
Verde 11, aprile 2013 (In copertina: Nico Piancastelli, Senza titolo)
Bruno Ballardini è nato a Venezia nel 1954. Dopo essere stato copywriter, docente universitario e saggista, è approdato alla fantascienza. Tra i suoi ultimi saggi, Gesù e i saldi di fine stagione (Piemme, 2011), La morte della pubblicità (Lupetti, 2012), Isis® Il marketing dell’apocalisse (Baldini&Castoldi, 2015).
L’ultimo viaggio è apparso per la prima volta nel numero 11 di Verde (aprile 2013, copertina e illustrazioni di Nico Piancastelli, contributi di Pierluca D’Antuono, Alda Teodorani, Bruno Ballardini, Luigi Bonaro, Simone Lucciola, Federica Lemme, S.H. Palmer, Luca Carelli).
Ridley si adagiò stanca sulla piattaforma operativa di prua. Sebbene fosse quella la postazione di lavoro su cui trascorreva più ore al giorno, era anche il posto più comodo della nave dove spesso si fermava per recuperare. Ma la sua giornata non era ancora finita. Indossò il casco con il visore. Il velivolo senza equipaggio che doveva condurre sull’obiettivo sembrava lontano anni luce, eppure nel visore era come se l’avesse davanti a sé. Infilò le mani nei due joystick. Uno scatto metallico e i cinturini dei controller si chiusero automaticamente attorno ai polsi. I led si accesero a intermittenza per un rapido checkup. Tutto era in ordine. Digitò i comandi in uno stato di dormiveglia. Joystick sinistro: pulsante nero, dito medio, sblocco del sistema; pulsante giallo, dito indice due volte, annullamento della forza gravitazionale virtuale che all’interno della nave permetteva di simulare la gravità terrestre; pulsante rosso, premendo a lungo con il pollice, posizionamento dell’operatore a mezz’aria. Ridley scelse la posizione più comoda manovrando il joystick nelle quattro direzioni, fino a trovarsi a galleggiare morbidamente nel vuoto a pancia in sotto. Ripeteva automaticamente le stesse operazioni fatte migliaia di volte. Joystick destro: pulsante nero, dito medio, apertura dell’alloggiamento del minuscolo veicolo di servizio che doveva far levare in volo; pulsante bianco, dito indice, accensione del propulsore magnetico. Infine pulsante rosso. Lo scintillio dei led e un ronzio leggero in sala confermavano che l’apparecchio rispondeva docilmente ai comandi di Ridley e si stava staccando dal suo alloggiamento su una delle pareti della nave.
“Maledetto il giorno in cui ho accettato questo lavoro”, disse fra sé e sé. Ridley era l’unico pilota e unica responsabile di una nave-guida di nuova generazione completamente automatizzata. In genere, una nave-guida appartiene alla classe Asterion ed ha, al suo seguito, una flottiglia di navi robot capaci di atterrare da sole sui pianeti in cui si estrae il berillio riportando poi il carico alla nave principale. A sua volta, la nave-guida ha il compito di trasportare periodicamente il raccolto fino agli immensi cargo delle compagnie minerarie, navi di classe Pterion parcheggiate tutte al largo di Cygnus. La nave di Ridley però aveva dotazioni sperimentali per il lungo raggio che dovevano essere ancora testate e per questo occorreva un pilota esperto oltre che disponibile a un lavoro extra che non rientrava in nessuna job description della Compagnia.
Ridley faceva tutto questo da sola. Erano ormai cinque anni che viveva così, completamente sola nello spazio, dopo il suo divorzio. Una storia come tante, iniziata inutilmente, finita inutilmente. Tanto inutilmente da farle venir voglia di andare il più lontano possibile per lasciarsi la vecchia vita alle spalle. Cinque lunghissimi anni. Ma aveva di che riempire tutto quel tempo: operazioni ordinarie per la ricerca dei minerali, scavo con le navi robot, trasporto alla nave madre, verifica della qualità del metallo, stoccaggio e smaltimento degli scarti. Un andirivieni senza sosta. “Sono poco più di un minatore”, si ripeteva nei momenti di sconforto, “ma almeno mi pagano più di quell’idiota di Jeff.”
Jeff era stato il suo comandante in capo su Deneb e, incidentalmente, anche suo marito. Ora Ridley lavorava per una major dell’estrazione mineraria interstellare, dopo aver svenduto una brillante carriera al comando di flotte militari. Era soltanto una mercenaria di lusso al soldo dei “capitalisti dello spazio”, come venivano definiti. Ma poi chi se ne frega dei principi, ormai aveva dato un calcio ai suoi gradi. Un senso di ribellione alla divisa e a quanto le ricordava del passato portava Ridley a girare per la nave e a lavorare completamente nuda. L’atmosfera interna e il grado di umidità erano perfetti, la nave reagiva alle esigenze termiche del suo corpo come se fosse una sua estensione. Era veramente la “sua” nave.
