STORIE NERE #9: CAMILLA (PARTE II)

Verde 16, settembre 2013 (In copertina: Toni Bruno, Miss Paventi)

Verde 16, settembre 2013 (In copertina: Toni Bruno, Miss Paventi)

Storie Nere #9, di Luca Carelli: rileggiamo oggi la seconda e ultima parte di Camilla (la prima è qui), il racconto del camerata e filatelico Paolo Stroppiana e delle vicende che lo legano a un gruppo di donne morte o scomparse da Torino nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Dal numero 16 del nostro cartaceo (settembre 2013, copertina e illustrazioni di Toni Bruno).

Il 2 luglio 1985 Edvige Porta è seduta nel suo ufficio. Sono le nove e trenta di sera quando la donna, 50 anni, capelli neri, occhi scuri, single senza figli, telefona ai genitori per avvisare che farà molto tardi. Come sempre risponde il padre, le chiede se ha cenato. No, dice Edvige, non ho ancora cenato. Chiedo a tua madre di prepararti qualcosa? domanda il padre. Sì papà, grazie, risponde lei, ma niente carne. Niente carne, ripete il padre.
Edvige è funzionario del servizio economato della USL 1/23 di Torino (da cui dipende l’ospedale Sant’Anna della dottoressa Bianca Tovo), lo stesso ufficio dove lavora Marina Di Modica. Lo stabile è deserto, il portiere stacca alle 20 ma l’ingresso resta accessibile per tutta la notte.

La mattina dopo, alle sette, il signor Porta prepara il caffè alla figlia e le porta la colazione a letto, ma la stanza è vuota. Nello stesso momento, al secondo piano di Corso Vittorio Emanuele III, alcuni colleghi trovano Edvige legata a una sedia con del nastro adesivo nero, coperta di sangue e di lividi, la faccia un miscuglio di carne rossa e viola. Dalla cassaforte dell’ufficio mancano 50 milioni di lire. La donna è morta a causa delle percosse subite e per le coltellate – più di dieci – ricevute.

Che cosa succede, si chiede diciotto anni dopo un giornalista televisivo, quando in una città le donne svaniscono nel nulla e i loro corpi non vengono ritrovati? Cosa dovrebbe fare un giornalista come me in assenza di prove per collegare casi simili tra di loro? Indagare. Ed è quello che farò.

Nel 2003 c’è un giornalista televisivo che segue da vicino le prime indagini su Paolo Stroppiana. Questa è merda inutile, pensa il giornalista, tutta merda vecchia e inutile. Il giornalista però si dice che è pur sempre un inizio e che c’è differenza tra una merda d’inizio e un inizio di merda. La prima cosa che scopre è che Marina Di Modica non è l’unica donna scomparsa ad aver conosciuto Stroppiana. Prima di lei c’è stata Camilla Bini, quattordici anni prima.

È l’8 agosto 1989 ed è l’ultimo giorno di lavoro per Camilla Bini, 34 anni, padre italiano e madre somala. La donna, impiegata alla Bolaffi, è in partenza per la Puglia con un’amica. L’ultima persona ad averla vista è la sua vicina di casa, che attorno alle 18:30 la invita a bere una bibita nel suo appartamento.
Parlano di mare, di spiagge, di lavoro, di relax e di gatti randagi, poi si augurano con affetto buone vacanze. Nei giorni precedenti Camilla è andata più volte in un’agenzia di viaggio del quartiere per organizzare la partenza. La donna dovrebbe rientrare dalle ferie il 28 agosto. Per venti giorni nessuno la cerca. Le indagini partono male e in ritardo e solo in seguito alla denuncia dei suoi datori di lavoro. Cosa è successo a Camilla? Nel suo appartamento tutto è in ordine, non ci sono segni di colluttazione e non manca nulla. Eppure gli agenti trovano il frigorifero pieno e, sul tavolo della cucina, due bicchieri e due tazzine di caffè, una delle quali macchiate di rossetto, del tipo che Camilla non usa. Perché Camilla avrebbe dovuto fare la spesa e riempire il frigorifero il giorno prima di partire?

In quei giorni il giornalista televisivo viene a conoscenza di una serie di cose. Le più importanti sono: le impronte digitali sui bicchieri e sul tavolo non sono state rilevate; i vicini di casa di Camilla e i genitori della donna non sono mai stati ascoltati dagli inquirenti; nel 1998, è primavera, Giuliana Bini contatta il magistrato che indaga sulla scomparsa della sorella ma scopre che nessun fascicolo sul caso è mai stato aperto; nell’agosto del 1989 una collega e amica di Camilla avrebbe ripetutamente cercato di contattare la donna e non riuscendovi avrebbe chiesto aiuto a Beatrice Della Croce di Dojola.
A questo punto il giornalista televisivo deve fermarsi, tornare indietro e rileggere le ultime sei pagine di appunti fitti e disordinati che si affastellano nella sua Moleskine Nera.
Ha perso il filo.

