
Verde 25, giugno 2014 (Copertina e illustrazioni: Claudio Calia)
La scimmia si prende una pausa (martedì prossimo l’ottava parte del secondo capitolo; qui la 2/7), ma oggi leggiamo comunque Francesco Cortonesi. Il racconto La donna lunga è apparso per la prima volta nel numero 25 di Verde (giugno 2014, copertine e illustrazioni di Claudio Calia): scrivevano con Francesco Giovanni Pianigiani, Pierluca D’Antuono, Alda Teodorani, Lionhearted, S.H. Palmer, Simone Lucciola.
Luce
Mi sveglio con l’emicrania.
Anna dorme. La bacio.
Le preparo la colazione.
Partiamo per lo chalet, ho ancora mal di testa, è un dolore sopportabile, fastidioso ma non abbastanza da costringermi a letto e rinunciare alla vacanza. E poi voglio andare a caccia di cervi, dico, voglio andare a caccia di cervi con tutto che ci non sono mai andato se non da bambino, quando mi ci portava mio nonno di nascosto. I miei non volevano che andassi nei boschi con gente armata fino ai denti che non si faceva mai mancare un goccetto, dico. La neve si sta sciogliendo e sui bordi della strada è tutto una poltiglia marrone che sembra nocciola. Anna si toglie le scarpe e si massaggia un piede. Non indossa i collant neppure in pieno inverno, dice che non sopporta di sentire le gambe inguainate e che una donna per essere attraente deve avere le gambe nude. Mano a mano che saliamo ci sono sempre meno auto e a una ventina di chilometri dallo chalet incrociamo una vecchia che cammina scalza, sulla fredda strada sterrata che si inoltra nei boschi di betulle.
Ehi guarda quella, dice Anna. Un bel coraggio davvero, dico io, sfiorandole la coscia nuda. La donna ci guarda mentre le passiamo accanto. Anna le fa un cenno con la mano, lei risponde al saluto. La baita è al centro di una specie di radura, tutta di legno e con il tetto spiovente. Le persiane sono chiuse, come se la casa stesse dormendo in attesa del nostro arrivo. Parcheggio la jeep nel retro, vicino alla legnaia. Non vedo l’ora di mettermi davanti al camino, dice Anna e s’infila una scarpa. Entriamo in casa e apriamo le finestre, lasciando spazio alla luce del primo pomeriggio che filtra dalla boscaglia in una sottile scia luminosa di minuscoli granelli di polvere. Il mio mal di testa si è un po’ attenuato e quindi decido di non prendere l’analgesico. Alzo il telefono e chiamo Bruno per dirgli che siamo arrivati. Il posto è magnifico, dico io, entro mezz’ora sarò bello che pronto. Arrivo, dice lui, ti passo a prendere. Bene, dico.
Tornerò tardi, dico a Anna, sei sicura di non voler venire? Certo, dice lei mentre apre l’acqua della doccia, ma non vedo l’ora che torni, magari ti faccio una sorpresa, dice facendomi l’occhiolino. Adoro le sorprese, dico sorridendo. Anna mi tira un bacio e io mi rendo conto ancora una volta di quanto la amo. Sicura di non aver paura? dico. Terrò le luci accese, risponde e infila una mano sotto l’acqua. Decide che è calda, si toglie l’accappatoio e entra nella cabina.
Perfetto, dico.
La luce accesa.
Fa freddo. Non è ancora il tramonto. Saliamo sull’altana e Bruno sguaina le carabine. Apriamo due sedie pieghevoli e ci sediamo. Non dobbiamo far altro che aspettare un cazzo di Bambi, un cazzo di Bambi che cada in trappola, dice Bruno mentre si accende una sigaretta. Bambi? domando io. Bruno aspira una profonda boccata dalla sigaretta. Quel cartone animato del cazzo, hai presente no? Certo, dico io, chi non conosce Bambi? Una stronzata totale di quegli animalisti del cazzo di Hollywood. È un cartone animato per bambini, dico io. È un cartone animato che fa passare i cacciatori per degli assassini, dice lui, come se questo fosse un mondo di vegetariani, altroché! Resto in silenzio mentre Bruno solleva la sua carabina e la punta verso le betulle, come un cecchino in attesa del nemico.
Nel frattempo il mio mal di testa è quasi passato.
