VINCERE È INUTILE

p.1 Verde 25

Verde 25, giugno 2014 (Copertina e illustrazioni: Claudio Calia)

Pierluca D’Antuono, Vincere è inutile, dal numero 25 di Verde (giugno 2014: copertina e illustrazioni di Claudio Calia, qui gli altri racconti).

È il 1993, l’anno in cui vinciamo ovunque e in tutte le città governiamo in maniera progressista ma responsabile. Siamo forti e siamo dappertutto e io lo scopro una notte in metropolitana, quando per sbaglio tiro fuori la tessera del partito invece dell’abbonamento: il controllore è veltroniano, non mi multa ma mi costringe a scendere a Cinecittà. La vita e facile ed è piena di certezze: Craxi è il Male, Internet è il Futuro, la DC è il Passato, noi siamo dalemiani, e in quanto tali lavoriamo perché il compagno Occhetto si dimetta, o almeno perda le elezioni del ’94.

Ho vent’anni, mi sono appena trasferito a Roma e voglio diventare un cronista di nera. So chi ha ucciso Simonetta Cesaroni e il mio sogno è di inchiodarla sulle pagine dell’Unità, ma i veltroniani hanno perso il congresso e adesso in redazione comandano loro. Due mesi dopo leggo in prima pagina che Scalfaro ha graziato l’ex-Nar Nikita Belgese, condannato nel 1977 a cinque ergastoli per la strage del Tufello. Il partito è indignato e promette battaglia quando si viene a sapere che il camerata ha intenzione di fondare un settimanale di cronaca nera, nel significato più meta-referenziale che ha da dare alla locuzione. Ricostruisco con rigore la storia di Belgese in un pezzo equilibrato che fa luce su alcuni punti oscuri della sua vicenda giudiziaria, e lo consegno in redazione nella speranza di vederlo pubblicato. È il 20 marzo 1994, sette giorni prima delle elezioni.

È il 1995, siamo al Governo con la Lega, votiamo la riforma delle pensioni ed entriamo in punta di piedi nelle case degli italiani, per convincere e rassicurare e ampliare la nostra base. Il pezzo su Belgese è stato pubblicato, hanno eliminato la seconda parte ed è uscito con il titolo Libero il missino stragista a firma del vice-direttore. Lavoro da un anno a «Storie Nere» e tre mie inchieste hanno già permesso di risolvere torbidi e insoluti casi del recente passato: le Demoniache Lolite di Torre Spaccata, lo Spormonato Sadico della Collatina e il Vampiro Seriale di Cesano. A Belgese non importa nulla del caso Cesaroni, non vuole pubblicare nemmeno una riga su Via Poma, ma io non mi do per vinto e continuo le mie ricerche. Decido di scrivere un romanzo partendo da una indiscrezione che a Prati raccoglie molto credito: il fantasma di Simonetta infesterebbe l’appartamento in cui per anni ha vissuto Dario Argento. Cerco di procurarmi un intervista con il Maestro. Potrebbe essere un buon punto di partenza.

È il 1996, siamo in piena era Ulivo e io non lavoro più per Belgese. Sto scrivendo la sceneggiatura di un cinepattone che dovrebbe intitolarsi Natale a Via Poma. È un modo come un altro per dare un senso alla mia ossessione e c’è un regista horror, maestro del genere molto noto, disposto a girarlo. Alle Feste dell’Unità si respira un’aria diversa. Si discute di cucina cinese, terza via inglese e del fantasma di Alberica Filo della Torre. Sono passati dodici anni da quello che il compagno Bassolino ha definito “il più bel regalo che Enrico seppe farci”, cioè morire (cit.). D’Alema giura che la svolta commerciale di Prodi era necessaria e ci ricorda che «vi sono due modi di essere comunisti. Uno palese, quello ad esempio di Rifondazione, ed è inutile dilungarsi su di esso. Ma ve ne è un altro: il modo di essere comunisti senza essere visibilmente comunisti».

La verità è che siamo post e non saremo mai punk.

 

Pierluca D’Antuono

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