista porgendomi una chiavetta USB.
«Non vi deluderò». Prendo la chiavetta con la mano sinistra, torno a casa e ripasso a mente le fasi della missione che mi aspetta…
Ricordo tutto. Penso di essere pronto.

Lo smartphone squilla. Un numero di cellulare sconosciuto. Potrebbe trattarsi di Anonima… Accetto la chiamata.
«Pronto?»
«Ciao Mattia», risponde un’anziana e rassicurante voce familiare.
«Ehm, salve. Con chi parlo?»
«Sono Papa Francesco».
Il Papa che telefona a un anticlericale militante? Figuriamoci. Per curiosità, decido comunque di stare al gioco. «Buonasera a lei».
«Diamoci del tu, figliolo. Credi che gli Apostoli dessero del lei a Gesù?»
Interrompo la chiamata, bestemmio Dio, e lancio lo smartphone sul divano: la mia tolleranza verso la Chiesa Cattolica Apostolica Romana in generale ha già toccato il suo limite.

Il tramonto è vicino, è quasi ora di cena. Non ho fame, però.
Assonnato, chiudo gli occhi. Quando li riapro, fuori è buio pesto.
Sono le cinque del mattino. Posso continuare a dormire.
Penso alla telefonata del Papa… Realtà? Sogno?
Mi riaddormento.
Due ore e la sveglia suona.
Sono galvanizzato: oggi comincia la mia prima missione per Anonima.
Mi alzo dal divano e mi affaccio alla finestra. Osservo con ira il cielo brulicante di droni.
Camomilla e sigaretta: ira debellata. Seguono doccia e vestiti, quindi ufficio.
Pausa pranzo, mensa aziendale. Tra un boccone e l’altro, io e il mio collega Simone parliamo di onde gravitazionali.
«In pratica», dice Simone, «il tempo è come il mare… può incresparsi
Ho sempre pensato che il tempo fosse un’illusione. E invece, a quanto pare, è reale come il polpettone che sto mangiando. Una catena in più da spezzare, come se la prigione della realtà non fosse già abbastanza stretta.
«Straordinario», commento.

Alle quattro e mezzo del pomeriggio, la mia missione per Anonima inizia senza problemi: la chiavetta USB che mi è stata affidata svolge il suo lavoro senza che l’azienda si accorga di nulla.
Rientro a casa soddisfatto.
Otto meno un quarto di sera: bussano alla porta. Guardo attraverso lo spioncino e apro.
È Maria Antonietta, la mia attuale compagna di scopate.
Lei sorride ed entra.
Me la scopo immaginando che la sua fica sia la basilica di San Pietro in Vaticano. Le vengo sulla pancia e poi le infilo il cazzo ancora duro in bocca, affinché me lo ripulisca dai residui di sperma.
Alcuni minuti dopo, mentre sono in bagno a lavarmi i denti, dalla camera da letto arrivano in sequenza uno squillo incompleto del mio smartphone e la voce indistinta della mia partner sessuale.
Corro da Maria Antonietta e le strappo via il mio cellulare. Una voce alterata digitalmente mi dice che molto presto riceverò nuove istruzioni da parte di Anonima tramite la consueta app di messaggistica istantanea a cifratura end-to-end. La telefonata, a questo punto, si chiude.
«Non farlo mai più», dico a Maria Antonietta.
«Fare cosa?»
«Rispondere al mio cellulare».

Vado in cucina a prepararmi un taco; porto lo smartphone con me. Maria Antonietta lascia l’appartamento sbattendo la porta.
Maria Antonietta. Che si fotta, la zoccola. Dice che mi ama. Bugiarda. Se mi amasse come afferma, non lo succhierebbe a tutti quelli che se la filano. Sia chiaro: il suo amore non mi interessa. È una questione di coerenza, la mia. Donna incoerente uguale donna puttana. Semplice.
Ceno, guardo un film in TV, vado a letto.

Il giorno dopo, quando mancano settanta minuti alla pausa pranzo, Simone si avvicina alla mia scrivania e mi bisbiglia: «Notizia fresca fresca: l’ufficio IT ha avviato un’indagine interna».
Sono fregato.
«Sul serio?»
«Emilio ti confermerà».
«Ok, ti credo».
«Sst! Cattaneo!»
Simone torna frettolosamente alla sua scrivania.
Spero che i tizi di Anonima mi ricontattino presto, ho urgente bisogno di sapere se mi stanno proteggendo o meno dai pericoli che sto correndo. Odio avere paura.
Scurissimo in volto e con i capelli arruffati, Ermete Cattaneo, direttore generale della società per cui lavoro, entra nel mio open space.
È qui per licenziarmi, lo sento. Non avrei dovuto fidarmi di Anonima! Ma che mi è saltato in mente? Rischiare lo stipendio per degli anarchici senza identità! Dovrei cominciare ad apprezzare di più le cose che ho.