Il 9 agosto 1989 Camilla Bini sarebbe dovuta partire in Puglia con Beatrice Della Croce di Dojola, impiegata della Bolaffi e fidanzata di Paolo Stroppiana. I tre colleghi si frequentano anche al di fuori delle ore di lavoro. In quei giorni d’agosto un’amica di Camilla cerca inutilmente di contattare la donna, ma poi si rivolge a Beatrice. Perché proprio a lei? si domanda il giornalista.

Durante il processo di primo grado per l’omicidio Di Modica, si scopre che Paolo Stroppiana ha avuto una relazione, oltre che con Marina, anche con Camilla Bini. Nell’ottobre del 1996 l’uomo, durante un’intervista televisiva, incalzato dalle domande, giura di aver avuto con entrambe rapporti di lavoro superficiali. Niente altro.
Brutto bastardo, urla Giuliana Bini davanti alla tv, nel salotto dei suoi genitori. Eravate fidanzati, lo sanno tutti, sussurra grattandosi l’avambraccio sinistro, mentre una lacrima le riga lentamente il volto.

Perché fare la spesa il giorno prima dipartire? Perché riempire il frigorifero alla vigilia delle ferie? Perché due bicchieri d’acqua e due tazzine? Perché solo una delle due macchiata di rossetto? Perché un rossetto che Camilla non usava? Perché non raccogliere le impronte digitali sulle tazzine e sui bicchieri? Perché? Perché? Perché?

Nel 1990, durante una pausa pranzo in ufficio, Beatrice Della Croce di Dojola è in compagnia di due colleghi. Il discorso cade su Camilla. È vero che dovevate partire insieme per la Puglia? domanda l’uomo giovane e in camicia bianca. Sì, è vero, risponde Beatrice. Tredici anni dopo il giornalista televisivo riesce a intervistare la coppia del momento, Paolo e Beatrice. I giornali e le tv parlano soltanto di loro, è un colpo sensazionale. Il giornalista ha appena appurato che l’amica di Camilla, nei giorni successivi alla scomparsa, aveva contattato Beatrice perché a conoscenza del viaggio in Puglia che le due donne avevano organizzato.
È vero, Beatrice, che tu e Camilla dovevate partire insieme per la Puglia? domanda il giornalista. Non esiste, risponde lei, io odio la Puglia. E dove dovevate andare allora? domanda il giornalista. Da nessuna parte, risponde la donna. Puoi essere più precisa? ribatte il giornalista. Le ho semplicemente proposto divenirmi a trovare a Santa Margherita Ligure, dove ho casa, ma lei voleva andare in Puglia, dice Beatrice. È vero, domanda il giornalista, che Paolo e Camilla avevano una relazione? Nel modo più assoluto, risponde la donna. Nel modo più assoluto sì o no? chiede il giornalista.
Beatrice guarda dritto in camera e, come levitando, trattiene il respiro fino a un attimo prima di scoppiare e poi dichiara: il soprannome di Paolo è Cuore di Panna. Può bastare?
Cos’è successo a Camilla? conclude serio il giornalista.
È stata vittima di una stagione infernale, sussurra la donna.

Nell’estate del 1985 un gruppo di medici dell’ospedale Sant’Anna di Rivoli si aggrega a una spedizione scientifica dell’Università di Torino. Gli studiosi si trovano nel monastero di Bardan, nella regione del Kashmir, a 3600 metri di quota. Il 9 agosto, durante un’escursione, Fiorella Rolfo, 33 anni, medico fisiatra, si sente male e chiede all’amica e collega, dottoressa Bianca Tovo, di fermarsi, ma la donna prosegue con il gruppo e Fiorella resta sola, nei pressi di un fiume.
Più tardi verranno ritrovati il suo zaino egli effetti personali. La dottoressa Rolfo è svanita nel nulla.

Al ritorno in Italia una troupe televisiva intervista Bianca Tovo. L’intervista è registrata all’aeroporto di Milano Linate. I giornalisti, in sequenza, domandano alla dottoressa: perché Fiorella è stata lasciata sola; che tipo di problema fisico aveva accusato Fiorella; se è vero che Fiorella soffriva di una grave forma cronica di depressione; come si sono svolte le ricerche della donna; se pensa che sia morta; perché ne è così convinta; come è morta allora; cos’ha da dire ai genitori che la stanno ascoltando.

Il 14 aprile 2011 Paolo Stroppiana viene condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale di Marina Di Modica. Il 22 aprile dello stesso anno il caso di Camilla Bini, ad oggi irrisolto, viene riaperto.

Lettura consigliata: Enrico Compagnoni, Il Filatelico (Kaos Edizioni 2009)
Un giorno in pretura, Processo Di Modica


Luca Carelli

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