
Silvia Priska Benedetti, Ventidue
Terrorismo, vivisezione e post-11 settembre: sono i temi de La scimmia, il romanzo di fantascienza ucronica (definizione dell’autore) che Francesco Cortonesi sta scrivendo per Verde. Proseguiamo la lettura con la terza parte del terzo capitolo (primo qui, secondo qui).
Illustrazione di Silvia Priska Benedetti (Ventidue).
Memorie di Marshall Applewhite
Mentre scrivo queste parole, seduto alla scrivania di ferro che mi è stata affidata, cerco di valutare attentamente i miei pensieri, perché mi rendo conto che ogni cosa che racconterò qui sarà presto letta e interpretata all’interno di una stanza asettica e buia, a malapena rischiarata da quella che molti ameranno definire “la luce dei fatti”. Fatti che, beninteso, non necessariamente saranno in grado di stabilire la verità, ma questo probabilmente non interesserà a nessuno. Sono arrivato qui, a sedermi su questa sedia, ad appoggiare i gomiti su questa scrivania di ferro, dopo l’esperienza maturata nello studio degli stati alterarti di coscienza. Sono arrivato qui dopo aver trascorso cinque anni in un laboratorio dedicato alla privazione sensoriale. Non mi piace mentire alla gente. Mi sono dedicato alla ricerca per avere la possibilità di raccontare la verità senza doverla seppellire dietro montagne di parole che finiscono comunque per attenuare la forza della realtà nuda e cruda. I miei studi sono stati a lungo ostacolati da molti ricercatori concorrenti. Oltre ai miei risultati, decisamente superiori a quelli di chiunque altro, ciò che i miei avversari non hanno mai digerito è il motivo per cui faccio tutto questo. Io mi muovo per un bene supremo. Adesso, a distanza di otto anni da quando li ho pubblicati per la prima volta, siamo qui a valutare i risultati che già tutti definiscono sconvolgenti. Ma non porto rancore per tutto questo tempo perso. Passare dalla derisione all’acclamazione è normale in questo ambiente. E ora è giunto il momento dell’acclamazione.
Veniamo ai fatti.
Ho scelto di identificarmi in Marshall Applewhite perché le sue teorie avevano il fascino della visione. La sua era una grande missione. Al di là di quello che realmente si nascondeva dietro la cometa Hale Boop. Marshall Applewhite, il vero Marshall Applewhite progettava una vera e propria trasformazione. L’idea che propagandava era quella di poter mutare la propria essenza. Di poter raggiungere il paradiso perduto grazie a un’arca proveniente dall’infinito con motori a curvatura spazio temporale. Non importa se tale idea era basata su una menzogna o una pia illusione. Ogni trasformazione passa dall’ideazione di un potenziale inganno. Questo inganno non è altro che una realtà modificata e interpretata in modo strettamente funzionale. Non possiamo evitare del tutto la morte, ma possiamo avvolgerla nell’inganno per poi renderla utile a una qualche causa. L’idea di base di ciò che sto facendo qui, all’interno di questa stanza, nasce dalla necessità di ideare una nuova uscita di sicurezza. L’idea nasce dal tentativo di rendere in qualche modo quest’uscita sempre percorribile. Ho immaginato e poi creato all’interno del mio progetto una situazione del tutto originale. Adesso però la scimmia è morta. Ho provato persino a toccarla. Per sentire il suo corpo freddo. La sua testa è spaccata. Il cervello è sul tavolo. I suoi occhi, accecati qualche giorno fa, adesso sono misericordiosamente chiusi.
Soltanto ora mi rendo perfettamente conto di quanto io sia ossessionato dal movimento. Un tempo riuscivo a stare fermo. Ogni minuto che trascorro qui seduto a redigere queste memorie mi sfinisce, mi rende più fragile. Fragile come questa scimmia, fragile come ciò che tu sei in questo momento.
Tu sei nelle mie mani. Mentre scrivo e ti osservo. Mentre sussulti spaventato dall’idea che il muro possa crollare e che qualche terrorista possa incendiare la Torre.