CASUAL FRIDAY #45: MORRA

the_room

Serena Mazzini, The room

Casual Friday (qui e su Facebook) è la rubrica di Verde nata per promuovere un nuovo reading code. Ogni settimana un racconto inedito di un autore diverso cercherà di farvi ridere, divertirvi o semplicemente imbarazzarvi.
Forbice, sasso, carta: è la
Morra di Flavio Ignelzi. È venerdì, rilassati!
Fotografia di Serena Mazzini (The room).

Forbice

Sotto casa c’è uno spiazzo, una colata di cemento tra quattro lingue di spelacchiato verde pubblico. Ogni pomeriggio si riunisce una banda di ragazzini con gli skateboard. Tatuaggi, piercing e borchie. Hanno la mia età ma non li conosco se non di vista. Bevono e volano sulle loro tavole colorate. Ridono e si cappottano come se niente fosse. Fanno casino, tanto che gli abitanti dei palazzi attorno si affacciano alle finestre o ai balconi e li ingiuriano o minacciano di chiamare i carabinieri. Almeno una volta a settimana qualcuno dei ragazzi cade e si fa male. Male sul serio. Un paio di volte è stata chiamata l’ambulanza. Si dice che uno di loro se l’è vista brutta, a un passo dalla morte, e che adesso giri su una sedia a rotelle.

Mia madre invece gira per la cucina: ha ancora le forbici in una mano e la coda di capelli nell’altra. Ho urlato così tanto che la gola s’è scorticata. Ho gli occhi talmente gonfi di lacrime che potrebbero scoppiare da un momento all’altro. Ma non voglio darle la soddisfazione. Brutta stronza. Mi ha tagliato la coda di capelli. Con l’inganno. È arrivata da dietro, in silenzio, e zac. È vero, me lo aveva ripetuto mille volte, mi diceva che un ragazzo se li deve tagliare, i capelli, ma io pensavo che fosse tanto per dire, che non ci tenesse così tanto. Invece me l’ha tagliata. Come cacchio farò ad andare a scuola domani in questo stato?

Esco sul balcone. Mi farei una canna, per calmarmi, ma il fumo è in camera, porcamiseria. È quasi buio, i ragazzini sugli skate schizzano ancora come sputi tra le ombre. Le urla e le risate s’arrampicano fino all’ultimo piano, fino a me. Sento le rotelle che slittano, la tavola che disarciona, un corpo che cade, un grido di dolore. S’è cappottato.
Digrigno i denti. Affanculo. Spero che si sia fatto male. Affanculo. Spero che resti invalido su una sedia a rotelle.

Sasso.JPG

Che io li vorrei proprio conoscere i genitori di questa marmaglia. Di questi ragazzini viziati che passano il tempo a fumare, a chattare con i loro smartphone e a sfrecciare su quelle tavolette di merda. Scommetto che sono tutti ripetenti. Scommetto che non parlano nemmeno in italiano corretto. Scommetto che una Bmw come la mia non se la potranno mai permettere, nelle loro vite di merda. Accattoni nullafacenti.

Arrivo allo sportello e mi accorgo di un graffio che non c’era. Mannaggialaputtana. Chi cacchio è stato? L’ho lasciata parcheggiata si e no un’ora. Vuoi vedere che sono stati questi stronzetti, sui loro skate, che me l’hanno rigata? Mannaggialaputtanabestia.
Li guardo uno a uno, ma loro manco s’accorgono di me. Continuano a sbellicarsi e a fumare e a schizzare su quei loro cosi. Fisso lo sfregio, ci passo il dito e lo seguo per tutta la sua lunghezza. Una decina di centimetri, almeno. Mannaggialaputtana.
Speriamo che venga via con la pasta, che quel ladro del carrozziere sicuro mi presenta uno dei suoi conti da gioielliere.

Monto in auto incazzato e infilo le chiavi nel cruscotto. Il quadro s’illumina di blu ceruleo e di bianco neon. Il contachilometri segna novemilaeseicento chilometri tondi. Il sasso colpisce il parabrezza quasi al centro.
Bum!
Mannaggialaputtana.
Il colpo e lo spavento mi fanno sobbalzare.
Mannaggialaputtanabestia.

Guardo la ragnatela crepata che si estende dal punto d’impatto. Il sasso è rotolato sul cofano. È un cazzotto di cemento aguzzo. Smonto dall’auto e guardo in alto. Potrebbe essersi staccato da uno dei balconi. Al terzo piano c’è il figlio della troia che mi guarda. È stato lui, ne sono sicuro. Capellonedimerda. Lo indico con il pugno chiuso. Lui solleva le mani in segno di resa. È stato lui, sicuro come la morte, gliela faccio pagare. A lui e alla madre. Glielo metto in conto sulla prossima rata. Altro che pompini.

I ragazzetti sugli skate arrivano dalla piazzetta, accerchiano l’auto, studiano il cratere, sghignazzano bastardi. Mannaggialaputtanabestia.

Carta

Provate voi a campare senza un marito. Provate voi a tirare su un figlio con lo stipendio d’una impiegata del comune. Affitto, luce, gas, acqua, ricariche del cellulare, tassa della spazzatura, bollo auto, assicurazione. Provate voi, prima di parlare e farvi grossi.

Faccio accomodare lo stronzo in cucina e lui non mi guarda neanche in faccia, sbircia solo nell’accenno di scollatura che m’è scappata. Maiale, non c’è niente di più banale di un cravattaro maiale.
Metto su la macchinetta del caffè mentre lui già comincia a parlare di numeri.

Cifre. Interessi. Rate. Percentuali. È bravo, lo stronzo. Per quanti soldi riesca a restituirgli, lui è sempre in credito, avanza sempre qualcosa.
Dalla ventiquattrore che si porta dietro tira fuori la ricevuta della rata. Foglio A4. Scrittura privata. La stende sulla incerata a fiori del tavolo e mormora che me la firma dopo, come al solito.

Mio figlio è a scuola. Intanto che il maiale s’accomoda, vado a mettere la catenella al portoncino. Non si sa mai. Torno in cucina in tempo per l’uscita del caffè.
Ne verso una tazzina a lui e una a me. Le servo a tavola insieme alla zuccheriera. Due zollette nella mia, dolcissima, e giro il cucchiaino. Non bevo, mi servirà dopo, per aggiustarmi la bocca.

Lui si è già sbottonato i pantaloni. Farfuglia che sua moglie non è brava quanto me e sorseggia il caffè. Mi inginocchio e reprimo un singulto.
Provate voi a farvi prestare i soldi da un cravattaro e a riuscire a restituirglieli tutti.

Flavio Ignelzi

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