«Mattia?», mi dice Cattaneo raggiungendomi alla mia postazione di lavoro.
«Sì, dottore?»
«Fiducia e fedeltà», prosegue sottovoce, «sono i cardini dei nostri uffici. Il board ti adora. E non soltanto perché non gli hai mai dato motivo di dubitare della tua lealtà, ma anche e soprattutto perché la fiducia che riponi nei tuoi colleghi è tutto fuorché cieca».
Stanno reclutando spie… Non hanno la benché minima idea di chi abbia violato il server, né tanto meno mi ritengono un sospettato. Meglio di così non poteva andarmi.
«Terrò gli occhi aperti» dico.
Cattaneo lascia l’open space con la stessa espressione funerea che aveva quando è arrivato.
Fanculo il board. E fanculo gli azionisti. Fanculo pure i miei colleghi. Che si lamentano del lavoro senza mai fare nulla per migliorarlo. Fanculo l’azienda nel suo insieme. E il pezzo di terra su cui poggia. Fanculo tutti voi dal più profondo del mio cuore. Amen.

Il resto della giornata di lavoro scorre via tranquillo.
A casa, in cucina, mentre sparecchio, scaglio a terra il bicchiere di vetro che ho usato a cena, mandandolo in frantumi. La mia dannata angoscia di essere scoperto.
Mi fumo una canna, esco a fare due passi.
Ho la sensazione che qualcuno mi stia seguendo.
Vorrei girarmi per averne la certezza, ma è troppo rischioso. Il mio eventuale pedinatore potrebbe reagire male e scegliere di uccidermi.
Leggerezza: di colpo, tutte le mie preoccupazioni svaniscono.
Alzo lo sguardo: in volo un paio di metri sopra la mia testa, due minidroni a forma di corvo.
Riconosco il modello: quei velivoli li produce l’azienda per cui lavoro.
Sento un click.
Davanti a me, improvvisamente, Papa Francesco.
«Mattia, non cedere al pessimismo. Non passare a quella amarezza che il diavolo ti porge ogni giorno, pensa alla certezza di Anonima».
La telefonata papale. I dati da me trafugati in azienda. Tutto comincia ad assumere un senso. O almeno credo.
Un altro click. E il pontefice scompare.
Uno dei droni lascia cadere a terra qualcosa di piccolo e insieme all’altro velivolo prende quota fino a svanire nella notte.
Sono felice: Anonima mi considera ancora uno dei suoi.
Raccolgo l’oggetto fatto cadere dal drone: una colomba bianca di gomma delle dimensioni di una noce.

Torno a casa.
Indosso il pigiama, pulisco la cucina e, infine, mi sdraio sul letto.
Lo smartphone vibra: ho ricevuto un messaggio di Anonima, che leggo immediatamente.
Cosa dicono gli attivisti: che la colombina giocattolo non devo mai e poi mai lasciarla e che, inoltre, devo assistere alla prossima messa del Papa.

Cattedrale di San Giusto. Tre giorni dopo.
La folla attende silenziosa il santo padre, i cui droni da guardia sono già qui.
Nella tasca sinistra dei miei pantaloni: la colombina di gomma che mi ha dato Anonima.
Disagio: questa cattedrale la evito da quando, a sette anni, vidi una suora attempata fare un pompino a un ragazzo down.
Arriva il Papa: la messa ha finalmente inizio.
Durante il commento delle Sacre Scritture, una bambina seduta in prima fila si alza di scatto, si gira verso il pubblico e sogghignando si toglie il cappottinoe lo getta a terra: indossa una cintura esplosiva.
Il Papa interrompe l’omelia.
La bambina mostra con sguardo fiero il detonatore che impugna nella mano destra e urla: «Allahu… Allahu Akbar!»
Dall’abside di Sant’Apollinare, che si trova alla mia sinistra, rumore improvviso di pietre che scivolano l’una sull’altra.
Tutti, ma proprio tutti, si voltano in direzione dell’abside. Anche l’aspirante attentatrice, che si porta al sarcofago di Sant’Apollinare, il cui coperchio, una manciata di secondi dopo, cade al suolo senza rompersi.
Dalla cassa sepolcrale si protende una mano che velocemente strappa il detonatore dalla mano della giovanissima bombarola.
Mentre i droni del Papa iniziano a crivellare di proiettili la testa della bambina, dal sarcofago una voce maschile si solleva con tono euforico: «Allahu Akbar un paio di palle!»

CONTINUA (qui tutti i capitoli)

Vinicio Motta

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