Comunque devo ammettere che ho visto fare a questi animali cose incredibili, dice Bruno, come se comprendessero qualsiasi cosa. Senti questa: è successo poco tempo fa. Eravamo in tre ed eravamo proprio da queste parti. Insomma, te la faccio breve, eravamo appena arrivati quando eccone uno uscire dal sottobosco, così, all’improvviso. Nessuno di noi se lo aspetta, tiriamo subito fuori le carabine e cerchiamo di metterlo nel mirino. Dopo una manciata di secondi lo inquadro e premo il grilletto, ma il cervo fa uno scarto improvviso e vedo saltare un pezzo di tronco giusto dove un istante prima era la sua testa. Fanculo, dico, mentre gli altri si mettono a ridere. Nel frattempo ovviamente Bambi è sparito. Dieci minuti dopo eccolo di nuovo, sempre lui. Quando hai passato anni a fissarli da un mirino ti rendi conto che riconoscerli è facile. Più o meno. Insomma, stavo dicendo, tempo dieci minuti e rieccolo. A quel punto gli altri neanche ci provano a prendere la mira perché hanno capito che è una cosa fra lui e me. Puoi capirlo no? Certe volte diventa una cosa personale. E così lo punto di nuovo ma questa volta aspetto, per essere sicuro di non mancarlo e fare la figura dello stronzo. Io aspetto, e Bambi che fa? Viene avanti un passo dopo l’altro, deciso, guardando dritto verso di noi, quasi volesse dimostrarci di non avere paura. Naturalmente noi restiamo in silenzio. E lo guardiamo avanzare, tanto che a un certo punto arriva quasi sotto all’altana. Quel cazzo di Bambi mi sta sfidando a premere il grilletto, dico io, mentre continuo a tenerlo nel mirino. A un certo punto allunga il collo come se volesse salire su, che ne so, magari per dircene quattro, e a quel punto capisco che non posso più aspettare, lo spettacolo è finito. La sua testa esplode e Bambi si schianta sull’erba come se qualcuno gli avesse improvvisamente sfilato la terra sotto i piedi. Così, sbang.
Accidenti, dico io prendendo una sigaretta. Aspetta, dice Bruno, ancora non ho finito. C’è dell’altro? domando mentre armeggio con l’accendino. Certo, senti qua, a quel punto scendiamo giù dall’altana e andiamo a vedere come è messo il nostro amico. Scendiamo e cosa troviamo? Cosa trovate? domando io. Beh, niente, non troviamo niente, dice Bruno. Cosa vuol dire che non trovate niente? chiedo. Quello che ti ho detto, dice Bruno. Bambi è scomparso, svanito, capisci? Quindi non era morto? dico io, mentre cerco un posto dove spegnere la sigaretta. Probabilmente no, dice Bruno, ma resta il fatto che non c’era più.
Saliamo sulla jeep e prendiamo la via di casa. Riproveremo domani sera, dice Bruno, entro questa settimana ti garantisco che stenderai il tuo Bambi. Stenderò il mio Bambi, dico io. Sai, aggiungo, stavo pensando ancora a quella storia. Davvero una strana storia. Sì, dice Bruno, una strana storia, e ancora non conosci quella della Donna Lunga. La Donna Lunga? domando io. Una vecchia pazza che vive in questi boschi, dice Bruno. In molti raccontano di averla vista. Sembra che sia alta più due metri e che abbia il potere di trasformare le persone in animali e assumerne lei stessa le sembianze. Dicono che vive in una baita circondata da cervi e che quando un cacciatore spara per errore a un altro cacciatore sia colpa sua. Intendi dire che la Donna Lunga trasforma un cacciatore in animale e l’altro gli spara convinto di avere sotto tiro una preda? chiedo io. Sì, dice Bruno, qualcosa del genere. Magia nera, roba così. Forse entra nella testa della gente o provoca allucinazioni. Magari usa qualche droga. E come farebbe a distanza? chiedo io. Che vuoi che ne sappia, dice Bruno, alla fine è soltanto una storia, anche se molti incidenti di caccia restano inspiegabili. I cacciatori si sparano per errore, dico io. O forse è la Donna Lunga, dice Bruno sorridendo, magari era lei il Bambi a cui ho sparato l’altra volta.
La Donna Lunga… Rido. Imbocchiamo la strada sterrata che porta alla baita. Non è ancora l’alba. Guardo fuori dal finestrino. C’è qualcosa che non va, penso.
«C’è qualcosa che non va!»
«Che vuoi dire?» chiede Bruno.
«Prendi i fucili», dico. «C’è qualcosa che non va nella baita. Sono sicuro».
La luce è spenta.
La porta è aperta.
Improvvisamente, lento, deciso, silenzioso, un cervo esce dalla baita.
«Cristo», dice Bruno, «Forse…»
Buio
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