Ancora un anno di quella vita e sarebbe tornata imbottita di soldi, avrebbe comprato una piccola casa vicino al lago e l’avrebbe riempita di cani e di gatti. Nelle sue fantasie, avrebbe aggiunto volentieri anche una scimmia di Deneb, se quelle bestiacce non avessero il maledetto vizio di sgranocchiare le batterie biologiche dei computer. Mentre rimuginava, il piccolo velivolo dalla forma liscia e affusolata che Ridley stava azionando si era fermato in attesa di ricevere comandi. Sembrava un giocattolo ma era frutto della ricerca più avanzata: estremamente versatile e facile da manovrare, aveva un sistema di annullamento della forza gravitazionale che permetteva l’atterraggio in qualsiasi condizione. E si guidava con due dita. Ora stava scivolando lentamente in uno spazio buio e indefinito fra una parete della nave e la postazione di lavoro in cui si trovava Ridley. Improvvisamente una chiamata radio la distolse dalla guida. Il dispositivo rimase a galleggiare nel vuoto, immobile. E anche Ridley, da un’altra parte, galleggiava nuda.
«Qui base a Ridley», chiese una voce femminile, «hai finito le operazioni di oggi?»
«Non ancora, base».
«Quando pensi di chiudere?»
«Devo farmi l’ultimo giro col velivolo sperimentale».
«Non l’hai già testato a fondo?»
«Non completamente, base». Non come vorrei.
«Ok, fammi sapere se funziona».
«Grazie cara, ti mando un report completo. Chiudo».
Ridley riprese i comandi. I propulsori tornarono a regime. A quella velocità di crociera il velivolo avrebbe raggiunto l’obiettivo in pochi attimi. Ma un’interferenza nel segnale in ricezione impedì un corretto funzionamento. La navicella cominciò a volare fuori asse. Ridley schiacciava nervosamente i tasti del joystick ma il velivolo non rispondeva. La sua posizione era pericolosamente obliqua rispetto alla rotta che avrebbe condotto sull’obiettivo tracciata nel visore.
“Cazzo!” pensò, “devo riallinearlo subito altrimenti il viaggio andrà a vuoto.”
Ci riuscì per un pelo. In quel momento comparve quella che doveva essere la destinazione finale.
Ciò che i sensori del dispositivo percepivano e rimandavano al visore sotto forma di immagine era un enorme buco nero che si spalancava davanti ad esso. Il velivolo si fermò per trasmettere immagini più nitide. La voragine si apriva e richiudeva ritmicamente come un fiore carnoso. Il dispositivo intanto sembrava riprendere a spostarsi in modo impercettibile o forse era il buco nero che lo stava attirando inesorabilmente. Poi all’improvviso si lanciò in avanti con perfetta sincronia durante una di quelle aperture. Ridley ebbe un moto di soddisfazione ma la delicata operazione non era ancora terminata. Stava sudando. Con il joystick sinistro azionò immediatamente il secondo stadio. Tre colpi sul pulsante giallo, poi pulsante rosso. La capsula si staccò dal retro e si infilò in una seconda piega dello spazio.
Il buio venne illuminato ripetutamente da violenti lampi rossi. Poi, nel punto in cui era stato inghiottito il velivolo, sgorgò una cascata di fuoco. Lo spazio intero sembrava scosso da una vibrazione profonda. I lampi aumentarono, la vibrazione divenne un terremoto e la cascata di fuoco si trasformò nell’esplosione di una supernova. Quell’esperienza sconvolgente durò ancora per qualche minuto. Per Ridley sembrò un’eternità. Sentiva che stava per perdere i sensi. Riuscì a premere due volte il pulsante rosso del joystick di sinistra. I polsi si liberarono subito e le due parti della navicella riemersero dal buco nero e dalla piega nello spazio, riunendosi automaticamente in un corpo unico che tornò a librare nel vuoto attendendo ulteriori comandi. Il vibratore telecomandato di ultima generazione planò infine nel suo alloggiamento e il portello si richiuse, mentre Ridley piombava di colpo sulla piattaforma operativa che si trovava un metro al di sotto di lei, accoccolandosi sulla sua superficie morbida dopo l’orgasmo.
«Niente male questi gingilli», sussurrò prima di addormentarsi, «davvero niente male».
Sognò la sua casa sul lago, i cani, i gatti, la scimmia di Deneb che, maledizione, sgranocchiava le batterie del suo computer, e un uomo che tornava a casa da lei dopo il suo ultimo viaggio.